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by Jerry Diamanti

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Per comprendere il Transe Learning, possiamo partire dall’oggetto della ricerca dell’approccio transpersonale, la realizzazione del Sé.
Il Sé in quanto essenza esprime la totalità della Psiche che è soggetto, non ha spazio e non ha tempo. Wilber, (Wilber 2011).
Quando, il soggetto diventa oggetto di studio, dobbiamo chiederci come possiamo operare secondo una metodologia e un insegnamento che ne rispetti la sua vera natura.

Va detto che, secondo la visione transpersonale il Sé risiede in qualche modo dietro le quinte esso si manifesta attraverso l’Io, mediante il suo strumento principale, la mente ordinaria, razionale.
La mente ordinaria svolge una funzione fondamentale nell’organizzare l’esperienza dell’Io, ma, forse anche per questo, tende a identificarsi con i suoi contenuti; per raggiungere il Sé si rende necessario andare oltre la mente razionale, oltre le identificazioni dell’Io, e aprire la nostra coscienza a una mente più vasta.
Questo significa padroneggiare la nostra esperienza interiore, espandere il nostro normale stato di coscienza. In Biotransenergetica diciamo che sia necessario passare dalla prima alla Seconda Attenzione, (Lattuada 2018) che ci consentirà di scorgere oltre il palcoscenico. Se pensiamo al nostro curriculum di studi, possiamo renderci conto che ci è stato insegnato secondo una modalità che potremmo chiamare o/o, l’apprendimento è stato fornito principalmente attraverso la teoria, poche pratiche, nessuna esperienza interiore. Ci si è occupati della materia, e si è dimenticato lo spirito, si è lavorato sulla mente trascurando la coscienza.
Questo è il modo convenzionale di insegnamento.
Andando oltre possiamo trovare metodi di insegnamento, che cerchino di mettere insieme il corpo e la mente, la materia e lo spirito. Potremmo chiamare questa metodologia e/e, dal momento che da un lato propone lo studio teorico dall’altro associa a questo delle pratiche esperienziali come la meditazione o l’esercizio fisico. Attraverso mezzi di questo tipo si cerca di mettere insieme due modalità: l’esperienza e la teoria, la mente e il corpo, la conoscenza e la consapevolezza, la materia e lo spirito. Così facendo stiamo mettendo insieme qualcosa. Sì, abbiamo migliorato il nostro modo di apprendere, ma stiamo ancora lavorando con la mente duale, con la realtà che si manifesta sul palcoscenico.
In che modo la metodologia e/e è collegata alla mente duale?
Passare dal passato al futuro, giudicare, combattere, sviluppare strategie, raggiungere obiettivi, passare da un punto a un altro, andare via, controllare, organizzare, cercare una risposta, conoscere le cause, delegare, cercare di risolvere i problemi.
Siamo così abituati a comportarci in questo modo, che ci sembra assolutamente normale, comprensibile.
Se torniamo a pensare alle qualità essenziali del Sé possiamo facilmente capire, come né la strategia o/o né quella e/e rappresentino il modo migliore per raggiungerlo.
Per raggiungere il Sé, dovremmo andare oltre la mente duale e provare a sviluppare una sorta di mente unitiva, di Seconda Attenzione, una Modo Ulteriore.
La BTE con gli Otto pilastri della trasformazione propone un diverso modo, un Modo Ulteriore di conoscere.
Prendiamone in esame i punti essenziali.

Osservare, invece di… pensare

L’attività del pensiero è come le onde, l’osservazione consapevole come l’oceano.
Farsi guidare dai propri pensieri significa farsi portare dalle onde. Praticare l’osservazione significa poter cogliere la vera natura dell’acqua della vita anziché perderci tra i suoi flutti.
Condizione prima per realizzare il Modo Ulteriore e raggiungere la nuova comprensione frutto della coscienza dell’unità sembra essere quella di imparare a osservare con occhi chiari.
Cosa significa? Significa rendersi conto che, oltre a osservare il mondo esterno, noi possiamo anche osservare il nostro mondo interno.
Questa affermazione sembra banale, ma se poi ci chiediamo, quante volte in una giornata ci ricordiamo di osservarci dentro, ci risulta subito evidente come l’esperienza interiore sia la grande dimenticata della nostra società.
Quante volte in una giornata osserviamo il nostro respiro, il battito del nostro cuore, il fluire delle sensazioni del nostro corpo o l’animarsi delle emozioni nel nostro petto? Quante volte, mentre stiamo parlando ascoltiamo come risuona dentro di noi ciò che stiamo dicendo? Persino quando facciamo l’amore siamo tutti tesi a procurare piacere o a raggiungerlo, a non deludere o a dimostrare la nostra abilità, da dimenticarci di osservare il flusso molteplice delle emozioni che ci attraversa.
Per la stragrande maggioranza di noi, uomini e donne della società tecnologica occidentale, figli della cultura positivista e meccanicistica, stare soli con noi stessi significa pensare e, osservarci significa analizzare se siamo sani o malati, se abbiamo sintomi oppure no.
L’esperienza interiore si riduce a scaramantiche indagini per verificare se la macchina funziona oppure no e a maldestri tentativi di tenere a bada il fantasma cercando di fargli credere quello che vogliamo noi.
Ma la macchina non esiste e neanche il fantasma.
L’oceano della coscienza produce onde, così come ogni altro oceano. Onde che chiamiamo, sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, ricordi, ecc. L’attività del pensiero, altro non è che un insieme di onde, l’osservazione è l’oceano.
Per cui:
Farsi guidare dai propri pensieri significa farsi portare dalle onde. Praticare l’osservazione significa poter cogliere la vera natura dell’acqua della vita anziché perderci tra i suoi flutti.

Restare, invece di… andare via

Ma come possiamo non farci travolgere dal flusso incontenibile dei pensieri? Come possiamo navigare l’oceano della coscienza senza finire alla deriva?
Restando anziché andando via.
Se vogliamo navigare dall’Europa alle coste degli Stati Uniti dobbiamo seguire la direzione est-ovest. Le onde ed i venti tenderanno a portarci in tutte le altre direzioni, ma solo se terremo la barra al centro, senza seguire le forze che ci spingono altrove, arriveremo a destinazione. Allo stesso modo, se noi vorremo padroneggiare l’osservazione sia di un aspetto di noi stessi, sia di una funzione, come il respiro o di un’emozione come la paura, di un organo o di un sintomo, dovremo sapere restare lì con l’attenzione, senza andare via con il flusso dei pensieri.
Restare vuol dire sviluppare qualità come ascolto, accettazione, responsabilità.

Sentire come, invece di… capire perché

Sentire come significa cogliere il senso sentito, le caratteristiche rilevanti degli eventi e accedere ad una comprensione di nuovo ordine: l’insight.
Dedichiamo qualche minuto del nostro tempo a un semplice esperimento. Proviamo a chiudere gli occhi e a seguire i nostri pensieri per alcuni istanti… Osserviamo il nostro respiro. Con certezza potremo constatare che si era bloccato. Quando seguiamo il flusso dei pensieri, blocchiamo il flusso della vita.
Ora riflettiamo su quanto tempo dedichiamo, nella nostra giornata, ad ascoltare il nostro respiro e quanto a seguire i nostri pensieri. Ecco individuato uno dei fattori principali di malattia nella nostra società: dedichiamo molto più tempo a pensare i nostri pensieri che a sentire lo scorrere della vita stessa. Così facendo provochiamo in noi delle reiterate, incessanti, interruzioni dell’energia vitale. Ma non ce ne rendiamo conto. Salvo poi avvertire mal di testa. Allora per prima cosa cerchiamo di farlo sparire. Se non ci riusciamo ci chiediamo perché. Anziché osservare cosa stiamo facendo, anziché sentire come stiamo costruendo il nostro mal di testa, anziché ascoltare cosa ci sta chiedendo, cerchiamo di capirne le cause.
Cioè non osserviamo quello che sta succedendo ora, quello che è lì da vedere, per pensare a quello che era successo prima, che difficilmente potremo riconoscere. Non facciamo ciò che potremmo fare adesso per pensare a ciò che non avremmo dovuto fare prima.

Fatti, non problemi

La nostra mente è la fonte di tutti i problemi.
L’osservazione consapevole può consentirne la comprensione della vera natura di ogni evento e coglierne il suo potenziale creativo.
Questo comportamento nasce da una credenza radicata: Crediamo che la soluzione dei problemi sia nella nostra mente. Nulla di più falso.
La nuova visione olistica riconosce che: la nostra mente, è la fonte di tutti i problemi. O meglio, i nostri problemi nascono dal modo col quale usiamo la nostra mente. La mente di una scienza integrale riconosce nel sintomo, prima di tutto un fenomeno, un fatto, come le onde nell’oceano; sa che, proprio come per le onde nell’oceano, la soluzione risiede nel fenomeno in sé. Chiedersi perché le onde, ne produce solo delle altre.
Solo l’osservazione consapevole può consentirne la comprensione della loro vera natura. Anche la spiegazione più elaborata, la diagnosi più accurata, resta pur sempre un’onda e se non siamo disposti a lasciarla scorrere ci travolgerà.
Attenzione, la scienza integrale non rinuncia ai perché o alle diagnosi, semplicemente invita a riconoscerne la loro vera natura e a comportarsi di conseguenza.

Affidarsi invece di controllare

Quando ci lasciamo andare allora comprendiamo che i problemi non si risolvono ma si dissolvono nella forza trasformatrice della fiducia.
Ecco alcuni suoi suggerimenti:
Lascia scorrere tutti i perché e rimani in ascolto.
Non cercare di capire le onde ma resta in ascolto del rumore del mare.
Osserva come si manifesta la vita in te, ascolta dove scorre, dove si blocca.
Ascolta le sensazioni del tuo corpo, dei tuoi organi, dei tuoi visceri, gli stati del tuo animo, le emozioni, i sentimenti. Osserva l’oceano della tua coscienza e scoprirai che non ci sono confini, non ci sono sintomi o conflitti. C’è solo il flusso della vita o le sue interruzioni prodotte dalla tua mancanza di consapevolezza.
Porta l’osservazione nel tuo stomaco chiuso e dolente e vedrai che un dolore è un’immagine, questa è colori, sensazioni. Le sensazioni sono emozioni, le emozioni sono ricordi, i ricordi ritmi del respiro, pulsazioni dei tuoi organi, tensioni dei tuoi muscoli e così via.
Osserva, respira e lascia fluire, la pura e semplice osservazione consapevole ti mostrerà la via.

Accettare, invece di… combattere

Quando deponiamo le armi e diciamo sì, allora ci rendiamo conto che le porte si aprono e che tutto
coopera perché la giusta azione si compia.
L’osservazione consapevole delle onde dell’oceano della tua coscienza, la fermezza nell’intento di entrare in contatto e ascoltare amorevolmente ogni messaggio del tuo organismo (corpo-mente) ti insegnerà ad accettare ogni emozione, ogni dolore, ogni “sintomo” senza combatterlo.

Alleati, non sintomi.

Scoprirai così che in ogni problema risiede la soluzione, in ogni sintomo dimora un alleato, colmo di un potenziale creativo che anela ad esprimersi. Scorgerai in ogni avversità il volto benevolo dell’esistenza che ti sussurra amorevole le qualità da risvegliare. Riconoscerai in ogni malattia la sua richiesta d’amore.

Responsabilità, invece di… delega

La nuova visione integrale e con essa il Modo Ulteriore vuole insegnare ad ogni essere umano ad assumersi la piena responsabilità rispetto a se stesso. Riconoscere attraverso l’osservazione consapevole, l’accettazione, l’ascolto, che ogni fatto della vita, è un alleato che cerca di indicargli la via verso la comprensione del significato della propria esistenza, la scoperta della propria vocazione, la realizzazione della propria vera natura. Ma chiarezza implica responsabilità. E la responsabilità ci fa paura. Sembra infatti che la madre di tutte le paure sia quella di trovarsi soli con se stessi di fronte alla vita.
Quando siamo completamente liberi da problemi e da sintomi, allora non abbiamo più alibi per non amare incondizionatamente l’esistenza. Allora non ci sono più tiranni da spodestare, no ci sono più responsabili coi quali condividere il peso della nostra leggerezza. Allora eccoci soli e vuoti di fronte al timore di Dio. Se riflettiamo ci risulta chiaro come tutta la storia della medicina sia, in ultima analisi, la storia di una delega. La delega all’avverso destino della responsabilità per la nostra condizione. La delega alle nostre malattie della responsabilità per non essere felici. La delega al medico della responsabilità di toglierci dai guai. A sua volta il medico delega alla ricerca scientifica o ai farmaci, la sua abilità terapeutica. Spesso si perde così di vista l’essere umano che si ha di fronte.

La storia del rapporto tra medico e paziente è spesso la storia di una dimenticanza macroscopica. Molte delle qualità che il semplice buon senso comune è in grado di riconoscere, le caratteristiche più genuinamente umane, sono spesso lasciate fuori di scena. La storia della medicina moderna raramente si occupa di qualità. Trascura nei suoi percorsi diagnostici e terapeutici dettagli quali: l’amore, la coscienza, la consapevolezza, la fiducia, la bellezza, la creatività, la gioia, l’ascolto, l’intento, l’energia vitale, la vocazione, la vera natura.

P. L. Lattuada M.D., Psy.D., Ph.D.

djirendra@gmail.com

www.integraltranspersonallife.com 

 www.pierluigilattuada.com

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

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    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

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    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

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    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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