Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza della crisi ecologica che stiamo vivendo. La questione climatica è ormai un tema all’ordine del giorno di molti movimenti e persino il capitalismo sta cercando di riadattarsi senza perdere i suoi guadagni in forme accattivanti di green economy. Ma tutto ciò non risolverà il problema perché viviamo in un sistema economico capitalistico basato sullo sfruttamento, su una crescita infinita, su una ricerca continua del profitto, sul dominio della natura e delle altre specie… Pensare di poter risolvere la crisi ecologica globale attraverso riforme parziali del sistema o cambiamenti comportamentali individuali è quantomeno ingenuo.

Negli ultimi mesi poi, con l’esplodere del covid-19 e il forte impatto del lockdown sulle nostre vite, chiudere gli occhi di fronte alla gravità della situazione diventa sempre più difficile. Le pandemie infatti sono strettamente legate alla questione ecologica: i coronavirus sono malattie zoonotiche ovvero trasmesse dagli animali alle persone. I focolai virali emergono dall’intersezione tra società umana e fauna selvatica: l’invasione e la distruzione degli habitat naturali, l’alterazione dell’ecosistema, portano alla diffusione di nuovi virus e allo spillover, l’ormai tristemente famoso salto di specie.
Senza affrontare le cause profonde di questi problemi – ovvero senza estirpare il capitalismo e l’idea di dominare la natura – la situazione non farà che peggiorare. Per questo motivo tornano decisamente attuali le riflessioni dell’ecologia sociale, la quale offre una visione alternativa di come potrebbe essere un mondo ecologicamente e socialmente giusto – un mondo organizzato attorno alla cura anziché al dominio, favorendo una riarmonizzazione dell’umanità e della natura non umana.

L’ecologia sociale, in continua elaborazione, nasce dalle analisi di Murray Bookchin (1921- 2006), uno dei pionieri del movimento ecologista, il cui pensiero ha, tra le altre cose, recentemente influenzato il processo rivoluzionario nella regione curda del Rojava.
L’attenzione di Bookchin per le tematiche ecologiche si sviluppa a partire dal 1952 quando inizia a denunciare il rischio di una grave catastrofe ecologica ritenuta potenzialmente in grado di mettere in pericolo non solo la vita degli esseri umani ma anche l’esistenza del pianeta stesso. Tale preoccupazione rimane presente, in modo più o meno esplicito, in tutti i suoi numerosi scritti,1 costituendo una costante base di partenza per la sua riflessione ecologica e politica, e fungendo al contempo da stimolo per la continua elaborazione di un’ecologia che egli definisce sociale.
L’originalità del suo pensiero può essere individuata proprio nell’aver ricondotto la crisi ecologica alle sue radici sociali, affermando di conseguenza la necessità di una radicale trasformazione sociale che sostituisca all’attuale società capitalistica una società diversa. La crisi ecologica per Bookchin deriva sì dall’economia capitalista ma, più in generale, le vere radici dello sfruttamento ambientale le reputa risiedere nelle gerarchie sociali.
In particolare la causa della crisi ecologica viene individuata nella rottura dell’equilibrio tra esseri umani e natura provocata, a suo parere, dall’emergere di ciò che chiama logica del dominio. Lo sfruttamento ambientale e il dominio sulla natura, secondo l’autore, non sono sempre esistiti, ma sono il frutto storico di determinati rapporti sociali e hanno origine nelle gerarchie sociali, emerse per la prima volta con lo sviluppo della famiglia patriarcale e giunte al loro apice nella società capitalista moderna.
Bookchin sostiene che i popoli di tutte le epoche hanno proiettato le proprie strutture sociali sul mondo naturale e, di conseguenza, anche all’attuale società, caratterizzata dal dominio dell’essere umano sul suo simile, corrisponde una precisa visione della natura. Essa, in quanto concepita come contrapposta alla società, deve essere domata e conquistata, se si vuole raggiungere il progresso dell’umanità. La contrapposizione tra società e natura, ritenuta dai più necessaria per lo sviluppo umano, ha portato secondo Bookchin gli esseri umani a dimenticarsi di far parte dell’evoluzione naturale e di poter giocare in essa un ruolo fertile e importante; tutto ciò ha dato origine al tradizionale dualismo della cultura occidentale aprendo un profondo, spesso invalicabile, vuoto tra mondo sociale e mondo naturale – e, similmente, tra mente e corpo, soggetto e oggetto – e ha fornito inoltre una fondamentale giustificazione al dominio.

Il ripristino dell’equilibrio tra gli esseri umani e la natura, necessario per la sopravvivenza del genere umano, deve per forza passare attraverso un cambiamento delle relazioni sociali che porti all’eliminazione della gerarchia e del dominio. Ponendo l’attenzione sugli aspetti sociali dell’attuale crisi ecologica, l’ecologia sociale si distingue in questo modo sia dall’ecologia “umana” che da quella “profonda”: in particolare il termine sociale vuole sottolineare il fatto che non possiamo più separare la società dalla natura così come non possiamo separare la mente dal corpo.

Per comprendere appieno il significato dell’ecologia sociale risulta utile ricordare la distinzione semantica, proposta da Bookchin, tra ambientalismo ed ecologismo, due termini spesso ritenuti intercambiabili ma in realtà portatori di due opposte visioni della natura. Il primo termine -ambientalismo- designa una grezza forma di ingegneria ambientale, una concezione meccanicistica e strumentale tesa a ridurre la natura a un deposito di ‘riserve naturali’, a un habitat passivo al servizio degli esseri umani; una concezione che porta all’adozione di una politica riformista di
semplice riduzione del danno, senza mettere in discussione la premessa basilare della società presente e cioè che l’essere umano deve dominare la natura e quindi le altre specie. L’ecologismo, invece, si occupa dell’equilibrio dinamico della natura, dell’interdipendenza degli esseri viventi e, dal momento che la natura include anche gli esseri umani, si interroga necessariamente anche sul ruolo svolto dall’umanità nel mondo naturale, divenendo così oltre che ecologia naturale anche ecologia sociale.

Particolarmente accesa è la critica che Bookchin rivolge alla deep ecology o ecologia profonda, fondata dal filosofo norvegese Arne Næss. L’errore principale dei sostenitori di quest’ultima forma di ecologismo consiste, per Bookchin, nel non comprendere le origini sociali dei problemi ecologici, soffermandosi semplicemente sui sintomi della crisi e considerando di conseguenza l’umanità intera come colpevole del disastro ecologico, senza operare alcuna distinzione di responsabilità. Sostenere la colpevolezza di tutti gli esseri umani nel saccheggio della natura porta
inevitabilmente l’ecologia profonda ad adottare una visione misantropica, talvolta ai limiti dell’ecofascismo.
Nei confronti della deep ecology Bookchin, inoltre, sottolinea la diversa visione delle relazioni tra esseri umani e mondo naturale: mentre l’ecologia profonda adotta una prospettiva biocentrica in base alla quale tutti gli organismi viventi hanno uguale valore e importanza, Bookchin rifiuta nettamente il biocentrismo da lui accusato di negare la specificità del ruolo degli esseri umani all’interno dell’evoluzione naturale. Ciò non implica in alcun modo l’adozione di una prospettiva antropocentrica da parte dell’ecologia sociale, ma anzi il rifiuto di ogni tipo di centrismo, in quanto giudicato gerarchico e autoritario.
Bookchin, sostenendo che le cause della crisi ecologica sono di tipo sociale, afferma con forza la necessità di una trasformazione radicale della società attraverso la costruzione di quella che egli chiama una società ecologica. Egli ritiene necessario prendere coscienza del fatto che il sistema capitalistico è incompatibile con il ristabilimento di un rapporto armonioso tra esseri umani e natura e deve dunque essere completamente smantellato e sostituito da rapporti totalmente differenti.

Poiché il dominio degli esseri umani sulla natura deriva, come si è detto, dal dominio dell’umano sull’umano è evidente che la nuova società auspicata da Bookchin dovrà essere priva di ogni forma di dominio, quindi non gerarchica e senza classi. L’eliminazione del dominio, in tutte le forme in cui esso si presenta, farà sì che la nuova società ecologica si orienti in senso libertario.

Secondo Bookchin, per la creazione della società ecologica, oltre a una profonda trasformazione sociale sono indispensabili anche trasformazioni culturali e personali che portino allo sviluppo di nuove sensibilità e nuovi modi di pensiero, in grado di interpretare le differenze non in una logica di dominio e di oppressione, ma apprezzandole e considerandole come ricchezza fondamentale per l’evoluzione sia naturale che sociale. Questa nuova sensibilità non gerarchica può essere raggiunta solo attraverso un lungo processo educativo, sia in senso intellettuale che etico, in grado di rendere ciascun essere umano responsabile delle proprie azioni e in grado di esercitare un’autentica cittadinanza, così da poter agire consapevolmente in prima persona, autogestendosi.

La sensibilità, la visione del mondo e lo stile di vita svolgono dunque per Bookchin un ruolo molto importante nell’ambito del processo rivoluzionario finalizzato alla sostituzione dell’attuale società gerarchica con la nuova società ecologica, tanto che, a suo parere, il rivoluzionario mentre cerca di cambiare il mondo deve necessariamente anche cambiare se stesso.
Accanto a tutto ciò viene auspicata la nascita di una politica di base in cui sia presente una chiara distinzione tra il potere decisionale e la sua esecuzione amministrativa: mentre il primo deve essere di competenza esclusiva di assemblee popolari, il secondo può essere affidato a un corpo amministrativo delegato, eletto con mandato revocabile in ogni momento. La società ecologica deve dunque essere caratterizzata dalla pratica della democrazia diretta, basata su assemblee popolari con pieno potere decisionale. Tutto ciò, ovviamente, implica il convincimento dell’esistenza di una competenza comunitaria e individuale tale per cui ciascun individuo è in grado sia di prendere decisioni riguardanti la comunità di cui fa parte, sia di essere un cittadino che si autogoverna. Tale riconoscimento della competenza individuale e comunitaria, di chiara derivazione anarchica, conduce alla creazione di una società antigerarchica, dove grande importanza ricopre il principio dell’azione diretta, infondendo fiducia nel singolo sulle proprie capacità di autogestirsi.

L’applicazione politica dell’ecologia sociale è costituita dal municipalismo libertario, o comunitarismo, le cui origini vengono chiaramente individuate da Bookchin all’epoca delle rivoluzioni americana e francese e nella significativa esperienza della Comune di Parigi del 1871.
Esso auspica lo sviluppo di libere municipalità di dimensioni contenute, decentrate, caratterizzate dalla democrazia diretta, ciascuna delle quali formata da una Comune di comuni più piccoli, perfettamente sintonizzati con l’ecosistema in cui si trovano.
Bookchin è inoltre convinto della necessità di decentralizzare la società per permettere il nascere di ecocomunità ben inserite nell’ecosistema di cui fanno parte. Egli è consapevole di come questa prospettiva decentralista possa suscitare sconcerto nell’essere umano contemporaneo, abituato a vivere nelle metropoli, evocando un’immagine di isolamento culturale e di stagnazione sociale, di un viaggio all’indietro nella storia fino alle società medioevali, ma è convinto che il cittadino sia in realtà molto più isolato e solo nelle grandi città di oggi di quanto non lo fossero i suoi antenati in campagna. È però importante sottolineare come la decentralizzazione, istituzionale più che territoriale, costituisca una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la creazione di una società ecologica, in quanto essa può convivere, come è avvenuto in passato, anche con istituzioni gerarchiche. Per questo motivo è importante che alla decentralizzazione si affianchi la realizzazione di una società realmente ecologica, basata sulla pratica dell’azione diretta, del mutuo appoggio, dell’autogestione, della democrazia diretta, del municipalismo libertario e soprattutto del confederalismo.
Per Bookchin la nuova società non può prescindere neppure da un radicale cambiamento economico: l’attuale sistema economico capitalista deve infatti essere radicalmente trasformato in quanto non compatibile con l’etica comunitaria. La questione non è scegliere se nazionalizzare o privatizzare l’economia, ma attuare una municipalizzazione dell’economia che implichi il controllo dei mezzi di produzione e dei servizi da parte della comunità intera: un’economia municipalizzata e morale, caratterizzata dai principi della reciprocità, dell’interdipendenza, della cura e dell’impegno reciproco.
Non si tratta quindi per Bookchin di avviare un processo rivoluzionario di tipo insurrezionale ma di costruire contro-istituzioni in grado di contrapporsi in maniera crescente al potere dello Stato.
L’importante, in ogni caso, è riaffermare quello che è un elemento fondante del pensiero anarchico: la necessità della coerenza tra i mezzi e i fini – non è un caso, del resto, che l’ecologia sociale sia stata definita anche eco-anarchismo o ecologismo anarchico.

Selva Varengo

selva.varengo@gmail.com

1 Tra i suoi libri più importanti tradotti in italiano segnalo M. Bookchin, L’ecologia della libertà, Milano, Elèuthera (1986), 2017, pp. 560. E il mio libro di sintesi del suo pensiero: S. Varengo, La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, Milano, Zero in condotta, 2020, nuova edizione, pp. 240.

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