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by Alberto Paolucci

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Ho accolto con grande piacere l’occasione di scrivere un articolo su Matrika per parlare di questo lavoro che amo profondamente e che più mi ha fatto crescere e avvicinare a me stessa. Parlo della Terapia Prenatale e della Nascita.

 

Origini

Le origini del metodo risalgono alla prima metà del secolo scorso, quando le ricerche pionieristiche di valenti studiosi quali: D. Winnicott, F. Mott, J. Bowlby e F. Lake, hanno riconosciuto quanto il periodo precedente la nascita e quello immediatamente successivo fossero fondamentali per uno sviluppo sano ed equilibrato dell’individuo.

A partire dagli anni ’70, le intuizioni di terapeuti e ricercatori come: W. Emerson, F. Sills e R. Castellino hanno approfondito e ampliato la conoscenza in quest’ambito. La consapevolezza dell’importanza della fase prenatale della vita dell’essere umano è condivisa e sostenuta anche da studiosi come D. Siegel, D. Stern, D. Chamberlain e A. Piontelli.

Tale approccio, inoltre, si ispira e si integra, con l’esperienza di P. Levine e S. Porges.

Dominique Degranges, il mio insegnante, si è formato con R. Castellino, W. Emerson e P. Levine. Ora sta portando il lavoro Prenatale in Italia, in Svizzera, e in altri paesi europei; grazie ai training di formazione aperti alle persone che vogliono imparare il metodo e ai gruppi di Imprinting per chi desidera elaborare i propri temi di nascita.

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Il mio incontro con il PPN – Prenatale, Perinatale e Nascita

Mi piacerebbe cominciare a parlarvi della Terapia Prenatale e della Nascita raccontandovi come l’ho conosciuta.

Un giorno, nel gennaio del 2010, il titolare dello studio in cui lavoravo capitò nella mia stanza sventolando un volantino, dicendomi: “Paola devi assolutamente andare a fare questo corso, dev’essere meraviglioso, è fatto per te”.

Incuriosita, presi il volantino, leggendolo mi trovai subito rapita da quello che era scritto:

“Le primissime esperienze della vita, lasciano delle impronte nell’essere umano che si sta formando, ed hanno una forte influenza sul modo di essere al mondo, di comunicare e costruire relazioni”.

Il volantino proseguiva con un racconto molto bello su come vengono “concepiti” i bambini in una tribù dell’Africa Orientale: per loro il bambino inizia la sua esistenza fin da quando è un pensiero e un desiderio nella mente e nel cuore della mamma. Rimasi molto colpita dalla differenza di prospettiva sul concepimento.

Nella mia tesi di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt, avevo dedicato un capitolo sulla relazione madre bambino nei primissimi mesi di vita e mi aveva appassionato moltissimo. Qualche anno dopo avevo fatto la formazione per diventare insegnante di massaggio infantile. Ora avevo tra le mani un volantino che sembrava completare e riunire alcune delle mie conoscenze.

Così decisi di partire per andare a Milano a fare il mio primo seminario di Imprinting.

Dopo il corso sono diventata profondamente consapevole che il corpo ricorda tutte le nostre esperienze, la cosa stupefacente è che ricorda anche quelle fatte in un momento in cui non avevamo ancora parole per descriverle e nominarle.

A partire da una semplice domanda che Dominique mi fece: “guardiamo alla tua nascita, cosa senti nel corpo mentre me ne parli?” ho realizzato che il corpo si ricordava perfettamente ogni cosa. Anche ciò che avevo vissuto dentro la pancia di mia mamma.

Non solo, ma ciò che credevo dipendesse dal mio carattere e che quindi fosse immutabile, non era così. Tutti quegli aspetti per cui mi dicevo “ho paura di questo, reagisco a quel modo, sono fatta così, è il mio carattere”, ho scoperto che avevano un senso, un’origine in come era nata la mia relazione con me stessa e con la vita. Questo significava che portando consapevolezza e comprensione avrei potuto trasformarli.

Nella nostra esperienza di operatori di Terapia Prenatale abbiamo constatato che è possibile modificare le tendenze e gli aspetti di noi che conosciamo da sempre, con cui siamo fortemente identificati.

Quando sono tornata a casa dopo quel seminario, qualcosa era davvero cambiato dentro di me. La differenza era sostanziale, mi sentivo molto meglio con me stessa, con gli altri e avevo significativamente meno paure. Anche le percezioni corporee erano notevolmente diverse: la qualità della voce, una sensazione più spaziosa nella pancia, come se fisicamente qualcosa all’interno avesse trovato il suo posto. Rimasi talmente affascinata dagli effetti terapeutici che avevo sperimentato su di me e nel mio corpo, che decisi di iscrivermi alla prima formazione in Italia che sarebbe iniziata due mesi dopo.

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La passione e l’amore che Dominique Degranges trasmette durante i seminari, unita all’esperienza che io stessa avevo fatto, mi ha coinvolta così intensamente che ho continuato ad approfondire questo lavoro.

Ho visto come le impronte dell’inizio della vita sono quelle che mi influenzano più di ogni altra cosa. Se le guarisco e le trasformo, posso cambiare la mia esistenza ora. In poche parole direi che mi sono sentita riallineata con me stessa e con la vita. Ed è anche quello che vediamo accadere ai partecipanti durante i seminari di Imprinting.

 

Da quando cominciano queste memorie?

Inizialmente si pensava cominciassero con la nascita, con il primo respiro del bambino.

Oggi sappiamo che cominciano già prima. Fino a poco tempo fa’ si pensava che il bambino nella pancia della mamma non sentisse nulla. Per fortuna, non è più così.

Rimane comunque un mistero da spiegare: in realtà il cervello comincia a reagire verso il quinto mese e una parte del nostro sistema nervoso nemmeno alla nascita è completamente sviluppato. Quindi deve esistere qualche altra parte di noi, che non è il cervello, che ricorda le esperienze preverbali, esistenziali e, in qualche modo “somatiche”.

Fin dall’inizio c’è un Essere, c’è una persona. Lo si è potuto constatare anche durante i seminari. Inizialmente, Dominique Degranges e altri studiosi, esploravano solo il momento della nascita, ma spesso succedeva che le persone, durante i processi, mostravano e raccontavano con il loro corpo, esperienze precedenti riguardanti la loro vita embrionale o addirittura prima del concepimento.

 

Il viaggio dell’Essere

Frank Lake, uno psicologo e teosofo descriveva il concepimento come un processo in cui un Essere senza forma, si incarna e prende una forma. Secondo lui l’inizio della nostra vita, i primi tre mesi di gravidanza, sono quelli che influenzano di più il nostro modo di essere adulti oggi.

Jaap Van Der Wal, embriologo olandese contemporaneo, guarda all’embrione da un punto di vista fenomenologico: legge nei suoi movimenti dei gesti (volendo delle Gestalt) che hanno un senso. Per lui conoscere l’embrione significa intraprendere un viaggio dentro sé stessi. In modo appassionante durante i suoi seminari, Jaap condivide che l’embrione nel corso del suo sviluppo “fa le prove”, sperimenta già nella pancia della mamma, tutti gli aspetti e i movimenti che lo renderanno un essere umano (per esempio attività come camminare e respirare). Secondo Jaap, l’embrione racconta l’emozionante storia del diventare un essere umano e, allo stesso tempo, un essere umano mantiene le caratteristiche dell’essere stato un embrione.

Quindi, nel nostro stadio embrionale cos’è che ci influenza veramente, chi c’è lì e che cosa sente?

Si inizia a considerare che c’è un Essere presente e consapevole, che sente e si identifica con tutto ciò che incontra. Di conseguenza ciò con cui si è identificato “allora” può influenzarlo oggi in modo significativo: sia nelle attitudini personali che nel corpo.

Per Frank Lake, con il concepimento comincia “l’oscuramento dell’Essere”, il dolore più grande che portiamo. L’Essere, prendendo una forma e facendosi corpo, attraversa un processo di identificazione con tutto ciò che accade attorno a lui, durante il quale si dimentica chi è veramente.

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Dall’Essere alla personalità

Con il concepimento l’Essere comincia ad identificarsi con ciò che lo circonda: schemi comportamentali, credenze, eventi ed emozioni del sistema familiare. Quindi questa Coscienza crescendo crede di essere solo l’insieme di tali programmi. In realtà in lui rimane presente qualcosa di più grande, oltre a tutto ciò con cui si è identificato. Lavorando sui temi prenatali e disidentificandosi dai programmi, è possibile riprendere contatto con la parte “dimenticata” e riavvicinarsi maggiormente all’Essere che realmente siamo.

Spesso vediamo i neonati a pochi giorni dalla nascita come esserini incapaci e privi di conoscenza, ma provare a guardarli con la consapevolezza che sono Esseri con un bagaglio incredibile di esperienze, è stupefacente! Ha il potenziale di cambiare molte cose ed è la chiave per guarire tutte le memorie.

“I piccolini hanno una capacità straordinaria che crescendo tendiamo a perdere. Sorridere completamente e poi piangere per poi ritornare a ridere pienamente. È eccezionale! Se ci pensate quando soffriamo, da adulti, siamo incapaci di lasciar andare questo dolore. Forse, però, da qualche parte siamo ancora così. Forse la nostra vera natura è così. L’Essere rimane sempre, talvolta è solo offuscato dalle esperienze che ha incontrato successivamente, a volte ha sofferto tanto da creare dei comportamenti di protezione piuttosto bizzarri, magari anche di frammentazione tanto da arrivare a sviluppare diverse personalità, come nella schizofrenia”. (Dominique Degranges, dalla conferenza “Gli interventi durante il parto. È davvero indifferente il modo in cui nasciamo?”)

 

Memorie e traumi

Per riferirci al periodo prenatale utilizziamo il termine “memorie o impronte” piuttosto che “traumi”. Nella fase prenatale abbiamo dei temi esistenziali che hanno a che fare con “il diritto di esistere”, mentre l’aspetto del trauma è più collegato a un tema di sopravvivenza ed è il corpo che vuole sopravvivere. Di trauma, quindi, parliamo dalla nascita in poi. Sopravvivere e avere il diritto di esistere sono modalità molto diverse di essere al mondo. Sono due modi diversi di essere qui e di prendere la vita. Sopravvivere è un modo di funzionare, è automatico; mentre Esistere è più simile a dire “si” alla vita incondizionatamente, prendendo il diritto e il piacere di essere vivi.

Immaginate un bambino dentro la pancia della mamma che sente tutto, non combatterà contro i genitori o contro l’ambiente se non si sente voluto. Non c’è un “io” così forte. L’Essere è in accettazione totale di ciò che succede e se non si sente accolto in quanto Essere, qualcosa di lui si offuscherà, ma non avvierà una lotta contro ciò che sta accadendo. Tuttavia potrà iniziare a formare interiormente una credenza “Se qui non mi accolgono e non mi vogliono, desidero scomparire, la cosa migliore è tornare da dove sono venuto”.

Questo creerà un’ambivalenza tra “essere qui ed essere lì”, dentro di me avrò un “si” ma anche un “no”, un’ambivalenza nei confronti della vita e di me stesso in questa forma, in realtà è un po’ come se stessi aspettando che la vita finisca per tornare “lì”.

Se non mi sento accolto in quanto Essere, se non credo profondamente nell’esistenza, non potrò dire un “si” completo e incondizionato a me stesso e agli altri, ma soltanto un “si” condizionato, per esempio “andrò bene solo se mi comporterò come l’altro si aspetta da me”, oppure “le altre persone andranno bene solo se…”.

Il momento in cui i genitori si accorgono di aspettare un bambino può essere delicato. Le reazioni che hanno i genitori possono essere interpretate dal bebè a modo suo. Ancora una volta, il nascituro non lotterà contro, ma svilupperà delle tendenze, per esempio potrà credere: “è meglio che non mi muova, che non mi faccia sentire”; “se ero femmina/maschio sarei stato amato di più, mamma e papà sarebbero stati più felici”; “c’è sicuramente qualcosa che non va in me” e così via…

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Successivamente, con la nascita e a seconda del tipo di nascita, sulle tematiche esistenziali che abbiamo appena visto, si andranno a innestare i temi di sopravvivenza legati all’esperienza corporea. Per esempio: se alla nascita avrò il cordone ombelicale attorno al collo e rischierò di morire si andrà a rinforzare ancora di più l’esperienza che “stavo meglio lassù, piuttosto che qui”; se la mamma mettendomi al mondo proverà molto dolore, o rischierà la sua vita rinforzerò il fatto che “era meglio per tutti se io non arrivavo”, o che “sono cattivo/a e pericoloso/a” e così via…

Un altro aspetto importante è che l’Essere, dal concepimento in avanti, ha bisogno della verità, se gliela si nasconde, ciò che accade può essere frainteso e interpretato in modo strano prendendo la forma di una sofferenza esistenziale continuando a creare nuove impronte. Per esempio se durante la gravidanza la mamma si trova ad affrontare una difficoltà, come la perdita di una persona cara o un conflitto importante, sarà utile comunicare al bebè che i sentimenti della mamma sono indipendenti da lui e dalla sua presenza. Così facendo il nascituro eviterà di credere che la sofferenza della mamma possa essere dovuta a lui: “se non arrivavo io, la mamma sarebbe stata più felice”; oppure strutturare impronte sulla vita del tipo: “la vita è solo sofferenza”.

A questo proposito c’è una dottoressa francese, Caroline Eliacheff che, nel suo libro (di cui ho solo il titolo in tedesco “Das Kind, das eine Katze sein wollte”) racconta come ha salvato diversi bambini abbandonati in ospedale, semplicemente dicendo loro la verità. Questi bambini solitamente fin dai primi giorni smettevano di mangiare, di dormire bene, alcuni dopo qualche tempo tendevano a regredire andando incontro a importanti ritardi mentali o arrivavano perfino a morire. Questa dottoressa ha iniziato a dire loro, con il cuore, la verità: “sei qui, i tuoi genitori non potevano tenerti, sicuramente hanno avuto dei motivi per fare questa scelta, ti hanno affidato a noi. Siamo qui per fare del nostro meglio per avere cura di te e per aiutarti a trovare una famiglia che possa sostenerti nella tua crescita”. Dopo queste semplici parole i bambini riprendevano a mangiare, dormire e a crescere.

 

Concludendo

Il potere della Terapia Prenatale consiste nel lavorare su temi che riguardano l’inizio della nostra vita. Studi scientifici stanno confermando sempre di più che il bambino viene influenzato dall’ambiente che lo circonda già dal ventre materno. Il modo in cui viviamo i nostri primi mesi influenza poi quella che è la nostra relazione con la vita, il nostro modo di vivere e di essere in relazione con noi stessi e con gli altri.

L’idea di fondo è che quando veniamo concepiti ci troviamo immediatamente inseriti in un campo relazionale (i genitori e tutto ciò che ruota intorno a loro). Questo campo può lasciare delle memorie che possono essere “guarite” solo attraverso un nuovo sistema di relazioni in cui sia possibile rivivere emozionalmente le esperienze che hanno causato le impronte. L’energia vitale rimasta bloccata nella memoria può così tornare nuovamente disponibile trasformandosi in un vissuto completamente nuovo. L’archetipo della nascita ideale rimane un programma corporeo e spirituale attivo dentro di noi anche se la nostra vera nascita è stata un’esperienza molto diversa.

Durante i seminari di Imprinting, quindi, l’aspetto fondamentale è quello di creare attraverso l’esperienza di gruppo un campo di guarigione, aperto e di cuore, dove non c’è giudizio, dove ognuno si sente accolto e rispettato per quello che è. Ogni partecipante, si mette al servizio del lavoro degli altri e in questo nuovo campo relazionale è possibile aprirsi a nuove opportunità e completare ciò che allora è mancato. È come se avvenisse una riprogrammazione cellulare, che riallinea l’Essere e la persona con la forza dell’impulso vitale originario.

 

Paola Battocchio

paolabattocchio76@gmail.com

 

 

Nota

Alcuni paragrafi di questo articolo riprendono parti della Conferenza tenuta da Dominique Degranges a Silea (TV) nel giugno del 2016, “Gli interventi durante il parto. È davvero indifferente il modo in cui nasciamo?”

 

Bibliografia

Dominique Degranges, “Gli interventi durante il parto. È davvero indifferente il modo in cui nasciamo?”, Conferenza, Giugno 2016, Silea (TV)

Peter A. Levine, Maggie Kline, “Il trauma visto da un bambino”, 2009 Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore Roma

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

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    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

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    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Per rimanere in contatto con noi e ricevere informazioni sugli ultimi articoli, video, webinar ed iniziative pubbliche che proponiamo, lascia qui la tua email

    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

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