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by Jerry Diamanti

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Se il pensiero sorge, sii presente in quello stato;
se il pensiero non sorge, rimani ugualmente presente.
Allora non c’è differenza tra i due momenti.
Chogyal Namkhai Norbu – Il Cristallo e la Via della Luce

La mente e il corpo non sono separati, però, per accedere ad un benessere che non è momentaneo, effimero e superficiale, che non dipende dal ”mi-piace” e dal “non-mi-piace”, è essenziale familiarizzarsi con la mente.

Questo scritto si fonda sulla pratica personale di alcune tradizioni contemplative del Buddhismo Tibetano, quindi orientali, però certamente anche in occidente si è riflettuto in modo approfondito sulla mente: basti pensare che esiste una sezione specifica della filosofia che si chiama appunto filosofia della mente, in cui, tra l’altro, si dibatte da secoli sul cosiddetto problema mente-corpo.
Anche il mondo scientifico occidentale ha iniziato ad accorgersi dell’importanza della mente: è sufficiente qui ricordare il vasto campo delle neuroscienze; inoltre ogni anno vengono prodotte centinaia di ricerche dalle più prestigiose università e centri di ricerca nel mondo sulla meditazione e sugli effetti terapeutici delle pratiche contemplative, tanto che sono stati coniati termini appositi come neuroscienze contemplative.
In questo ambito scientifico uno degli studiosi occidentali più interessanti è certamente Daniel Siegel, il fondatore della Neurobiologia Interpersonale (Interpersonal Neurobiology). Ecco come nel libro “Mappe per la mente” egli definisce appunto la mente:
“Mente” si riferisce all’esperienza soggettiva interiore e al processo della coscienza o consapevolezza. Inoltre la mente può essere definita come il processo che regola i flussi di energia e informazioni nel corpo e nelle relazioni, un processo emergente e auto-organizzantesi che dà origine ad attività mentali come l’emozione, il pensiero e la memoria. Questi aspetti della mente – l’esperienza soggettiva, la consapevolezza e l’essere un processo incarnato e relazionale che regola i flussi di energia e informazioni – sono tutti egualmente importanti nonché interdipendenti.
E poi continua con la seguente affermazione interessante sulla consapevolezza:
La consapevolezza è un aspetto fondamentale del modo in cui usiamo la mente per cambiare il corso della nostra vita, per apprendere nuove abilità e persino per cambiare la struttura del cervello, nonché per riflettere su ciò che ha significato. La consapevolezza rende possibili la scelta e il cambiamento.

Per fortuna non occorre essere un neuroscienziato o divenire uno studioso di filosofia della mente, e nemmeno un erudito di Buddhismo o di Advaita Vedanta: familiarizzarsi con la mente non è un’attività concettuale, non passa attraverso la riflessione filosofica o la lettura di libri, anche se leggere libri o articoli come questo, oppure riflettere sulle proprie credenze e condizionamenti mentali può, in generale, essere utile.
Per scoprire il funzionamento della mente, come essa si lega o si libera, come sorge la sofferenza e come cessa, occorre osservare direttamente la nostra mente: nell’osservare direttamente noi stessi possiamo scoprire che ci sono tre aspetti fondamentali:

1. Quando ci accorgiamo che sono presenti pensieri-emozioni, definiamo MOVIMENTO questo stato-funzionamento della mente, cioè constatiamo che la mente è IN-MOVIMENTO;
2. Per contro, chiamiamo QUIETE lo stato-funzionamento della mente quando non sono presenti pensieri-emozioni, cioè constatiamo che la mente è IN-QUIETE;
3. Ciò-che-conosce sia la quiete che il movimento lo definiamo CONSAPEVOLEZZA.

Anche se ovviamente sono state proposte, sia in occidente che in oriente, svariate mappe e definizioni della mente e del suo funzionamento, tutto quello che ci serve dal punto di vista di una pratica contemplativa, dal punto di vista di una conoscenza esperienziale della mente, è “solamente” dare continuità al riconoscimento della quiete e del movimento, imparando ad integrare la quiete nel movimento e il movimento nella quiete, rilassandoci nella nuda consapevolezza.
A prima vista potremmo credere che questi due stati mentali che possiamo definire con quiete, silenzio, stato calmo da una parte, e, dall’altra, movimento, attività, “rumore”, siamo qualcosa di separato e contrapposto, ma in realtà non è così. La quiete è quiete in relazione al movimento: senza il movimento non sarebbe possibile definire e riconoscere la quiete. Il movimento è movimento in relazione alla quiete: il movimento di pensieri-emozioni sorge e ritorna alla quiete, e senza la quiete non sarebbe possibile definire e riconoscere il movimento. Quindi si può scoprire nella propria esperienza come quiete e movimento non sono due stati contrapposti, separati, uno positivo, da ricercare e l’altro negativo, da rifiutare: ma sono due polarità complementari, reciprocamente e dinamicamente in relazione, che si manifestano ambedue nello spazio aperto della consapevolezza.
Nella tradizione dello Dzogchen si dice che “la quiete (lo stato calmo) è l’essenza della mente e il movimento è la sua energia”, cioè quiete e movimento sono inseparabili: per chiarirlo si usano le metafore del “mare e le sue onde” oppure del “sole e i suoi raggi”. Allo stesso modo anche consapevolezza e contenuti della consapevolezza sono inseparabili: essere in grado di riconoscere e differenziare la consapevolezza (o coscienza) dai suoi contenuti (la totalità delle esperienze dei 5 sensi e della mente) è un aspetto importante del cammino contemplativo: questo non vuol dire però che si possano separare, infatti sono originariamente non separati, fin dall’inizio non c’è dualità fra soggetto che conosce e oggetto conosciuto.
Dal punto di vista della pratica contemplativa, quando ci si rilassa nella presenza consapevole, senza interferire, senza fare nulla, mantenendo un continuo riconoscimento della quiete e del movimento, allora si manifesta una spaziosa chiarezza che è libera sia dalla quiete e sia dal movimento, e nello stesso tempo li accoglie e li comprende entrambi. Quando invece non riconosciamo la quiete come quiete e il movimento come movimento, ma attraverso il trattenere e il respingere, attraverso l’attaccamento e l’avversione, interferiamo con il naturale dispiegarsi della mente, allora diventiamo identificati, bloccati, perdiamo il nostro stato naturale e non siamo più liberi.

Tulku Urgyen Rinpoche lo ha spiegato molto efficacemente nel modo seguente:
Lasciate soltanto cha la vuota consapevolezza continui nella sua nudità. Se lo permettete, proprio quella è la mente di tutti i Buddha.
Prima dovete capire e assaporare quello stato; poi dovete realizzarlo realmente. Seguendo questa via, prima riconoscete la natura e poi vi allenate sviluppando la forza del riconoscimento, e, alla fine, ottenete la stabilità. Questo è tutto. Riconoscete il momento in cui siete svegli, in cui non siete coinvolti negli oggetti percepiti, in cui la mente che percepisce è non impegnata, senza occupazione, libera. Non siete contaminati da nessuna emozione. Quando la sveglia presenza originaria è completamente presente, pienamente realizzata, è il significato effettivo della parola Buddha, il puro e perfetto stato risvegliato. La via del risveglio consiste nel rendere questo stato abituale e stabile.
Prima lo riconoscete, poi vi allenate e lo stabilizzate: ed ecco l’illuminazione. Avete raggiunto la conoscenza trascendente, sull’altra sponda, al di là della sponda della conoscenza dualistica.

Sebbene la presenza consapevole sia istantanea, immediata, e non ci sia nulla da sviluppare o costruire, allo stesso tempo, come evidenziato nella citazione precedente, dal punto di vista del praticante, nel cammino dello Dzogchen si distinguono tre “momenti” che rappresentano una sorta di fiorire naturale della comprensione. All’inizio c’è il riconoscimento, cioè si percepisce direttamente e chiaramente quando la mente è presente, sveglia, e nello stesso tempo libera, vuota, non impegnata; poi ci si allena mantenendo tale riconoscimento sia nella meditazione formale e sia nella vita quotidiana, e infine si manifesta la stabilità del riconoscimento, cioè dimoriamo stabilmente (o con una sempre maggiore continuità) in una consapevolezza spaziosa e ricettiva che è naturale e spontanea, non legata allo sforzo e all’intenzione.
A questo punto potrebbe sorgere una domanda del tipo “quando osservo la mia mente sono consapevole quasi esclusivamente del movimento, cioè dell’attività della mente che si manifesta con un rincorrersi e un accavallarsi di pensieri-emozioni che spesso mi portano via, spesso sono perso nel movimento dei pensieri; solo molto raramente sperimento brevi momenti di quiete e sono veramente presente: cosa devo fare?”
È una domanda del tutto plausibile, a cui è possibile dare risposte anche molto diverse, a seconda del punto di vista e della tradizione spirituale a cui si appartiene, piuttosto che della persona reale che pone la domanda. In questo contesto poniamo la domanda non certo per fornire una risposta completa ed esaustiva (ammesso che esista), ma per dire che una possibile “soluzione” che si può esplorare nella propria pratica meditativa è quella di non fare nulla, possiamo imparare a non fare nulla e, contemporaneamente, a rimanere non-distratti, svegli, presenti.
Rodney Smith, nel suo libro “Awakening, a paradigm shift of the heart”, lo ha espresso in questo modo interessante:
Noi abbandoniamo il rumore dei nostri pensieri nel silenzio, non aggiungendo nulla all’esperienza.
Che potremmo anche parafrasare dicendo “Noi abbandoniamo il movimento della mente nella quiete, non aggiungendo nulla all’esperienza”.
Kosho Uchiyama Roshi, un maestro Zen Giapponese del secolo scorso, utilizzava una immagine molto eloquente: “aprire la mano del pensiero”.
Si può esprimere la stessa cosa in un modo più tradizionale, ricordando il sintetico insegnamento impartito da Tilopa a Naropa:
Figlio, non sei legato dalla percezione, ma dall’attaccamento. Perciò Naropa recidi l’attaccamento.
Soprattutto se non abbiamo alcuna esperienza contemplativa queste istruzioni ci possono sembrare, a prima vista, contro intuitive e paradossali: ma è proprio così? Forse abbiamo fatto l’esperienza di sentirci agitati, e di cercare di bloccare i pensieri che ci agitavano: abbiamo avuto successo, oppure lo sforzo stesso di scacciare i pensieri li ha alimentati e incrementati?
Quando osserviamo direttamente la mente con la mente, possiamo accorgerci che non ci sono due menti: non c’è una mente che controlla e che con la volontà e lo sforzo rende tranquilla l’altra mente che è agitata. La mente che si agita è la stessa mente che si tranquillizza, la mente che si tranquillizza è la stessa mente che si agita. La mente che si lega è la stessa mente che si libera, la mente che si libera è la stessa mente che si lega.
Una volta che abbiamo imparato a dimorare nella consapevolezza ricettiva, allora tutto il movimento, tutta l’attività della mente si auto-libera, cioè si libera spontaneamente, non facendo nulla; viceversa, proprio perché non facciamo nulla, cioè non alimentiamo, non sviluppiamo o espandiamo i pensieri e, contemporaneamente, non facciamo resistenza, non cerchiamo di cambiarli o di sbarazzarci dei pensieri, ma ci rilassiamo nella spaziosità e immediatezza della presenza, allora la mente si auto-libera.
Chogyal Namkhai Norbu si esprime in questo modo:
Non sono le circostanze, che sorgono come visione karmica, a condizionare la persona; quello che condiziona è il proprio attaccamento. Se questo attaccamento deve essere eliminato nel modo più rapido ed efficace, deve entrare in gioco la spontanea capacità di auto-liberazione della mente.

Quiete, silenzio, tranquillità, vacuità sono parole; movimento, attività, rumore, contenuti mentali sono parole; coscienza, consapevolezza ricettiva, presenza istantanea, continuità e stabilità del riconoscimento sono parole.
Se non facciamo esperienza diretta di queste parole, se non le attualizziamo, se il significato di queste parole non diventa “carne”, allora rimangono parole morte che ingombrano e appesantiscono inutilmente la mente.
Se le sperimentiamo, le assaporiamo con sempre maggiore chiarezza, se diventano parte del nostro vivere quotidiano e, a qualche livello, informano e orientano la nostra vita, allora queste parole diventano vive, vitali, feconde e ci permetto di vivere con maggiore benessere e serenità, e ci riconducono verso il nostro stato naturale, ciò che siamo più autenticamente.
Per finire, esprimo con le parole di Achan Chah, l’augurio che tutti noi si possa riscoprire quella saggezza che nasce quando la mente è simile ad “una corrente d’acqua ferma”.
Ecco, quando arrivate dove il pensiero non vi può portare, è proprio allora, in quella quiete, che si sviluppa la saggezza. In quel momento la mente è simile ad una corrente d’acqua, eppure è ferma. Sembra praticamente immobile, eppure scorre. Per questo dico ‘una corrente d’acqua ferma’. In questa mente può nascere la saggezza.

Pietro Thea

pietro.thea@sedendoquietamente.org

www.sedendoquietamente.org

Questo breve scritto è una personale riflessione che fa riferimento, da una parte alla mia pratica contemplativa, e dall’altra nasce da tutti gli insegnamenti di Dzogchen e Mahamudra ricevuti; inoltre esso è stato innescato dalla lettura di un testo del maestro Tibetano Mipham Gyatso tradotto da Giuseppe Baroetto che ringrazio: di seguito i link alla sua traduzione e commento
https://giuseppe-baroetto.blogspot.com/2015/10/punto-essenziale.html?m=0
https://www.academia.edu/27871158/Mipham_IL_PUNTO_ESSENZIALE

Queste riflessioni sono una dedica e un ringraziamento al maestro Chogyal Namkhai Norbu che mi ha introdotto direttamente alla natura della mente e mi ha consentito di conoscere le tradizioni contemplative Tibetane dello Dzogchen e della Mahamudra. Sebbene senza il suo insegnamento non avrei potuto comporre questo scritto, esso però non è legato a nessuna particolare tradizione, ma si basa sulla mia comprensione e sensibilità corrente.

Pur essendo consapevole dell’importanza delle tradizioni, personalmente faccio riferimento ad una spiritualità diretta, esperienziale, sperimentale, non settaria e non dogmatica, che si fonda sulla fiducia nella propria esperienza diretta, unita ad continuo raffinamento della comprensione e del modo di vedere.

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

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    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

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    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

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    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

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    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

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    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

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    Claudia Panico

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    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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