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by Jerry Diamanti

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Il magazine internazionale Psychotherapy Networker ha pubblicato recentemente nella sua edizione on line un’intervista allo scienziato ed esperto internazionale nella risoluzione del trauma Peter Levine. L’interesse crescente del mondo delle neuroscienze rispetto alle dimensioni sensoriali dell’esperienza e a come queste possano permettere potenti integrazioni tra le varie aree del cervello e dell’organismo, stanno cambiando di fatto l’approccio della terapia nel terzo millennio.

Il termine bottom up utilizzato nel titolo dell’intervista, la cui traduzione letterale è “dal basso verso l’alto”, in psicologia si riferisce ai processi organici che hanno origine dalle sensazioni corporee dirette e immediate, mentre con la denominazione top down ci si riferisce a processi elaborati primariamente dalla neocorteccia.

Rich Simon – Cosa ti ha portato ad interessarti per la prima volta ad adottare un approccio corporeo alla terapia?

Peter Levine: negli anni ’60, ho iniziato a sviluppare vari tipi di metodi mente-corpo con persone che avevano la pressione alta. Quando ho insegnato loro come rilassare certi muscoli del collo e della mascella, la loro pressione sanguigna a volte scendeva di 20 o 30 punti, nel range normale. Ma la mia vera svolta è arrivata nel 1969, quando mi è stato chiesto di vedere una donna di nome Nancy. È stata quell’esperienza che ha cambiato il corso del mio lavoro e della mia vita.

Nancy aveva tutti i tipi di difficoltà fisiche, compresa quella che ora si chiamerebbe fibromialgia, stanchezza cronica, intestino irritabile, problemi urinari ed emicranie, il tipo di condizioni croniche che confondono la medicina convenzionale. Inoltre, soffriva di attacchi di panico e agorafobia, che le rendevano impossibile uscire di casa senza il marito. Il suo psichiatra vedendola interessata ad alcuni esercizi corpo-mente pensò che potessero essere di beneficio, almeno nel ridurre la sua ansia, così l’ha mandata da me.

Quando arrivò Nancy, il suo cuore batteva freneticamente, a circa 120 battiti al minuto, e aveva l’aspetto congelato che hanno i cervi abbaiati dalla luce dei fari delle auto. Cominciai cercando di aiutarla a rilassare i muscoli della mascella e del collo, nel frattempo, il suo battito cardiaco cominciò presto a scendere. Poi improvvisamente, il ritmo cardiaco è aumentato fino a circa 160 battiti al minuto. Non sapendo che altro fare, ho appena detto: “Nancy, devi rilassarti. Devi rilassarti.” Con mio grande sollievo, la sua frequenza cardiaca iniziò a scendere. Tuttavia, continuava a scendere e scendere e scendere, da 80 a 70 a 60, e poi a metà dei 50 battiti al minuto. Nancy divenne pallida come la morte, e guardandomi terrorizzata, gridò: “Aiutami! Aiutami! Non lasciarmi morire!”

Mentre trattenevo il respiro, in qualche modo mi è venuta in mente un’immagine. All’angolo più lontano della stanza di consultazione, vidi una tigre accucciata, pronta a balzare in avanti. E senza sapere perché, ho detto: “Nancy, c’è una tigre che ti insegue. Corri, corri, arrampicati su quelle rocce e fuggi!” La donna Dopo circa 30 minuti di scosse delicate e tremore, iniziò a respirare più pienamente e spontaneamente mentre il suo viso diventava roseo e più caldo. Quando finalmente aprì gli occhi, riferì che quando le avevo offerto l’immagine della tigre, aveva visto se stessa iniziare a correre, anche se all’inizio le sue gambe sembravano di piombo. Ma poi, con il mio incoraggiamento, cominciò a immaginare – e sentire se stessa arrampicarsi sulle rocce e fuggire. Da quella prospettiva, poteva guardare la tigre e sentirsi al sicuro, forse per la prima volta da decenni.

Mi riferì che l’immagine della tigre si era trasformata in un’immagine di se stessa quando aveva quattro anni. Era stata sottoposta ad anestesia con etere per una tonsillectomia e si era vista bloccata da medici e infermieri mentre costringevano la maschera di etere sul suo viso. Soffocando, in preda al terrore, si era resa conto che avrebbe voluto scappare e scappare, ma non ci era riuscita. Quel senso schiacciante di impotenza, paura, terrore e frammentazione corporea è il nucleo dell’esperienza del trauma ed è stato espresso nel teatro dei suoi sintomi corporei e nei suoi attacchi di panico. In effetti, non solo la sua ansia si risolse, ma dopo alcune sedute, svanirono anche molti dei suoi sintomi fisici.

Alla fine della sessione, Nancy aprì gli occhi e guardò dolcemente verso di me. In quel momento, disse di sentirsi come se fosse “trattenuta da onde calde e formicolanti.” Questo sorprendente effetto collaterale di sensazioni piacevoli e salubri è stato qualcosa che avrei sentito da migliaia di altre persone nei decenni successivi . Quei tipi di risposte sembravano essere simili a varie esperienze spirituali e mistiche descritte in diverse tradizioni in tutto il mondo. Il mistero si approfondisce!

Rich Simon – In quale parte del mondo è nata l’immagine della tigre accovacciata?

Peter Levine -Tornato alla scuola di specializzazione, uno dei miei professori aveva descritto un fenomeno chiamato immobilità tonica. Un animale attaccato da un predatore si congela come se fosse morto. La preda diventa immobile, e il suo battito cardiaco e il suo respiro scendono a un livello molto basso, come quello di Nancy. Ma poi, quando l’animale percepisce un’opportunità, si mette in azione e sfugge alla minaccia, mobilizzandosi per vivere un altro giorno. Come ho capito, il grande valore di sopravvivenza di una tale risposta è che i predatori spesso non smembrano e mangiano un animale che non offre resistenza e non lotta, un istinto che probabilmente li inibirà dal mangiare carogne infette. Inoltre, l’espulsione di vomito e diarrea che spesso si verifica con l’immobilità può rendere la preda un pasto ancora meno desiderabile. Nel caso di Nancy, tuttavia, ha provocato sintomi cronici gastrointestinali (e altri fisici).

Più tardi, mentre pensavo a quello che era successo con lei, ho iniziato a vedere i paralleli tra quello che gli animali fanno in natura e quello che succede quando accadono cose orribili alle persone. Le nostre viscere si attorcigliano, i nostri muscoli si stringono e il nostro battito cardiaco inizia ad aumentare o, al contrario, rallenta a un livello basso. Le sensazioni di torsione e rotazione nell’intestino vengono trasmesse al cervello, il che rafforza e amplifica il messaggio originale di pericolo e minaccia. Ma, a differenza degli animali selvatici, noi umani non rilasciamo questa reazione d’urto. Le persone traumatizzate rimangono bloccate in un circolo vizioso. Il compito del terapeuta è di aiutarli a interrompere quel ciclo e tornare alla terra dei vivi.

Rich Simon – Come può un operatore di Somatic Experiencing provare a farlo?

Peter Levine – Uno strumento semplice ma particolarmente potente per aiutare la persona a interrompere questo disagio è qualcosa che io chiamo l’esercizio Voo. Prendi un respiro profondo, pieno, facile, e sull’espirazione, fai in modo che il suono sostenuto “vooooo”, diriga la vibrazione verso l’intestino. Una volta che l’aria è stata completamente rilasciata, lasci semplicemente entrare il prossimo respiro, riempiendo spontaneamente la pancia e il torace. Continuando questa respirazione profonda e risonante, la persona facilitata lentamente si sposta fuori dalla risposta di congelamento e dal relativo ciclo di loop.

Rich Simon – Per molti terapeuti, SE sembra ancora un po’ misterioso, persino mistico. Puoi descrivere concretamente come si presenta una prima sessione di SE?

Peter Levine – Quando ci sentiamo sopraffatti dal trauma, parlare solamente non farà molto. Dobbiamo andare alla voce non detta dei nostri corpi: una modalità che non usa le parole per creare nuove esperienze che contraddicano quelle di paura ed impotenza. Un operatore di SE può iniziare a interagire con i clienti più o meno allo stesso modo di un terapeuta: invitandoli a parlare dei problemi o dei sentimenti che li perseguitano. Ma piuttosto che concentrarsi sul contenuto di ciò che li turba, potrebbe dire: “Questo può sembrare strano per te, ma ascoltami. Mi chiedo se saresti disposto ad identificare dove, nel tuo corpo, senti quelle emozioni difficili (o conflitti), e come si manifestano fisicamente. ” All’inizio di questa esplorazione, cerchiamo di facilitarli nel diventare non solo consapevoli dei loro sentimenti o fantasmi, ma curiosi delle sensazioni fisiche che li stanno alla base. La mia esperienza è che le emozioni negative croniche spesso non cambiano fino a quando i modelli di sensazioni sottostanti cambiano. E questo può accadere solo attraverso una maggiore consapevolezza del corpo.

Rich Simon – Quindi, dammi un’idea di come lavori con le sensazioni per aiutare i clienti dissociati a rientrare in contatto con la loro rabbia.

Peter Levine – Con la rabbia repressa, la sensazione di fondo è spesso una particolare tensione nella mascella, nel collo e nelle braccia. Quindi, potrei iniziare dall’avere qualcuno che sente la tensione nella mascella e nel pugno e poi lasciare che la mascella e il pugno si aprano appena un po ‘, finché non avvertono un aumento di tensione. Da lì, potrei proporre loro di portare attenzione alla chiusura e poi aprire la bocca e la mano un po ‘di più. Allora potrei dire: “E che mi dici del tuo collo? Stai ancora provando la costrizione lì?”

“Sì, lo sento, ma non è così male”, potrebbero dire. “Ok, saresti disposto a fare un esperimento? Ti offrirò il mio braccio e vorrei che tu mi mettessi entrambe le mani sul braccio. Prendi la tensione nel collo e nel petto e spostalo nel mio avambraccio. Lascia che il mio braccio sappia come si sente quella tensione nel collo e nel petto. ” A questo punto, la persona potrebbe riferire: “Mentre faccio questo, posso sentire la tensione lasciar andare. È come se ti stesse prendendo per il braccio. Va bene? Non ti fa male? ” “No”, direi, “per niente”. Oppure la persona potrebbe dire: “Oh mio Dio, non posso esprimere questa tensione interiore perché potrei fare qualcosa di violento”. Così li assicuro che posso gestire qualsiasi sensazione che possa sorgere per loro e dirò loro di smettere se ne ho bisogno. Poi mentre stringono il mio avambraccio, chiederei loro di sentire cosa succede tra le loro braccia, le loro mani e il loro petto. Mentre continuano, probabilmente sentiranno un rilascio nel collo e nel petto, insieme a un’esplosione di energia. Qui, il mio compito è di aiutarli a contenere quell’energia in modo che la rabbia non si senta opprimente.

In alcuni dei più vecchi modelli di terapia corporea, si poteva vedere la persona urlare e colpire un cuscino o torcere un asciugamano per entrare in contatto con la rabbia. Ma il problema con questi approcci catartici è che in realtà non rilasciano o dissolvono la rabbia. Ho trovato che un modo molto migliore è procedere più lentamente, strato per strato, usando il principio di titolazione per trovare un percorso per scoprire la forza e il potere che risiede dentro (o sotto) la rabbia. Quando ciò accade, l’emozione spesso cambia, o almeno allenta la presa, e la persona si sente più libera. In questo modo, la rabbia può trasformarsi in forza e motivazione – ciò che io chiamo sana aggressività.

Rich Simon – Quali abilità speciali deve avere un operatore SE?

Peter Levine – Per essere sicuri, i terapeuti di SE devono essere in grado di leggere i corpi, le posture, le espressioni facciali, i cambiamenti di colore della pelle, i micromovimenti. Ma oltre a questo, per fare un lavoro orientato al corpo, devi imparare a prestare molta attenzione alle sensazioni del tuo corpo. Devi imparare ad ascoltare i tuoi clienti in un modo diverso, in modo che quando un cambiamento accade in una sessione, puoi notarlo nel loro corpo come nel tuo. Uno degli strumenti principali di SE sono le domande aperte o “pulite” che aiutano a focalizzare le persone sulla loro esperienza corporea immediata. Quindi diciamo che un cliente sta lottando con una sensazione al cuore scomoda. Potrei iniziare con, “Mentre senti il ​​battito del tuo cuore, vorrei che tu notassi solo se aumenta, diminuisce o rimane uguale, o se succede qualcos’altro.” Sto incoraggiando la curiosità della persona su cosa sta succedendo nel suo corpo . Se la persona risponde, “Sento che le mie mani cominciano a tremare”, potrei semplicemente dire qualcosa del tipo “E mentre noti questo, che altro succede, sembra che si diffonda o si muova in qualche modo?”

Nel trauma, i corpi delle persone ripetono continuamente cose che sono successe loro anni o persino decenni prima. È come se il tempo si fosse bloccato dentro di loro. Lo scopo delle domande aperte e del rilevamento delle sensazioni del corpo è di aiutare a portare avanti il ​​tempo, nel presente.

Rich Simon – Che cosa offre SE che la terapia orale convenzionale non fa?

Peter Levine – Troppo spesso la sola terapia della parola può trasformarsi in una sorta di conversazione piatta e devitalizzata; può essere un modo per cercare di spiegare a noi stessi ciò che proviamo. Parlare è certamente una parte di SE, ma l’obiettivo è aggiungere un’altra dimensione a quella conversazione, per radicarla nell’esperienza corporea immediata della persona, in un modo che porti i clienti più pienamente e vitalmente nel presente. Un termine francese, élan vital, descrive l’energia essenziale che ci anima e ci muove attraverso la vita. Credo che molte persone entrino in terapia, alla fine, alla ricerca di quel senso di vitalità. Poiché è così aliena e spaventosa per loro, all’inizio potrebbe essere difficile per molte persone sentire questa vitalità. Ma man mano che diventano più familiari con il mondo delle sensazioni vivificanti e le immagini a queste connesse che vivono dentro di loro, imparano a sperimentare un corpo vivente, che “conosce” come alleato, non come persecutore.

Rich Simon – Da una prospettiva SE, cosa succede nel trauma?

Peter Levine – Fondamentalmente, le persone inizialmente rispondono al trauma e ad altre emozioni disturbanti in due modi. Uno è attraverso muscoli stretti cronicamente, specialmente nella mascella, petto, pancia, collo e spalle. Quella tensione ha l’effetto di oscurare la nostra consapevolezza di cose che non vogliamo sentire o conoscere. Il problema è che una tensione porta a un’altra. Può iniziare con una mascella stretta, poi il collo si stringe, e quindi il respiro viene inibito, il torace diventa più stretto, la respirazione diventa più difficile, il collo si contrae ancora di più e così via. Di nuovo, è un circolo vizioso, in fuga.

Una delle cose che facciamo in SE è aiutare le persone a separare, o disaccoppiare, quelle diverse sensazioni. E ogni volta che lo fanno, c’è un rilascio di energia, e il trauma inizia ad allentare la presa.

L’altro modo di rispondere alle difficili emozioni del trauma è attraverso la dissociazione. Questo frammenta l’esperienza del nostro corpo, cervello e mente e riduce la nostra capacità di provare qualsiasi senso di integrazione, coerenza e flusso. Pensa a un sottomarino colpito da un siluro. Dopo la breccia, le porte tra i compartimenti si chiudono automaticamente, impedendo al sottomarino di affondare tagliando le diverse sezioni l’una dall’altra, proteggendo così la maggior parte del sottomarino dalla completa devastazione di un’allagamento onnicomprensivo. Questa compartimentalizzazione è ciò che può accadere alla nostra esperienza interiore quando siamo traumatizzati.

Abbiamo una sensazione qui, un’immagine lì, o un’emozione stridente che sembra esplodere dal nulla. I pezzi non si connettono coerentemente. Ma quando viene dato il giusto sostegno, le persone possono portare il loro corpo sempre più alla consapevolezza e possono iniziare a colmare la disconnessione tra parti del loro corpo, della mente e dello spirito.

Inizialmente, potrebbero non avvertire una connessione tra le spalle e le braccia, le spalle e il collo. Ma mentre li aiuti a sviluppare questa consapevolezza, apparirà spesso un’immagine correlata ad un trauma o ad un problema di attaccamento dello sviluppo. A volte può arrivare persino un’immagine di guarigione archetipica.

Mentre emergono quei ricordi e queste associazioni, puoi lavorare con le persone per sviluppare più espansività dentro di sé, creando un contenitore più grande per le loro sensazioni. In questo modo, non si sentono più sopraffatti come hanno fatto nel loro passato traumatico.

Rich Simon – Il tocco ha un ruolo in SE?

Peter Levine – Oh, c’è sicuramente un ruolo per il tatto. Diciamo che una persona ha una tensione nella pancia e ha provato vari modi per contribuire a rilasciarla, ma non è successo nulla. È qui che il lavoro tattile può essere estremamente utile. Ovviamente, devi prima concordare questo intervento con il cliente, dal momento che non andiamo avanti senza un chiaro consenso. È anche importante avere una piena comprensione della storia del trauma della persona. Poiché le nostre sensazioni e sentimenti sono principalmente nell’intestino, nel cuore e nel petto, potresti usare un tocco gentile ma deciso, in modo che la persona possa sviluppare una più profonda consapevolezza di ciò che sta accadendo in quell’area. Ma la cosa fondamentale è avere una motivazione specifica e chiara per dove stai toccando e perché. Non puoi giustificarlo semplicemente dicendo: “Bene, voglio che la persona sia in grado di sentire di più”.

Rich Simon – Qual è la cosa più difficile per i tuoi studenti per imparare a praticare SE?

Peter Levine – Non parlare troppo e continuare a ricordarsi che devono prima essere in contatto e presenti nei loro corpi. In SE, riportiamo sempre gli studenti alla loro esperienza corporea interna. Penso che molte persone siano probabilmente come me quando ho iniziato; non hanno un ottimo senso del proprio corpo, una consapevolezza enterocettiva. Ma quando sviluppano quella sensibilità e l’alfabetizzazione somatica, può davvero cambiare la vita.

C’è un detto sufi: “Il corpo è la spiaggia dell’oceano dell’essere”. Imparare a sintonizzarsi con i sottili cambiamenti che stanno accadendo dentro di noi in ogni momento può aprirci all’esperienza della totalità e ciò che io chiamo il Sé Autentico. 

Rich Simon – Come terapeuta del corpo, cosa ne pensi del crescente interesse nell’uso di sostanze psichedeliche in terapia in questi giorni?

Peter Levine – Penso che siano potenzialmente preziosi. Che si tratti di MDMA o psilocibina o LSD o ayahuasca, alcune sostanze possono aprire le porte alla visione del mondo in un modo diverso ed espanso, facilitando al tempo stesso l’auto-compassione. Ma anche se possono aprire le porte della percezione, non necessariamente portano la persona attraverso questi portali e li aiutano a navigare dall’altra parte. In altre parole, mentre molte persone hanno esperienze preziose mentre sono con una sostanza, queste potrebbero essere meno accessibili nel normale stato di veglia e, quindi, non essere metabolizzate. Quindi, il modo in cui rendi quel ponte verso la realtà ordinaria e sensata è un problema chiave. Devi capire come e perché hai chiuso quelle porte in primo luogo. Ciò richiede un lavoro aggiuntivo, che include domande come “Come ho chiuso il mio corpo? Come mi sono dissociato? Che cosa sto dissociando da ora? “

Rich Simon – Quale posto ha la spiritualità nel tuo approccio alla terapia?

Peter Levine – Penso che la spiritualità sia una qualità intrinseca di tutti gli esseri viventi. Quando i buoni terapisti di SE stanno lavorando, anche con qualcuno con gravi traumi, sono guidati dalla fiducia che tutti noi abbiamo la capacità innata di guarire anche dagli eventi più orribili. Comprendono che la terapia di successo non consiste solo nel ridurre un sintomo o un comportamento problematico.

Come l’ineffabile saggezza dell’I Ching offre: “Dobbiamo scendere alle fondamenta della vita. Qualsiasi ordinamento della vita meramente superficiale che lascia insoddisfatti i suoi bisogni più profondi è inefficace come se nessun tentativo di ordine fosse mai stato fatto “.

Rich Simon, PhD, è l’editore di Psychotherapy Networker.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Per rimanere in contatto con noi e ricevere informazioni sugli ultimi articoli, video, webinar ed iniziative pubbliche che proponiamo, lascia qui la tua email

    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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    Sorry, this entry is only available in Italian.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

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