September 1, 2017

(Italiano) Noi siamo la nostra attenzione

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Categories: n4

by Alberto Paolucci

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“Noi siamo la nostra attenzione. Con la focalizzazione dell’attenzione possiamo influenzare l’eccitazione neuronale, e quanto più intensa ed eventualmente specifica sarà l’eccitazione, tanto più duraturi saranno i cambiamenti nelle connessioni sinaptiche che avremo la probabilità di produrre a livello cerebrale. … Possiamo quindi affermare che la mente è attenzione, e che ciò che facciamo con la mente può cambiare la struttura del cervello.” – Daniel Siegel, Mappe per la mente

Asserire che noi siamo la nostra attenzione potrebbe sembrare una affermazione un po’ esagerata, o una considerazione per mistici, eppure la citazione di apertura è di Daniel Siegel, psichiatra, scienziato, fondatore della neurobiologia interpersonale, uno degli esponenti di spicco della ricerca contemporanea sulla mente e sul cervello. Egli afferma inoltre che Ciò che in passato intuivamo soltanto, a partire dell’esperienza clinica, ora è una conoscenza assodata: la mente è in grado di cambiare l’attività e la struttura del cervello. … Il processo attraverso cui è possibile indirizzare l’energia e le informazioni nei circuiti cerebrali è l’attenzione. Quindi, per la scienza occidentale, la mente, e specificatamente quel particolare aspetto della mente che chiamiamo attenzione, riveste una grande importanza per la nostra vita e per il nostro benessere.

Nel Buddhismo l’attenzione ha certamente un posto privilegiato: ad esempio, nella scuola Chan-Zen viene tramandato questo dialogo, nel consueto stile paradossale proprio di questa tradizione; Un giorno una persona chiese al Maestro Zen Ikkyu: “Maestro, potreste scrivere per me una massima di grande saggezza?” Ikkyu immediatamente prese il suo pennello e scrisse la parola “Attenzione”. “Tutto qui?” chiese la persona; “Non vorreste aggiungere qualcosa di più?” Allora Ikkyu velocemente scrisse due volte “Attenzione, Attenzione” “Beh” rispose l’uomo abbastanza irritato “sinceramente non vedo molta profondità o sottigliezza in quello che avete appena scritto.” Allora Ikkyu scrisse velocemente tre volte la stessa parola “Attenzione, Attenzione, Attenzione”. Mezzo arrabbiato l’uomo chiese: “Che cosa significa dunque la parolaAttenzione?” E Ikkyu rispose gentilmente: “Attenzione significa Attenzione”.

Non è solo nelle moderne neuroscienze o nelle tradizioni contemplative orientali che si attribuisce molta importanza alla qualità della nostra attenzione: come ci mostra molto bene Pierre Hadot nella seguente citazione, la centralità dell’attenzione era già riconosciuta nelle tradizioni filosofiche antiche: L’atteggiamento fondamentale del filosofo stoico o platonico era la prosochè (προσοχε), l’attenzione a se stesso, la vigilanza di ogni istante. L’uomo “vigile” è sempre perfettamente cosciente non solo di ciò che fa, ma anche di ciò che è, ossia della sua posizione nel cosmo e del suo rapporto con Dio. Ma che cosa è l’attenzione? C’è differenza tra ciò che possiamo chiamare “attenzione ordinaria” e ciò che possiamo definire “attenzione contemplativa”? In che modo la coltivazione dell’attenzione ci aiuta a ritrovare e mantenere uno stato di benessere e di felicità? Avendo letto questo articolo fino a questo punto forse potresti pensare che è un po’ teorico, qualcosa per “filosofi” o per “gente spirituale”.

Proprio ora, mentre stai leggendo, puoi accorgerti di come focalizzando l’attenzione sull’articolo, il tuo mondo diventa “il leggere l’articolo”; non appena decidi di orientare l’attenzione alle sensazioni del corpo, per esempio alla sensazione di contatto dei glutei sulla sedia, allora il corpo “riappare”, è di nuovo presente; se poi rivolgi l’attenzione al respiro, riscopri l’esperienza dell’andare e venire naturale del respiro, che è sempre presente, e nello stesso tempo quasi mai riconosciuta; se apri lo spazio dell’attenzione allora ti puoi accorgere che anche il tuo mondo si amplia, diventa più spazioso, e puoi diventare consapevole della sua ricchezza e diversità.

Quando la mente è tranquilla, stabile, spaziosa e ricettiva puoi percepire le varie sensazioni del corpo e, in generale, la multiforme esperienza dei cinque sensi, puoi riconoscere l’esperienza della mente con la sua varietà e ricchezza di pensieri ed emozioni, fino ad accorgerti dell’attenzione stessa, della sua qualità e del “dove” la stai dirigendo. In modo molto semplice, da una angolazione leggermente diversa, si può dire che quando la nostra mente è distratta, confusa, agitata, frenetica, ansiosa, allora il mondo che sperimentiamo ha le stesse caratteristiche, e quindi c’è malessere, c’è disagio; mentre quando la nostra mente è presente, chiara, tranquilla, gentile anche il mondo che sperimentiamo si manifesta in accordo con queste qualità, e naturalmente siamo maggiormente a nostro agio, stiamo bene.

Per entrare più in profondità nella nostra riflessione possiamo distinguere, da una parte, quella che possiamo chiamare attenzione contemplativa o attenzione saggia, e, dall’altra, quella che possiamo definire attenzione funzionale, oppure attenzione abituale, non saggia. Siamo stati abituati, attraverso l’educazione, ad un tipo di attenzione forzata, funzionale ad uno scopo e separativa. In generale, quando siamo bambini e giochiamo siamo naturalmente presenti, svegli, interessati e in connessione con ciò che stiamo facendo; quando un genitore o un adulto ci intima “stai attento!” quello che facciamo è contrarre, irrigidire il corpo e la mente: questo crea una abitudine che lega l’essere attento allo sforzo, alla tensione, e all’eseguire qualche compito che non ci interessa veramente.

L’attenzione contemplativa è molto diversa: si può definire come totale presenza insieme a totale rilassamento insieme a totale interesse; quanto maggiore è il rilassamento tanto maggiore è la presenza mentale, all’aumentare della presenza mentale aumenta anche il rilassamento; rilassamento e attenzione saggia vanno insieme e sono entrambi connessi all’interesse verso l’esperienza che stiamo vivendo. L’attenzione non saggia, quella a cui siamo abituati, è sempre funzionale ad uno scopo, a svolgere un compito, un lavoro: quindi l’attenzione è subordinata al compito e anche ad avere successo nello svolgere il compito; è un’attenzione legata alla prestazione, ad ottenere una qualche forma di beneficio o di guadagno. L’attenzione contemplativa basta a se stessa: non è legata a nessun compito o guadagno; è un modo di aprirci ed essere in connessione con la vita, un modo di essere svegli e presenti a ciò che stiamo vivendo, un modo ti tornare a meravigliarci dell’esperienza ordinaria che continuamente si manifesta.

Nelle tradizioni contemplative si mette l’accento sul fatto che l’attenzione saggia può e deve essere riconosciuta e coltivata: cioè che si può passare da una attenzione superficiale, forzata e legata ad un compito da eseguire, ad una consapevolezza aperta, rilassata, accogliente e ricettiva. In particolare, nel Buddhismo, i tre termini in lingua Pali sati (sanscrito smrti), yoniso-manasikara e appamada (s. apramada) rappresentano tre angolature diverse, tre sfumature particolari di ciò che possiamo indicare con attenzione, e che, più in generale, si può definire anche con termini presenza mentale e consapevolezza. Il primo termine sati, che si può tradurre un po’ tecnicamente con presenza mentale, è diventato famoso in occidente attraverso la sua traduzione in lingua inglese, cioè mindfulness.

Quando la mente è nel presente c’è un senso di immediatezza, di intimità, di connessione, e nello stesso tempo, c’è la capacità di accorgersi, di riconoscere in modo non verbale, e non giudicante ciò che stiamo vivendo, proprio nel momento in cui lo viviamo. Il maestro tailandese Achaan Chah descrive questa presenza consapevole nel seguente modo: Sati è la capacità di riportarci al presente, come quando ci chiediamo “Cosa sto facendo?”. Sampajanna è la consapevolezza che sto facendo questo e quest’altro. La seconda angolatura è quella di yoniso-manasikara, che generalmente viene tradotto con attenzione saggia: quindi una qualità di attenzione che favorisce, dà origine alla comprensione diretta, intuitiva della realtà in cui viviamo. Manasikara vuol dire attenzione mentre yoni rappresenta l’organo sessuale femminile, il grembo materno, e più in generale, l’origine della vita. Se riflettiamo sulla metafora, possiamo affermare che, come l’organo sessuale femminile è uno spazio ricettivo che accoglie la vita, la fa crescere in sé, e poi dà alla luce la vita, allo stesso modo un’attenzione aperta, spaziosa, accogliente e ricettiva si apre all’esperienza, la accoglie e quindi la comprende, nel senso di conoscenza-discernimento diretto di ciò che è: una consapevolezza spaziosa, accogliente e ricettiva fa nascere una conoscenza viva, diretta, intuitiva.

In generale, nel pensiero indiano il termine pamada (s. pramada) denota negligenza, incuria, disordine, indolenza, distrazione, e viene considerato una delle cause radice dei problemi e della sofferenza dell’essere umano. Appamada (s. apramada), letteralmente non-distrazione è la terza caratteristica dell’attenzione contemplativa: denota la capacità di prendersi cura con sollecitudine, gentilezza e prontezza. Per abitudine o per incomprensione degli insegnamenti potremmo avere la tendenza a metterci in relazione con noi stessi in modo duro, severo, intransigente: appamada indica il contrario, una qualità di attenzione amichevole, empatica, affettuosa, un prenderci cura di noi stessi e del mondo con gentilezza.

 

Vorrei concludere questa riflessione con due citazioni provenienti da ambiti molto diversi e distanti nel tempo, che però testimoniano e mettono in evidenza come l’attenzione, la presenza mentale, la capacità di aprirsi e accordarsi all’esperienza che si manifesta di momento in momento siano di capitale importanza per la nostra vita e il nostro benessere.

La prima, anche in ordine temporale, è di Marco Aurelio, imperatore e filoso stoico vissuto nel secondo secolo, che nei suoi Pensieri ci ricorda continuamente l’importanza del vivere nel presente:

Se ti preoccupi di vivere solo ciò che stai vivendo , cioè il presente, potrai vivere il tempo che ti rimane fino alla morte , senza turbamento, con benevolenza e serenità.

Marco Aurelio ci dice che il modo di vivere che i filosofi antichi definivano con il termine atarassia (tranquillità, serenità, imperturbabilità) è strettamente legato alla nostra capacità di prenderci cura dell’esperienza presente, di vivere stabili nel qui-e-ora.

La seconda citazione è di Suzuki Roshi, famoso maestro Zen del secolo scorso, che sintetizza mirabilmente tutto il cammino Buddhista nel modo seguente:

Prestiamo attenzione con rispetto e interesse, non per manipolare, ma per comprendere quello che è vero. E vedendo ciò che è vero, il cuore diventa libero.

Pietro Thea

pietrothea@gmail.com

www.sedendoquietamente.org

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

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    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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