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by Jerry Diamanti

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L’importanza del corpo è enorme; è la nostra realtà fisica. Quindi forse sarebbe ora che riconoscessimo non solo che “non esiste alcuna funzione umana che non coinvolga sia il cervello che il contesto sociale” [1], ma anche che certamente non esiste alcuna funzione umana che non coinvolga anche i nostri corpi e tutto ciò che questo implica. E potremmo chiederci che cosa implica in realtà? La scienza in generale è stata interessata a un mondo “là fuori”. Tuttavia, in gran parte a causa della fisica quantistica, la coscienza, la consapevolezza, l’esperienza interiore e la percezione umana vengono ora presi sul serio in molti campi di studio come la psicologia transpersonale, l’antropologia e la neuroscienza.

Anche nuove discipline come gli studi sulla coscienza e la biologia elettronica sono state create. La psicologia, nel suo tentativo di essere riconosciuta come una scienza, ha ampiamente fatto oggetto del suo campo di interesse  l’essere umano considerato in modo meccanico. Anche la psicologia, quasi per definizione, si è occupata principalmente di alcuni aspetti, vale a dire la mente (solitamente associata al cervello), i processi e i comportamenti neurologici ed ha quindi trascurato il corpo. Il metodo fenomenologico, come ulteriore modo per ottenere informazioni attraverso l’introspezione, sarà brevemente discusso qui. In questo saggio verrà considerato l’effetto sui nostri corpi dei nostri pensieri quando nominiamo emozioni come rabbia e paura. Inoltre, il modello della “matrice vivente”, che deve la sua origine alla meccanica quantistica e alla biologia elettronica, sarà presentato come un nuovo modo complementare per capire come funziona l’organismo vivente. Verranno inoltre presentati i principi di base della realtà quantistica.

INTRODUZIONE


Quando il soggetto della psicologia diventa l’intero “essere umano”, che abbraccia mente, corpo e anima, esso, come disciplina, può eventualmente gettare più luce su cosa significhi essere un essere umano includendo anche nel suo campo di studio l’esperienza interiore dell’individuo, compresa quella del ricercatore. In questo modo possiamo tagliare tutta l’apparente complessità che vediamo all’esterno e anche scoprire come la mente, compresi i pensieri esterni, influenza e interagisce con i nostri corpi.
Anche se Cartesio, in risposta alla sua domanda “che cosa sono io?” È giunto alla conclusione che “era una cosa di pensiero immateriale con le facoltà di intelletto e volontà” [2] la maggior parte di noi, a meno che non soffriamo di una sorta di patologia, può ammettere che siamo di più  delle nostre menti pensanti e che siamo anche esseri senzienti.

MODI DI GUARDARE LE EMOZIONI

Gli psicologi hanno studiato le emozioni negli esseri umani e negli animali per scoprire di più su di loro e sui fattori coinvolti.  Sono state quindi generate delle ipotesi e successivamente sono state testate attraverso procedure sperimentali. Andando oltre l’osservazione e la descrizione,  gli psicologi hanno anche meditato sui sistemi coinvolti. A volte questi due approcci si sovrappongono. Gli psicologi scoprono anche di più sulle emozioni e sui fattori coinvolti attraverso l’indagine di argomenti su loro stessi. Sulla base di questi approcci, sono state avanzate diverse teorie che coinvolgono e cercano di spiegare la classificazione, l’origine, la posizione, l’esperienza e la funzione delle emozioni in generale. Lo stesso si può dire per emozioni specifiche come la rabbia.
Naturalmente, gli psicologi non sono i soli che hanno studiato le emozioni. Nei tempi classici le emozioni sono state studiate dai filosofi naturali. In Oriente, il modo in cui lavorare e trasformare le emozioni è in realtà parte del soggetto materia del classico spirituale conosciuto come Bagavadgita [3].

Uno dei molti psicologi che hanno osservato i fenomeni delle emozioni attraverso l’osservazione personale o dall’esterno è William James. Ha considerato che il fenomeno fisiologico o l’esperienza della risposta corporea, che segue direttamente una percezione dell’evento, è ciò che dà origine all’esperienza dell’emozione [4]. Ha quindi continuato a considerare il sistema coinvolto, che ha identificato come sistema nervoso autonomo (SNA). Da allora diversi psicologi hanno sempre più affinato le loro conoscenze sulle emozioni, sul SNA e sulle diverse posizioni nel cervello, che corrispondono all’eccitazione emotiva. Altri psicologi hanno proposto che l’aspetto cognitivo controlla la qualità e l’intensità delle emozioni: ad esempio, Lazzaro [5] le ha definite in base al loro “nucleo” temi relazionali ”.

Eppure altri, come Prinz [6], hanno combinato l’esperienza somatica con l’aspetto cognitivo, in un approccio a volte noto come neo-Jamesiano. Griffiths e Scanarantino [7] hanno adottato una prospettiva più ampia introducendo l’importanza dell’ambiente sociale e culturale nello sviluppo e nella comunicazione delle emozioni. Questo è solo per citare alcune ricerche perché ci sono molte più teorie sull’emozione.
Alcuni psicologi cercano di trovare i fattori coinvolti nelle emozioni attraverso l’uso di self-report e questionari. Ad esempio, negli studi sull’aggressività abbiamo il questionario sull’aggressività Buss-Perry [8] e il CAMA (Cuestionario de Actitudes Morales sobre Agresión) originariamente costruito da Lagerspetz & Westman [9] e successivamente rivisto da Ramirez [10] e da Ramirez & Folgado [11].
Anche gli etologi hanno studiato le emozioni negli animali e nell’uomo. Darwin pensava che le emozioni aiutassero la sopravvivenza, sostenendo che “i giovani e gli anziani di razze molto diverse, sia nell’uomo che negli animali, esprimono lo stesso stato d’animo con gli stessi movimenti” [12]. La connessione tra uno stato d’animo e la sua organizzazione neurologica è un aspetto importante del pensiero darwiniano. Anche Darwin ha influenzato lo studio della risposta emotiva che si concentra sui modelli di movimento del viso; e gli etologi moderni hanno dimostrato in che modo, insieme ai modelli vocali come segnali, aiutano a regolare il comportamento nell’infanzia e nella prima infanzia [13].

L’APPROCCIO FENOMENOLOGICO

Hockenbury e Hockenbury [14] nella loro definizione identificano le emozioni come aventi tre componenti: “un’esperienza soggettiva, una risposta fisiologica e una risposta comportamentale o espressiva”.
Quindi un altro modo di studiare le emozioni è dall’interno verso l’esterno, cioè l’esperienza del soggetto. Questo, in generale, è noto come l’approccio fenomenologico e ha le sue radici nel lavoro filosofico di Edmund Husserl [15]. Sebbene ci siano molti stili di fenomenologia, secondo lui, il suo scopo centrale è “ascoltare” le cose stesse “… in altre parole, come la cosa studiata si descriverebbe se avesse la capacità di parlare?” [ 16]. Implica anche l’introspezione. Stranamente, Goethe ha preceduto Husserl, ma, come condivide Seamon, solo nel ventesimo secolo, con l’articolazione filosofica della fenomenologia, abbiamo un linguaggio concettuale in grado di descrivere accuratamente il modo scientifico di Goethe …. A suo tempo, il modo scientifico di Goethe era molto insolito perché questi si era allontanato da un approccio materialista alle cose in natura e  sottolineava, invece, un incontro intimo e diretto tra studente e cosa studiata. Il contatto esperienziale diretto divenne la base per la generalizzazione e la comprensione scientifica [16, p. 1].

La curiosità, la scoperta e spesso la sorpresa sono inerenti al metodo poiché la natura rivela lentamente i suoi segreti attraverso sussurri di intuizione all’osservatore ardente e impegnato. In questo il periodo di Husserl è compreso tra l’8 aprile 1859 e il 27 aprile 1938, mentre Goethe nacque il 28 agosto 1749 e morì il 22 marzo 1832.
I fenomeni del metodo sono certamente descritti “il più chiaramente possibile” anche se non come fine in sé, ma come un modo per lo scienziato di aprirsi alle cose della natura, di ascoltare ciò che dicono e di identificarne gli aspetti e le qualità fondamentali . Goethe voleva che “incontrassimo la natura rispettosamente e scoprissimo come si appartengono tutte le sue parti, inclusi noi stessi” [16, p. 8]. Mentre la scienza analitica si occupa principalmente della causalità, la fenomenologia si occupa della finalità anche se può anche includere la prospettiva analitica come l’indagine delle nostre esperienze da un punto di vista fenomenologico e può dare origine a nuove interessanti prospettive che possono quindi essere verificate attraverso l’empirismo.

IL “FELT SENSE” E SOMATIC EXPERIENCING

L’uso dell’approccio fenomenologico potrebbe essere un modo ideale per scoprire di più su come sperimentiamo stati emotivi all’interno o attraverso i nostri corpi quando noi (compresi i nostri corpi) siamo di fronte a diverse situazioni nel mondo esterno, o anche come i nostri corpi reagiscono ai nostri pensieri. Il Felt Sense è descritto da Eugene Gendlin [18] nel suo libro Focusing nel modo seguente:
Un senso sentito non è un’esperienza mentale, ma fisica … Una consapevolezza corporea di una situazione o persona o evento. Un’aura interna che racchiude tutto ciò che senti e conosci sull’argomento dato in un determinato momento – lo racchiude e lo comunica a tutti in una volta piuttosto che dettaglio per dettaglio …. Un senso sentito non ti arriva nella forma di pensieri o parole o altre unità separate ma come … sentimento corporeo. [18, pagg. 31-32] Il tracciamento del Felt Sense del corpo è stato sviluppato in una terapia di guarigione dal trauma da Levine [17] che l’ha definita esperienza somatica. Curiosamente, concentrarsi sulle sensazioni interiori e descriverle, ma non nominare l’emozione che rappresentano, è stato anche trovato molto terapeutico [18].

MAPPATURA CORPOREA DI EMOZIONI COMPRESO LA RABBIA

Recentemente è stata condotta una ricerca originale molto interessante sull’esperienza somatica attraverso un metodo di auto-relazione chiamato “mappatura del corpo” che, attraverso l’uso della tecnologia informatica, rivela dove le persone provano emozioni diverse nel corpo [19]. Applicandolo, Nummenmaa, Glerean, Hari et al., hanno scoperto che “ogni emozione era topograficamente diversa l’una dall’altra e che queste mappe mostravano una concordanza tra campioni dell’Europa occidentale e dell’Asia orientale. Le emozioni adattano i nostri stati mentali e anche fisici per far fronte alle sfide rilevate nell’ambiente ”[20]. Hanno anche mappato la rabbia.

Lauri Nummenmaa, Enrico Glerean, Riitta Hari, and Jari K. Hietanen
PNAS January 14, 2014 111 (2) 646-651; https://doi.org/10.1073/pnas.1321664111

L’indagine interiore delle nostre esperienze somatiche da un punto di vista fenomenologico può anche svolgere un ruolo nell’aiutarci a generare ipotesi che possono essere verificate dalla scienza e anche a far luce su come noi, o almeno i nostri corpi, stiamo effettivamente vivendo e reagendo al nostro ambiente, sia l’ambiente esterno che il nostro ambiente interno che è creato dai nostri pensieri e storie.

Quando considero la rabbia, non posso fare a meno di sentire l’emozione della rabbia correlata alla risposta di lotta e fuga che Cannon [21] ha identificato tanti anni fa. All’esame interiore, quando nomino il combattimento e poi la rabbia emotiva, le sensazioni nel mio corpo sono molto simili per il combattimento e la rabbia, con una leggera differenza di intensità per la rabbia in cui c’è più attivazione nella testa. Sono consapevole delle mie braccia e più in particolare dell’attivazione delle mie mani; l ‘”energia” interiore sembra andare nella parte superiore del mio corpo e anche la gola e la mascella si attivano. Questo è ciò che ci si aspetterebbe logicamente come in una situazione di pericolo o pericolo percepito, poiché tutte queste aree diventerebbero “armi di attacco o di difesa”. Quando contemplo la parola “aggressione” per vedere se evoca le stesse sensazioni interiori di ” lotta” o “rabbia” trovo che aree simili siano attivate, ma scopro anche che le sensazioni nella gola, nella mascella e nella testa sono più pronunciate rispetto alle mie mani e che anche le mie spalle sono coinvolte.

In base alla mia esperienza, prevederei che se mappassimo lotta, rabbia e aggressività, scopriremmo che la distribuzione topografica delle sensazioni sarebbe molto simile, forse con le sensazioni che hanno a che fare con la rabbia più pronunciate rispetto a quelle coinvolte con la lotta e anche più attivazione in la testa. Anche con l’aggressività, mi aspetterei che ci sia una leggera differenza qualitativa dalla rabbia in quanto le sensazioni sarebbero probabilmente più intense nelle spalle, nella gola, nella mascella e nella testa.
D’altra parte, considerando la risposta alla paura, predirei uno scenario molto diverso poiché ritengo che sebbene faccia parte di un continuum di fuga, paura e dissociazione, ogni emozione corrisponde a sensazioni corporee molto diverse. Se la reazione di base a un pericolo percepito fosse la fuga, mi aspetterei che il Felt Sense fosse principalmente nelle gambe e in qualche modo in tutto il corpo. Tuttavia, se il soggetto non fosse in grado di agire sull’impulso di correre o fosse per qualche motivo incapace di correre, il Felt Sense cambierebbe e le sensazioni si sposterebbero nello stomaco e nella parte superiore del corpo e probabilmente una risposta di congelamento accompagnata da contrazione sarebbe sentita insieme alla mancanza di capacità di muoversi. Senza dubbio la persona lo identificherebbe come paura. Se la minaccia continuasse e il soggetto avesse l’impressione che non ci fosse via d’uscita, mi aspetterei che la persona si dissoci da tutte le sensazioni del corpo. In questo caso il soggetto potrebbe avere delle sensazioni nella testa o nessuna. Queste previsioni si basano sulle mie esperienze interiori quando si nominano le diverse condizioni.

Lauri Nummenmaa, Enrico Glerean, Riitta Hari, and Jari K. Hietanen
PNAS January 14, 2014 111 (2) 646-651; https://doi.org/10.1073/pnas.1321664111

Quando esaminiamo ora alcuni dei risultati di Nummenmaa et al., [19]  dobbiamo ricordare che il loro studio non era né diretto ad affrontare queste ipotesi direttamente né a identificare le sottili differenze dell’esperienza somatica tra lotta, rabbia e aggressività.
Dai loro risultati non siamo in grado di accertare se la lotta, la rabbia e l’aggressività siano topograficamente diverse puramente perché non sono state studiate separatamente. Tuttavia, si noterà in  che l’attivazione topografica del corpo per la rabbia è certamente ciò che mi aspettavo anche per la lotta per le aree più attivate che si verificano nelle mani, nella parte inferiore della faccia o nella mascella e nella parte superiore del corpo. Comunque con la rabbia si attiva anche la testa. Ciò merita certamente ulteriori ricerche perché potrebbe rivelare una comprensione più completa dell’intera gamma di informazioni di supporto (SI) delle sensazioni interiori che hanno a che fare con la rabbia e gli stati correlati come la lotta e l’aggressività.
La risposta alla paura cambia nelle diverse situazioni testate [19].  Dove le emozioni di base sono state innescate attraverso narrazioni guidate, vediamo che i soggetti che hanno sperimentato hanno incluso l’attivazione delle gambe. È abbastanza probabile che le immagini guidate consentissero ai soggetti di risuonare con la risposta di fuga piuttosto che con la risposta di paura poiché l’area topografica attivata è certamente coerente con l’attivazione delle aree necessarie per scappare. La paura, tuttavia, essendo uno stato qualificato in modo diverso rispetto alla fuga, è sperimentata topograficamente nella parte superiore del corpo, più o meno come previsto. È interessante notare che nell’ esperienza 1 c’è più attivazione nella pancia che nell’esperienza 3. Non c’è uno stato registrato da Nummenmaa et al., [19] che corrisponde alla dissociazione. È anche interessante che il soggetto neutro  abbia la regione “testa” attivata; potremmo aspettarci questo, poiché l’esercizio ha a che fare con l’ascolto di narrazioni, che è una “attività mentale”.
Questo studio solleva molte interessanti domande sulla rabbia e la paura e sui loro stati correlati, anche se non è stato diretto a comprenderli in modo più approfondito.

QUALE AMBIENTE?

Riassumendo, Nummenmaa et al. [19] affermano che le emozioni “adattano i nostri stati mentali e anche fisici per far fronte alle sfide rilevate nell’ambiente”. È qui che dobbiamo chiarire ulteriormente chiedendoci quale ambiente. C’è l’ambiente al di fuori dei nostri corpi e anche l’ambiente creato dai nostri pensieri all’interno. In alcune filosofie orientali la mente è vista come il “senso dietro i sensi” che riceve informazioni e risponde nel creare sensazioni interne e come tale le sensazioni che stiamo ricevendo attraverso i nostri corpi non devono provenire solo dal mondo esterno ma dal nostro mondo interiore della mente. Nel loro esperimento hanno usato tre diverse condizioni sperimentali: parole emotive, storie o film ed espressioni facciali in cui il soggetto deve identificare le sensazioni del corpo interno delle persone che esprimono espressioni facciali diverse.

L’esperienza 1 riguarda le emozioni di base associate alle parole. L’ambiente interno è chiaramente attivato quando nominano ogni emozione e si esamina come viene vissuta nel corpo.

L’esperienza 2 relativa alle storie o ai film può dipendere dal fatto che il soggetto stia pensando alla storia o che si consideri effettivamente parte della storia. Quest’ultimo sembra probabile nella risposta alla paura in cui l’area topografica attivata sembra distinta dall’esperienza 1. In questa condizione l’area attivata includeva le gambe ed era quindi più coerente con la fuga o il “fuggire”. Potrebbe anche essere correlato alla risposta di fuga. D’altra parte, essendo una storia, l’area topografica attivata includeva anche l’area della testa. La differenza tra le figure neutre nella condizione 1 e 2, indica anche che la condizione 2,  è stata percepita come un compito, che attiva l’area della testa.

L’esperienza 3 che richiedeva che il soggetto identificasse le sensazioni provate da un’altra persona dal  viso
rivela risultati simili all’esperienza 1 e ancora una volta l’area della testa viene attivata sia per la rabbia che per la paura. Ciò che è interessante, la figura neutra mostra anche aree più fredde nel corpo rispetto all’attività 1 e all’attività 2. Il motivo comune sottostante i risultati nell’attività 3 sembra che potrebbe coinvolgere un sistema diverso o almeno un percorso del recettore diverso verso una delle attività 1 o attività 2.

LA MATRIX VIVENTE

La matrice vivente è un termine coniato da Oschman e Oschman [22]. Si riferisce a una rete molecolare interconnessa che consente la comunicazione ad alta velocità tra tutti i sistemi del corpo. “La matrice vivente influenza ogni processo fisiologico nel corpo. È un substrato materiale ed energetico per le comunicazioni che integra e coordina tutte le azioni “[23, p.23]. J.L. Oshman fu influenzato dal lavoro del premio Nobel Szent-Györgyi che, osservando la reazione del suo gatto a un serpente, giunse alla conclusione che questa “levitazione” o “bong” istantanea del gatto era molto più veloce di qualsiasi sistema che fosse ancora stato spiegato in termini scientifici. Ha scartato gli impulsi nervosi e le reazioni chimiche poiché entrambi sono troppo lenti per spiegare la “vita” e ha invece proposto un sistema di elettronica molecolare e conduzione nel collagene, che ora ha dato origine a un campo chiamato “biologia elettronica”. “La vita è troppo rapida e sottile per essere spiegata da reazioni chimiche e impulsi nervosi che si muovono lentamente . Sta succedendo qualcos’altro”[24, p.194]. Szent-Györgyi sentiva quindi che doveva essere un sistema sub-molecolare piuttosto che qualcosa di meccanico. In questo mondo “gli attori non possono essere altro che unità piccole e altamente mobili come elettroni e protoni” [23, p. 20]. Ciò ha dato origine all’idea che il design di base del corpo è sia meccanico che energetico. Oschman crede anche che “la matrice è il sistema che collega i nostri pensieri, le nostre parole e gli eventi che ci circondano, fino al nucleo e al materiale genetico” [23, p. 23].

Per riassumere, la risposta ultra rapida del gatto di Szent-Györgyi è ora vista come una reazione di un sistema olistico continuo che è costituito da una matrice all’interno di una matrice all’interno di una matrice in cui “la cellula ha un nucleo, che è una matrice, che è all’interno di una matrice più grande – il citoscheletro – che è all’interno di una matrice più grande, che chiamiamo tessuto connettivo ”[23, p. 23]. Ciò si estende anche al di fuori del corpo come “biofield e altre emanazioni elettriche” [23, p.23]. Numerosi documenti di ricerca che coinvolgono il fenomeno “biofotonico” in batteri, piante, animali e umani supportano anche questo [25].

CELLULE DI RECEZIONE

Oschman [23] suggerisce che alcuni dei segnali che arrivano nell’organismo sono al di sotto della soglia, nel senso che “non sono abbastanza forti da generare un impulso neuronale”. Tuttavia dal punto di vista di un biologo, egli ritiene che anche se “gli eventi della soglia inferiore non vengono trasmessi al cervello … i sistemi viventi sono caratterizzati dalla loro grande efficienza … Forse L’informazione al limite sub-liminale o sotto-soglia è importante. Forse a certe condizioni quell’informazione ti salverebbe la vita ”[23, p.27]. Queste considerazioni lo hanno portato a suggerire che le “informazioni sulla sotto-soglia vanno nella matrice. I nostri sensi dividono le informazioni in due percorsi, la matrice vivente e la neuromatrix ”[23, p. 27]. Forse la suddivisione delle informazioni nella via della matrice vivente e nella via neurologica da parte delle cellule recettoriali dei diversi organi di senso è ciò che consente alla percezione neurologica di rimanere gestibile [23, p. 26]. Secondo lui, il percorso subconscio della matrice vivente dà origine all ‘”azione autentica” e al percorso neurale verso l’ “azione riflessiva”.

Oschman [23] ipotizza inoltre che “l’ingresso sotto soglia nella matrice dà origine a ciò che è stato tradizionalmente chiamato subconscio” [23, p. 27]. E basandosi su questa ipotesi, “gli input sensoriali nel subconscio possono operare fino a zero intensità, a livello quantico” [23, p. 28].

D’altra parte, Ramirez usa da molti anni il termine percezione extra sensoriale per riferirsi a informazioni che aggirano i nostri recettori di senso normali e che non sono deducibili dall’esperienza precedente. Lo yogi e filosofo Srinivas Arka si riferisce anche ai nostri sensi mistici che accedono alle informazioni e danno origine a ciò che è noto come conoscenza intuitiva [26]. È ancora da dimostrare se le cellule del recettore funzionino nel modo sopra indicato da Oschman. La sua teoria sembra parlare di come le informazioni entrano nel sistema mentre Ramirez e Arka sembrano parlare di come possiamo accedere alle informazioni. Tuttavia, tutti sembrano concordare sul fatto che l’essere umano può accedere alle informazioni, che non arrivano in modo normale attraverso i sensi e il percorso neurologico di Oschman dice anche “non conosciamo i limiti della consapevolezza sensoriale. Certamente sai molto più di quanto pensi di sapere ”[23, p.28]. Ciò suggerisce che il nostro subconscio è il luogo in cui sono immagazzinate grandi quantità di informazioni dal nostro ambiente, incluso naturalmente altre persone. Questo è anche coerente con la teoria di Arka (26) sui diversi livelli di coscienza.

LA MATRICE VIVENTE E LE EMOZIONI

Una proposta interessante è che probabilmente abbiamo due modi di conoscere, uno che viene dalla mente cosciente e un altro che è extra sensoriale proveniente dalla matrice. Il modo in cui accediamo alle informazioni nel subconscio deve ancora ricevere risposta. Subliminalmente sembra che riceviamo continuamente informazioni dall’ambiente, comprese le altre persone, le nostre menti e probabilmente anche le menti degli altri.
Se rispondiamo ai nostri pensieri quando diamo semplicemente un nome ad un’emozione, è molto probabile che il nostro sistema sensibile raccolga anche i sentimenti, le emozioni e persino le intenzioni degli altri. Certamente i nostri corpi, come quello del gatto di Szent-Györgyi, raccoglieranno anche segnali che hanno a che fare con la nostra sopravvivenza quasi istantaneamente.

Questo ci porta alla risposta di attacco o fuga. La lotta è considerata dagli psicologi diversa dalla rabbia, anche se sembra che qui possa coinvolgere la stessa area topografica nel corpo. Potrebbe essere che la rabbia sia una risposta ai nostri pensieri e storie? D’altra parte, la risposta al combattimento potrebbe essere suscitata da qualcosa di pericoloso o percepita come pericolosa per l’ambiente esterno. Questa risposta, quando attivata dall’esterno, probabilmente comporta anche cambiamenti e comportamenti fisiologici e persino emozioni miste piuttosto che una singola emozione.
Anche in questo caso occorre prestare attenzione, poiché ciò che è pericoloso e ciò che viene percepito come pericoloso può anche essere una proiezione dei nostri pensieri e delle nostre storie. Quando iniziamo a pensare a pensieri ed emozioni come energia che influisce sulla nostra matrice vivente e che questa matrice vivente fa parte di una matrice vivente molto più grande, che a sua volta fa parte di una matrice vivente molto più grande, iniziamo a capire la natura interconnessa dell’universo.

ALCUNE IMPLICAZIONI DELLA TEORIA DELLA MATRICE VIVENTE

Questo modello di matrice vivente probabilmente rivoluzionerà nel tempo il modo in cui gli psicologi vedono le emozioni. In linea di principio, è complementare al modello di “matrice neurale” di come funziona l’organismo vivente. Dalla ricerca sull’embrione sappiamo che alcuni aspetti del corpo, comprese le cellule che in seguito diventeranno mesoderma, si sviluppano effettivamente anche prima che ci sia un corpo, come lo conosciamo.
Anche il sistema correlato al cuore e il cuore stesso come organo si sviluppano prima del cervello [27]. In questo senso, lo strato meso o il tessuto connettivo possono essere visti come parte del nostro sistema primario insieme al sistema cardiaco. Pertanto, il sistema neurale potrebbe non essere così primario come è stato generalmente assunto. In questo contesto, il sistema neurale, che si sviluppa solo in seguito, è quindi secondario.

Le sensazioni corporee che hanno a che fare con le emozioni possono essere attivate in diversi modi. Il primo è uno stimolo che può arrivarendirettamente dall’ambiente come nel caso del gatto di Szent-Györgyi quando vide il serpente. Come abbiamo visto, questo evento ha dato origine alla teoria della matrice vivente su come funziona l’organismo vivente. Quando uno stimolo proviene dall’ambiente esterno e ha a che fare con il pericolo, attiverebbe la risposta di combattimento o fuga e questa è probabilmente una risposta a matrice vivente perché deve essere molto veloce. Nella terminologia di Oschman, potrebbe essere visto come “un’azione autentica”.
L’uomo, che ha sviluppato una mente pensante, attiva anche il suo ambiente interiore attraverso i suoi pensieri sotto forma di sensazioni corporee. Arka afferma:
Sebbene i pensieri siano invisibili, sono efficaci quanto la materia visibile. Hanno la loro forma, il colore delle dimensioni e portano un certo quanto di energia. Indipendentemente dalla loro natura, i pensieri influenzeranno la fonte prima di raggiungere l’atmosfera. [28, p. 23]

Ciò sembra essere supportato dai risultati di Nummenmaa e colleghi [19], che suggeriscono che ogni emozione influisce sul nostro corpo in un modo topografico specifico a seconda della parola emotiva pronunciata. Se questa attivazione sia attraverso la matrice neurale o la matrice vivente non è ancora chiaro, ma poiché è molto rapida e anche poiché sembra che le parole abbiano una componente energetica, sembra che potrebbe essere attraverso la matrice vivente. Nel loro studio [19] in cui il solo pensiero di una parola emotiva come rabbia ha attivato una certa area topografica nel corpo, si può solo immaginare cosa accadrebbe al proprio sistema se la persona fosse davvero arrabbiata. Ciò sembra implicare che gli uomini potrebbero essere prigionieri delle loro stesse menti e delle loro storie interiori. Se le loro storie sono piacevoli, senza dubbio le loro esperienze interiori saranno piacevoli, ma se sono spiacevoli, le sensazioni corporee della persona senza dubbio saranno anche vissute come spiacevoli. Questo è ciò che la filosofia orientale afferma e parte del percorso spirituale in Oriente è superare i nostri modi di pensare abituali [3].

LA REALTÀ QUANTISTICA

Dietro, sotto o al di là dell’universo materiale di Newton, la realtà quantistica rivela un quadro molto diverso. McFarlane [29] riassume le differenze nei seguenti modi: 1) che la materia atomica, presumibilmente la sostanza immutabile definitiva, si dissolva in ondate di potenziale esistenza. 2) il determinismo, che ha rigidamente governato l’universo di Newton come una macchina cosmica, cade a pezzi, dandoci un mondo dispontaneità. 3) il mondo oggettivo, esistente “là fuori” indipendente dagli osservatori, svanisce, lasciando un mondo in cui i fenomeni osservati sono dipendenti da come scegliamo di osservarli 4)  il variegato mondo di oggetti indipendenti separati che interagiscono localmente nello spazio e nel tempo è trasceso, rivelando un regno in cui tutte le cose sono non localmente unite in un tutto indivisibile.

Il modello di matrice vivente della realtà è un sistema sub-molecolare in cui tutto è interconnesso. I nostri pensieri e parole, specialmente quelli con una carica emotiva, contengono un certo quanto di energia che viene raccolta attraverso i nostri corpi. Anche gli osservatori fanno parte della realtà quantistica o della matrice vivente e tutto ciò che pensano e fanno influisce su se stessi e anche sulla matrice. Obiettività e determinismo rigoroso svaniscono dando vita a un mondo pieno di potenziale ondulatorio e spontaneità. Alla luce di ciò, sembra che l’intuizione, la percezione extra sensoriale e la consapevolezza delle nostre sensazioni corporee siano requisiti necessari per imparare a operare consapevolmente all’interno della matrice.
Per quanto strano possa sembrare, questo mondo non è una “terra lontana” ma è nascosto sotto il “velo del materialismo”. Inoltre per raggiungere il regno quantico non abbiamo bisogno di alcuna attrezzatura speciale; è qui, viviamo in esso [29].

CONCLUSIONI
La società di oggi mette così tanto l’accento sullo sviluppo della mente pensante razionale. Attraverso la ricezione di una tale educazione unilaterale, non solo l’uomo moderno spesso viene escluso dalle proprie esperienze corporee, ma manca anche delle informazioni che vengono ricevute attraverso il corpo, dei sentimenti per adattarsi adeguatamente alle situazioni esterne.  La maggior parte delle persone non riconosce poi come i propri pensieri e le proprie storie stiano attivando il proprio ambiente interiore. Questo apre molte aree di indagine e indica i modi in cui le persone possono migliorare le proprie sensazioni interiori cambiando il condizionamento delle loro menti e il modo abituale di pensare e vedere il mondo [30].
La meccanica quantistica sta dando origine a nuove comprensioni su come funzionano i sistemi. La matrice vivente è uno di questi modelli. Certamente aiuta a spiegare come all’interno e persino al di fuori del corpo viviamo in un universo olografico con ogni parte che interagisce con ogni altra parte; una matrice all’interno di una matrice all’interno di una matrice. Il modello di matrice vivente dà anche al nostro corpo un posto centrale, non solo perché il corpo forma una parte attiva di questa teoria, ma perché la consapevolezza delle nostre sensazioni corporee indica come possiamo trovare la strada di casa e andare oltre le nostre menti pensanti e le nostre storie.

L’introspezione sembra essere un modo in cui possiamo acquisire maggiori informazioni su come possiamo funzionare dall’interno verso l’esterno. Anche la mappatura del corpo sembra essere un nuovo modo di testare come i nostri pensieri di un’emozione o le nostre storie influenzano i nostri corpi o l’ambiente interno. Questa metodologia potrebbe certamente essere estesa anche per vedere come le persone percepivano il pericolo all’esterno. Forse le nostre emozioni, inclusa la rabbia, esistono solo quando nominiamo le nostre sensazioni interiori e questo avvia un circuito di feedback che coinvolge i nostri sentimenti, la matrice neurale e la matrice vivente.
Il termine “sensazione” è usato per indicare la percezione e l’esperienza degli stimoli e il termine “sensazione” per riferirsi a “l’esperienza nel corpo.
Gli animali selvatici cacciano e uccidono, ma non è lo stesso che uccidere per rabbia. Le nostre guerre sono basate sulle storie che raccontiamo a noi stessi sugli altri e queste storie attivano contemporaneamente la nostra matrice corporea in un certo modo? Ciò sembra certamente essere supportato dalla Dichiarazione di Siviglia sulla violenza che termina in questo modo “Proprio come le guerre iniziano nella mente degli uomini, anche la pace inizia nella nostra mente. La stessa specie che ha inventato la guerra è in grado di inventare la pace. La responsabilità ricade su ciascuno di noi ”[32].

Sebbene la fisica quantistica sia stata divulgata ormai da molto tempo, le implicazioni di questa teoria e il modo in cui funziona non sono state ancora completamente comprese da altre discipline scientifiche. Qui viene suggerito che gli psicologi possono facilmente estendere il modello della realtà della matrice vivente, che si basa sulla meccanica quantistica, per comprendere aspetti del funzionamento umano come le emozioni e come i nostri pensieri in quanto quanti di energia influenzano il nostro ambiente interno e probabilmente anche il nostro ambiente esterno. C’è molto da investigare ma una cosa sembra certa, secondo il modello di realtà della matrice vivente, i nostri corpi potrebbero essere molto più importanti di quanto molti di noi potrebbero aver realizzato in precedenza.

Tina Lindhard

consol.tina@gmail.com

REFERENCES[1] CICA International, Reference: Available from http://www.cicainternational.org/CICAinternational/CICA_Aims.ht
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    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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