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by Jerry Diamanti

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<<Avant tout, les artistes sont des hommes qui veulent devenir inhumains>>1

Sarà poi vero quello che diceva Apollinaire all’inizio del secolo scorso? Gli artisti, come bizzarri sciamani, si pongono come canali per qualcosa di più grande di loro?

Ebbene, non è raro trovare collegamenti tra arte contemporanea e pratiche legate ad una cultura di tipo ancestrale, tant’è vero che a Roma, nel 2011, presso la Sala Santa Rita, ha inaugurato una mostra dal titolo piuttosto esemplificativo di questo discorso, “Le Nove Porte: sciamanesimo e arte contemporanea” curata da Bruno Corà, Romano Mastromattei, Martino Nicoletti, Orfeo Pagnani e Galina Sychenko.

Tema fondante era il dialogo tra due universi, da una parte testimonianze appartenenti alle pratiche sciamaniche himalayane e siberiane, oggetti di uso magico, registrazioni sonore e immagini fotografiche di rituali e pellegrinaggi sacri mentre, dall’altra, opere di artisti contemporanei come Joseph Beuys (Krefeld, 12 maggio 1921 – Düsseldorf, 23 gennaio 1986) .

Obiettivo della mostra, indagare <<per quali ragioni si potessero avvicinare le identità dello sciamano e dell’artista>>2.

Di esempi di questo tipo ce ne sono diversi, senza dilungarci se ne potrebbe citare uno conosciuto a molti, Yves Klein (Nizza, 28 aprile 1928 – Parigi, 6 giugno 1962), che ha operato <<considerando l’entità del “vuoto”>>3, luogo, per così dire, dove ha compiuto una delle sue azioni più emblematiche, il salto, possibile similitudine con quello che viene definito il “volo” dello sciamano, viaggio senza distanza.

Prima ho citato anche Beuys, all’interno di questa mostra sono stati raggruppati diversi sui disegni e delle fotografie d’archivio rappresentanti alcune performance. In questo caso, anche a causa della sua particolare biografia (nel 1943 il suo aereo viene abbattuto in Crimea e viene salvato da un gruppo di nomadi tartari, che lo curano avvolgendolo nel grasso e in panni di feltro), i riferimenti provengono prevalentemente da culture di area siberiana, ed è possibile notare come l’elemento della slitta ritorni in opere grafiche come “Primeval Sledge” del 1960 dove l’iconografia si ispira alla simbologia del funerale tradizionale nanai, gruppo etnico dell’Asia orientale. La slitta in questo caso funge da ideale trasporto dello spirito verso il regno ultraterreno.

J. Beuys. Come spiegare i quadri ad una lepre morta. Galleria Schmela. 1965.

Una delle sue azioni più famose, “Come spiegare i quadri ad una lepre morta”, presentata alla galleria Schmela di Düsseldorf nel 1965 vede l’artista seduto su una sedia in un angolo della galleria con la testa ricoperta di miele sul quale aveva applicato foglie d’oro, in braccio regge una lepre morta. Alzandosi in piedi si avvicina, sempre tenendo fra le braccia la lepre, a diverse pitture avvicinandovici l’animale.

Una ritualità ciclica e misteriosa, forse anche disorientante, ma tuttavia profonda tanto che Stachelhaus, nel suo saggio “Joseph Beuys. Una vita di controimmagini” definisce questa azione <<quella in cui Beuys ha saputo esprimere con più semplicità ciò che lo (com)muoveva>>4.

Ora, si può essere d’accordo oppure no su questo, del resto è un’opinione, ma ciò che trovo davvero affascinante del suo lavoro è che il bagaglio di riferimenti viene utilizzato, come lui stesso afferma, per suscitare <<“controimmagini” negli spettatori, provocare qualcosa dentro di loro>>5, un qualche cosa che genera una << scarica di energia>>6.

Per quale fine? Per <<liberare energie mentali e spirituali che l’abitudine tende a soffocare>>7, è per questo motivo che, secondo Beuys, <<ogni uomo è un artista>>8; ciò significa che chiunque <<possiede facoltà creative che vanno scoperte e coltivate>>9, addirittura considera la creatività <<patrimonio del popolo>>10 e ciò significa che quest’attitudine deve essere estesa <<al lavoro umano tout court>>11.

<<La vecchia forma sclerotizzata deve essere trasformata in una figura vivente e palpitante che promuova lo sviluppo della vita, dello spirito e della mente>>12 per lui questa era la <<formula fondamentale dell’essere>>13, per un vero e proprio <<principio di mutamento>>14.

Le sue parole mi fanno tornare alla memoria ciò che diceva Eckhart Tolle riguardo alla natura della nostra mente e cioè che essa è composta di due elementi: forma e contenuto.

Si potrebbe dire che non è nient’altro che una struttura che si autoalimenta ripetendosi quasi sempre uguale a sé stessa (ecco la “forma sclerotizzata” di Beuys), il contenuto può variare ma la forma, la “struttura” appunto, non cambia.

“Io sono fatto così”, eccola di nuovo, la forma sclerotizzata! Quante volte l’abbiamo detto o lo abbiamo sentito dire, vero?

Ho scelto l’arte come metodo per interpretare la dinamica delle cose e la ricerca che porto avanti si ricollega a tutto quello che ho detto in precedenza perché fonda le sue basi sul tentare di veicolare messaggi come la trasformazione, intesa come unica costante naturale, o l’indagine di elementi microscopici, che mi sono utili per portare all’attenzione il fatto che ciò che chiamiamo realtà non ha comunque la connotazione che noi intendiamo; in questo modo cerco di far emergere in chi guarda un certo grado di consapevolezza .

L’intreccio continuo di ogni elemento e il fatto che ogni cosa è nell’altra senza alcun tipo di separazione reale se non quella che gli diamo noi,  sono gli obiettivi con cui cerco di far compiere uno “slittamento” allo sguardo, per cogliere dei significati che vanno al di là di ciò che in apparenza vediamo.

Figura 3 F. Catagnoli. Dalla serie “Relitti”. Rame, Solfato di Rame, Specchio. 2017

Scivolare “oltre”.

Le controimmagini di Beuys spiazzano chi le osserva ed è proprio da quel momento di disorientamento, di cortocircuito, che può verificarsi un’ espansione di consapevolezza, dove la mente razionale non riesce ad apporre istantaneamente un’etichetta, un’opinione, allora subentra l’intuizione, che è forma di comprensione diretta a un livello più profondo e va oltre qualsiasi impianto teorico.

Come Beuys genera queste sue controimmagini cercando di oltrepassare dei confini, anche nel mio modo di lavorare cerco appunto di prefiggermi l’obiettivo di generare questa sorta di “sguardo laterale” che può essere il principio di un mutamento.

Ciò che però tento di superare con il mio linguaggio è il rischio di concentrarsi troppo sulle suggestioni derivate dalle pratiche sciamaniche e poco sul significato che esse hanno; questo perché dopo essermi soffermato sullo studio di questa ritualità, ho compreso quanto questa possa essere intrinsecamente legata alla comunità cui lo sciamano appartiene. Si può dire che ovunque esista un'<<arte colta>>15 sarà affiancata ad <<espressioni di arte popolare>>16, che sono profondamente in relazione con la <<dimensione religiosa indigena>>17.

A differenza di altre forme, l’arte legata a questo tipo di cultura possiede un significato solo <<in relazione a uno specifico contesto rituale>>18, al di fuori di questo, <<l’arte sciamanica non esiste>>19 e anche quando dovesse esistere sarebbe del tutto svuotata di senso.

Ho speso qualche parola in più nel sottolineare questa attitudine che impregna il regno dello sciamanesimo per chiarire meglio la mia opinione in merito agli artisti che nella loro pratica fanno forti riferimenti a questo vocabolario nonostante queste premesse. E’ davvero necessario produrre opere che facciano fisicamente riferimento a queste pratiche pur sapendo questo? Non sarebbe forse più in linea con lo spirito di queste culture, dove ad ogni sciamano gli spiriti parlano in maniera molto personale, diversa da tutti gli altri, se ci concentrassimo semplicemente sul “senso” di queste pratiche, facendo fiorire qualcosa di diverso e completamente unico per ognuno di noi?

Non ho una risposta univoca e forse nemmeno esiste, ma come dice la Bhagavad Gita <<per colui che conosce Brahman i Veda non hanno maggiore utilità di quanta ne abbia un pozzo quando il terreno circostante è completamente allagato>>20.

Federico Catagnoli

 

Immagine di copertina F.Catagnoli. Particolare della serie “Relitti”. Rame e Solfato di Rame. 2017

[1] G. Apollinaire, “Les peintres cubistes. Méditations esthétiques.”(1913), prefazione di Dominique Dupuis-Labbé, Bartillat, Parigi 2013, pg.11.

[2] AA.VV. “Le Nove Porte. Sciamanesimo e arte contemporanea”, a cura di O. Pagnani, Exorma,  Roma, 2014, cit. pg. 37.

[3] ivi, cit., pg. 42.

[4] H. Stachelhaus “Joseph Beuys. Una vita di controimmagini” (1978), trad. ita. a cura di R. Gado Johan & Levi Editore, Monza, 2012, cit., pg. 125.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] ivi, cit., pg. 65.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem,

[12] H. Stachelhaus “Joseph Beuys. Una vita di controimmagini”, cit., pg. 65.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] AA.VV. “Le Nove Porte. Sciamanesimo e arte contemporanea”, cit., pg. 132.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] P. Yogananda “L’essenza della Bhagavad Gita”, a cura di M. G. Scalchi, Ananda Edizioni, Gualdo Tadino, 2006, cit., pg. 88.

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

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    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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