Questo scritto intende iniziare ad indagare la dimensione umana in uno dei suoi principali ambiti ancora non del tutto esplorati. Per rendere onore a tutte quelle persone i cui disagi e difficoltà reali nel passato non sono stati compresi e trattati in modo adeguato in ambito medico, sociale e familiare.

Sto imparando ad aprirmi e chiudermi, devo stare attenta a proteggermi, anche da una parte di me che non so bene dove mi porta…” Carla, da una sessione di Somatic Experiencing

Esseri umani e unità di coscienza

Dalle varie latitudini del pianeta, uomini e donne di lingue e culture diverse, attraverso fonti e strumenti completamente differenti, sono giunti nei millenni alla profonda comprensione dell’interrelazione naturale che pervade la realtà, del continuum di cui siamo parte.

Il concetto di interessere originato dalla tradizione buddhista, l’idea di entanglement dalla moderna fisica quantistica… O ancora mitakuye oyasin… Tutto è connesso, come recita un’antica preghiera Lakota Sioux… Dopo secoli di sottomissione al meccanicismo e di educazione alla separazione, giungere oggi, perfino in seno alla moderna cultura dominante, ad accettare questa incessante relazione che è il flusso della vita, comporta inevitabilmente una riflessione.

Una riorganizzazione del pensiero però, per evitare di rimanere teorica, necessita di radicarsi all’esperienza incarnata nel quotidiano. Solo affacciandoci con umiltà e nuova consapevolezza, agli schemi di sopravvivenza generati dalle funzioni subcorticali nella specie umana, possiamo comprendere le ragioni che ci portano a sviluppare comportamenti estremamente disadattativi rispetto a noi stessi e spesso, perfino nei confronti dell’intera sfera dei viventi.

La nascita, dall’uno al molteplice

L’essere che s’incarna e diviene embrione nel grembo di madre partecipa alla fisiologia del organismo che lo ospita nel periodo della gestazione, essendo da questo contenuto.

Per alcuni mesi dopo il parto la nuova vita non avrà ancora una chiara consapevolezza di se come la percepiamo noi adulti, il sistema nervoso del neonato in questo periodo inizierà a svilupparsi in base all’ambiente, alla genetica, alle cure parentali e agli imprinting prenatali.

Dalle origini della prima teoria sull’attaccamento di John Bowlby, negli anni ’70 si passò, grazie alle ricerche di Colwyn Trevarthen, Edward Tronick e Daniel Stern, a degli studi più affinati sulle interazioni tra i neonati e gli adulti che se ne prendono cura, con speciale attenzione alla relazione madre-infante.1 Si scoprì così che questa diade attua spontaneamente infinite serie di interazioni creative che, attraverso l’attenzione condivisa o intersoggettività, generano degli schemi di comportamento sincronizzati. Comunicazione e risonanza somatica tra madre e neonato aiutano questo a definire se stesso o se stessa.

Dall’uno alla fusione nel grembo accediamo gradualmente alla percezione della nostra separazione attraverso un affinato sistema di sintonizzazione con gli adulti della nostra specie, la percezione di ciò che siamo nasce così in una danza dolce e costante tra il dividuo e l’individuo…

Neuroaffettivo

Noi esseri umani, tra i mammiferi, siamo quelli caratterizzati maggiormente per la particolare necessità dei nostri cuccioli di ricevere cure parentali per un lungo periodo anche dopo la nascita. Il contatto, l’attenzione e la sintonizzazione degli adulti che si dedicano ai neonati contribuiscono a stimolare lo sviluppo e la conformazione della struttura neurale dei piccoli. Rivolgendo l’attenzione al sistema nervoso autonomo che rivestirà vitale importanza in tutti i processi fisiologici non volontari dell’organismo, è stato osservato che l’aspetto dorsale del sistema vagale si sviluppa prima, mentre il ramo ventrale che è correlato con la nostra capacità di sentirci al sicuro e rilassare la muscolatura, si sviluppa nei primi mesi di vita grazie alla presenza empatica e all’interazione con figure competenti. Un equilibrato dosaggio di contatto ed adeguata attenzione promuove il contenimento necessario affinchè il piccolo sviluppi la naturale capacità di percepire gradualmente se stesso e di accedere a un più ampio coinvolgimento sociale.

Alla luce di tali scoperte, come è possibile che una specie così fortemente legata alla relazione con i suoi simili per la crescita e lo sviluppo, sia allo stesso tempo capace di concepire l’idea di guerra o sopraffazione?

Confini e spazio vitale

Tutte le risposte alla domanda, «Chi sono io?» derivano esattamente dal procedimento fondamentale del tracciare una linea di confine tra il Sé e il non-Sé. (…) Il fatto più interessante circa tale linea di confine è che può spostarsi, e ciò accade spesso. La linea può essere dunque ritracciata.” 2

La parola confini, boundaries in inglese, è ampiamente utilizzata in psicologia e in psicoterapia somatica, ma come scrive lo psicoterapeuta americano Laurence Heller “il suo significato è spesso poco chiaro. La nostra pelle è un confine, è il nostro confine fisico. Esiste inoltre una dimensione energetica dei confini. I nostri confini energetici costituiscono lo spazio tridimensionale che ci circonda: sopra, sotto e intorno a noi. Poichè i confini energetici non sono visibili, in genere non viene compreso che sono reali ed hanno profonde implicazioni sulle nostre vite.”3

Facciamo alcuni esempi per iniziare a comprendere cosa può farci sentire invasi anche se non siamo stati toccati fisicamente.

E’ mai successo che qualcuno della tua famiglia o una persona cara ti abbia detto qualcosa per la quale hai sofferto o ti sei sentito ferito e questa non se ne sia neppure accorta? Ti è mai capitato viaggiando in autobus o in treno di sentire qualcuno troppo vicino e avere la necessità di muoverti per sentirti meglio?

Ognuno di noi, a seconda delle circostanze, percepisce attraverso le sensazioni del corpo il proprio spazio vitale. Questo è circoscritto da confini energetici fluidi e dinamici che fungono da filtro rispetto alla presenza di una quantità eccessiva di stimoli, inibendo la sensazione di essere invasi dall’esterno. Quando i nostri confini sono integri possiamo scegliere e discernere tra gli stimoli in arrivo spostando il focus della nostra attenzione; sappiamo inoltre allontanarci istintivamente da una persona o un ambiente che percepiamo inadatto o invasivo.

Così come la pelle definisce i limiti tra l’interno e l’esterno del corpo, i confini energetici definiscono lo spazio personale. E così come un taglio o un colpo alla pelle possono essere dolorosi, possiamo fare esperienza di un impatto o una rottura dei confini energetici come un senso di minaccia o d’ansia.”3

Quando un evento traumatico particolarmente grave avviene in tenera età i confini energetici potrebbero non prendere forma adeguatamente o essere seriamente compromessi. Ma anche nel caso in cui l’evento sopraffacente sia così repentino da non lasciare il tempo alla persona di orientarsi verso la minaccia, questi potrebbe permanere con la percezione interiore che il pericolo possa arrivare da qualsiasi parte, in ogni momento.

Nella mia attività di facilitatore Somatic Experiencing e ancora prima nelle centinaia di trattamenti di Ortho-Bionomy svolti negli ultimi dieci anni, ho incontrato numerose persone in difficoltà per via della frammentazione dei propri confini energetici: estremamente sensibili al contatto fisico e spesso a diversi stimoli ambientali. Purtroppo nello scorso secolo la complessa esperienza di questi individui non è stata spesso compresa adeguatamente in ambito familiare e medico, per via della quasi totale assenza di conoscenze scientifiche approfondite rispetto al sistema nervoso autonomo e all’equilibrio corpomente.

Alcuni di noi non percepiscono assolutamente il proprio corpo, altri non hanno mai avuto una sensazione di sicurezza in se stessi o nell’ambiente, altri ancora non hanno chiarezza nel delimitare la differenza tra se stessi e gli altri. Immaginiamo quante difficoltà possano generarsi in stati simili e quante problematiche si generino nell’ignoranza dell’esistenza di tali possibilità nell’esperienza umana.

Nell’incessante parco giochi della realtà, la mia esperienza

Negli anni degli studi universitari di Biologia mi ero occupato di DNA, cellule, organismi vitali ed elementi inorganici, ma mai ero stato accompagnato, dal pur valido corpo docente accademico, ad incontrare Bios, il vivente, al di là del Logos. Attraverso le lenti dei microscopi, nei numeri e nelle formule non avevo ancora percepito il crepitare incontrollabile della forza vitale. Sentivo il bisogno di assaporare la bellezza della natura vivendo l’esperienza anche nelle mie cellule, accedendovi direttamente tramite la dimensione dell’esperienza soggettiva

Sperimentai per la prima volta la consapevolezza dei confini energetici durante un corso di formazione di Ortho-Bionomy 4. Ero sdraiato su un lettino da massaggio e la persona che avevo scelto per fare l’esercizio era una ragazza della mia età. Il compito consisteva in qualcosa di apparentemente banale, la ragazza avrebbe dovuto semplicemente girare attorno al lettino, fermarsi senza fare nulla alla mia sinistra e dare il tempo al mio organismo di registrare le sensazioni che affioravano, poi fermarsi a miei piedi, alla mia destra, dietro la mia testa e lasciare così che si creasse in me una consapevolezza più chiara delle percezioni da ogni lato del mio corpo.

Quello che più ricordo di quel semplice esercizio è il senso di vulnerabilità e la contrazione muscolare involontaria che erano emersi quando la ragazza si era fermata alla mia sinistra. Razionalmente avevo assoluta chiarezza del fatto che stavo semplicemente facendo un’esperienza all’interno di un percorso di apprendimento, in un luogo sicuro, con persone che conoscevo bene. Eppure il mio corpo aveva avvertito qualcos’altro, era entrato in uno stato di allarme vissuto immediatamente come tensione muscolare, freddo interno e fragilità.

Una specie in allarme: nel regno dell’amigdala 5

Alcune esperienze avvenute nel passato avevano in qualche modo modificato la percezione dello spazio intorno a me e come accade a tantissime altre persone, il mio sistema reagiva in modo immediato e istintivo agli stimoli percepiti dall’ambiente, molto prima che la neocorteccia potesse elaborare un pensiero coerente sulla realtà.

L’organismo risponde ad eventi che percepisce come minacciosi o invasivi in infiniti modi che possiamo sinteticamente riassumere con: lotta o fuga se riesce a gestirli attivamente, contrazione, costrizione, scissione e frammentazione se viene sopraffatto.

Tali reazioni rappresentano schemi di sopravvivenza atavici orchestrati in modo magnifico dal nostro sistema nervoso per economizzare l’energia vitale e minimizzare la sofferenza fisica, in alcuni casi però alcuni schemi di reazione legati alla sopravvivenza potrebbero divenire disfunzionali, debilitare seriamente il nostro metabolismo e la percezione stessa della realtà.

Se ad esempio da bambino avessi avuto un incidente in bicicletta e fossi stato urtato con violenza alla mia sinistra, questa parte del mio corpo potrebbe essere rimasta più sensibile e aver trattenuto per anni a livello neuromuscolare dell’attivazione fisiologica di sopravvivenza. A seconda delle esperienze successive e della resilienza sviluppata nella mia esistenza, gli stimoli percepiti dalla mia sinistra avrebbero potuto sviluppare una risposta dorsale del sistema nervoso generando una sensazione di intorpidimento, dissociazione e talvolta persino incapacità ad orientarmi da quel lato.

Se invece l’impatto fosse risultato meno violento o percepito come tale dal corpo, il sistema nervoso avrebbe potuto rispondere con un impulso di contrazione meno intenso ma estremamente attivante per la fisiologia del mio organismo. In questo caso il tempo e le circostanze avrebbero potuto aiutarmi a rielaborarlo e deattivarlo naturalmente, oppure potrei rimanere in allarme verso gli impulsi o tutto ciò che fisicamente arrivi da sinistra. Poiché il riflesso subcorticale è molto più rapido rispetto all’organizzazione del pensiero cognitivo, lo stimolo che arrivasse da sinistra potrebbe generare in me una risposta del sistema nervoso simpatico promuovendo aggressività, ansia o paura anche in circostanze assolutamente pacifiche.

La cronicizzazione di alcune risposte involontarie di sopravvivenza può portare a confusione e comportamenti disadattativi, attorno ai quali potremmo costruire dei pensieri su noi stessi o su gli altri, organizzare il nostro carattere e la nostra stessa personalità.

Percepire paura entrando in una stanza in cui ci sono già delle persone, potrebbe farmi pensare che sono solo e non sono adatto a stare tra i miei simili. Irrigidirmi o sentire rabbia e aggressività quando sono guardato negli occhi da un altro, potrebbe farmi perdere la possibilità di maturare relazioni profonde o generare in me un carattere dominante che non permetta di sentirmi in empatia con gli altri a meno che io non riesca a stabilire delle gerarchie chiare che possano calmare la mia attivazione.

Esistono infinite varianti e intensità di reazioni e sintomi generati dalla perdita di integrità dei nostri confini, ognuna può essere rielaborata e stabilizzata attraverso tecniche e metodi antichissimi resi oggi ancora più sicuri dalle nuove conoscenze scientifiche sul sistema nervoso, integrate ai vari campi della dimensione umana.

 

Differenziare non è dividere

Tutto è uno, ma in una passeggiata in montagna, anche se inebriato dalla freschezza dell’aria e acceso dal calore del sole, devo pur riconoscere la linea che unisce la roccia col vuoto per mettere il piede sulla prima, non cadere e continuare così a godere del panorama.

L’esperienza umana si modula in infiniti piani di coscienza, come la luce nei colori di un arcobaleno può apparire in modo differenziato, essa può espandersi e fluire dalla sopravvivenza alla trascendenza…

Ciò che percepiamo attraverso i sensi sono delle differenze, dei balzi nell’intensità della nostra percezione che possono essere gestiti dalla complessità del nostro sistema in infiniti modi. Possiamo imparare a modulare, scoprire gradualmente come radicarci e proteggerci o aprirci totalmente alla relazione e al contatto. 

L’ approdo a una comunità di esseri realmente liberi passa senz’altro dal riconoscere anche le nostre radici istintuali, rispettarle e risanare le antiche ferite create nei millenni dalla competizione, dalla guerra e dall’ignoranza. Se in passato individui e comunità hanno perpetrato l’uso della violenza e della paura per imporre il rispetto degli spazi vitali , oggi si aprono in noi nuove entusiasmanti possibilità.

Per arrivare a sentirci parte di un tutto ed agire di conseguenza, possiamo iniziare semplicemente a osservare e sentire un po’ di più noi stessi: identificare i nostri bisogni e ciò che li soddisfa realmente, imparare a stare con le emozioni, comprendere da dove hanno origine e rimettere in dialogo le varie parti…

Riconoscere gli schemi di sopravvivenza e provare a disinnescarli.

 

Jerry Diamanti

leviedolci@gmail.com

http://www.equilibrinaturali.net

1 Susan Hart “The Impact of Attachment” Norton Series on Interpersonal Neurobiology 2010

Ken Wilber “Oltre i confini, la dimensione transpersonale in psicologia” Cittadella Editrice 1985

3Laurence Heller “Healing developmental Trauma” North Atlantic Books 2012

4Ortho-Bionomy è un metodo di origine taoista ideato nel 1978 dall’osteopata canadese Arthur Pauls per lo sviluppo dell’essere umano.

5Amigdala è la denominazione di un’area del cervello che stimola il rilascio degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga, (adrenalina, noradrenalina), mobilita i centri del movimento, attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino. Nei casi di forte stress o in presenza di sintomi da stress post traumatico potrebbe rimanere attivata e continuare a riversare gli ormoni nel torrente circolatorio anche in assenza di minacce o situazioni pericolose.

 

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