
Non è forse questo resistere?
Esistere di nuovo, ritualizzare la nostra narrazione, la tua, la mia. Esisterla nel corpo.
E allora ci troviamo a esistere di nuovo, a essere presenti a noi, ai nostri antenati, ricordando chi prima di noi ha resistito, chi, su questo pianeta, lo fa ancora oggi.
Un cerchio per celebrare, per nutrirsi e curare le ferite che ancora scalpitano in questi corpi; guardare l’oscurità e abitarla; ricordare la paura, amarla.
Amarla con un cuore che vibra pace. Una pace che non dissocia, ma che incontra lacrime, sente il dolore, sorride, celebra e sa che tornerà a sentire il dolore.
È qui, nella vibrazione di una pace che integra, che ci troviamo di fronte a questo arduo compito che abbiamo di provare a vivere la relazione col mondo, provare a fare di questa esistenza una danza senza obiettivi, ma ricca di desideri.
È la danza del rito che resiste
Allora ogni momento può essere rituale: il cibo, il gioco, i racconti della buonanotte, ridere e coreografare (solo con la giusta playlist, si intende), celebrare l’invisibile che sussurra ai cuori e il visibile che si esprime nei volti, onorare lo spirito della pioggia e l’acqua che bolle in pentola, curare piccoli e grandi fuochi con riverenza, contemplare il ritmo del respiro
Gustare il silenzio …
Un silenzio ribelle al consumo frenetico di parole. Persino l’attesa. Un’attesa che in realtà non cerca nulla e, coi piedi radicati nella terra e il cuore aperto, si apre e ascolta …
Il denso diventa leggero
Il consumo diventa offerta
La parola diventa preghiera
Il ricordo diventa presenza
L’acqua diventa fuoco
E col fuoco al centro di uno spazio così tremendamente gentile forse ci fa sorridere pensare che il ferro con cui sono costruiti i grattacieli può essere lo stesso che scorreva nel sangue dei nostri antenati.
Forse, anche solo per un attimo, delle forme di oppressione strutturali che abbiamo interiorizzato e consideriamo normali, rimane solo la cenere.
E allora celebriamo questa medicina: la comunità dei viventi, le piante, gli animali, la terra, le nuvole, i fuochi e i venti, in uno spazio, intimo e condiviso, personale e collettivo, dove nemmeno la cenere è residuo o scarto, ma il sigillo indelebile e fertile dell’eterno rituale.
Om shanti shanti shanti
Laura Coser
ispirata dai contributi arrivati da varie persone partecipanti al Gathering
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Durante la due giorni autogestita nei boschi liguri, i partecipanti hanno condiviso delle donazioni che sono state devolute all’ospedale di Al Awda in Palestina.
