Come possiamo identificare la risonanza delle stratificazione del passato racchiusa nel momento presente e riconoscere il suo impatto sul modo in cui ci muoviamo e sul nostro processo decisionale? Il nostro modo di muoverci è forse un costante riconoscere, risuonare e rivivere elementi del nostro passato? In che modo il nostro passato definisce il nostro senso di identità?

Attraverso un approccio somatico al movimento possiamo decostruire il modo in cui percepiamo la realtà e riconoscere e rompere schemi percettivi abitudinari per accedere ad una rinnovata consapevolezza del momento presente. Portando attenzione alle funzioni vitali del nostro corpo di cui di solito non siamo consapevoli a livello cosciente, ma che sono fondamentali per mantenerci in vita, come il nostro respiro e la nostra relazione con la forza di gravità, possiamo lasciar andare una comprensione meccanica della realtà, per fare spazio a nuove capacità sensoriali che, una volta riconosciute dalla nostra coscienza, possono svelare stratificazioni di storie e significati inconsci di cui il nostro corpo si fa portatore.

Esplorando queste sensazioni, possiamo tracciare il percorso in cui sono “distribuite” nel corpo, per fare emergere una mappa in cui gli elementi del nostro passato rivelano il loro impatto strutturale sul nostro presente, e ci permettono di intraprendere un viaggio sia biografico che transpersonale, guidati da una consapevolezza libera dalla necessità di “definire per capire”, tipica della nostra mente razionale, ma affidandoci a quel luogo interiore in cui affiorano capacità percettive più sottili che ci permettettono di creare nuovi legami e interconnessioni, accedendo a quella ‘pura’ memoria, di cui parla Bergson e che è percepita come ‘durata’ (Bergson, 1911) e che la nostra mente cosciente può in un secondo momento riorganizzare in nuove conformazioni di senso .

Può una nuova consapevolezza dell’impatto del passato sul nostro presente attraverso il riconoscimento delle sensazioni provate cambiare la nostra comprensione della storia personale e transpersonale e influenzare il nostro modo di muoverci?

“Quando il tuo ‘felt sense’ di una situazione cambia, cambi e, quindi, cambia anche la tua vita”

( libera traduzione da Gendlin, 2003, p.32)

Cosa succede se mi dedico a questa esplorazione attraverso il movimento? Osservando come l’architettura delle sensazioni determina la mia distribuzione del peso nello spazio e la mia relazione con la forza di gravità, trovando nuovi luoghi di contemplazione all’interno del corpo, posso forse ottenere un senso più profondo di come il mio corpo si muove in risonanza con questi schemi e identificare la fonte di ciò che li ha generati? In che modo una nuova comprensione e il “ricablaggio” di questi ricordi influenzano il mio rapporto con il movimento e lo spazio? Man mano che il mio modo di muovermi cambia, il mio senso di identità e di presenza trova forse una nuova definizione?

Identifico il respiro, la forza di gravità e il “felt sense” e i “felt shift” di Gendlin come la mia guida in questa esplorazione. La mia composizione nello spazio si ispira all’approccio decostruttivista all’architettura di B. Tschumi, la cui idea di ‘design’ è quella di una strategia, di una modalità di indagine che genera ‘sequenze aperte’, piani d’azione per l’indagine il cui esito è imprevedibile perché si possono aggiungere a piacimento nuovi elementi di trasformazione (Tschumi, 1996/1999).

Una descrizione dell’embodiment della partitura

Comincio nell’immobilità, portando l’attenzione al mio respiro. Semplicemente riconoscendo la sensazione dell’aria che entra ed esce dai polmoni. Man mano che la respirazione si espande naturalmente, lo spazio dei polmoni aumenta la sua capacità di contenere l’aria.

Mi viene in mente la teoria della relatività, dove la gravità è causata da una curvatura dello spazio-tempo, che si sposta con lo spostamento del movimento della massa entro la quale è racchiuso… Immagino il contorno dei miei polmoni come questa curva, e il mio corpo nel suo complesso percepito come contenitore acquista istantaneamente, nella mia comprensione, un diverso senso di volume, densità … massa..

Un travolgente senso di ‘presenza’ entra nella mia percezione. Chi/che cosa è l’io che respira?

Una pausa,.. Poi il bisogno di espirare mi rende consapevole del battito cardiaco. Svuotare Ia cavità polmonare lascia più spazio per sentirne il tamburellare continuo e il suo riverbero in tutto il corpo. Mi sintonizzo su di esso e sono quasi ipnotizzata da questa funzione autonoma del corpo…

Divento consapevole della coesistenza di molti ritmi e percorsi diversi attraverso i quali l’informazione viaggia a ritmi diversi all’interno del corpo per mantenerlo vivo, diversi modi di distribuire l’informazione, a velocità diverse attraverso strutture diverse, come una società o un’orchestra… Mi sintonizzo con la musicalità che percepisco… consapevole che sta succedendo molto di più di quello che posso percepire consciamente… pian piano nasce la voglia di muovermi, ma decido di aspettare.

Inibendo un primo impulso, per un attimo mi riposo, sospesa nella potenzialità del momento stesso di prendere quasi tutte le direzioni, tranne il volo. Il mio livello di energia aumenta. Mi soffermo su micro spostamenti di peso.

Mentre sono in piedi, la consapevolezza viaggia verso i piedi. Cos’è che mi tiene in piedi? Su quali strutture e forze mi affido per muovermi? Nella mia consapevolezza la forza di gravità si manifesta come una curvatura dello spazio-tempo all’interno della quale mi trovo, mentre la massa e il volume del pianeta si muovono, definenedo i limiti e il movimento potenziale di ciò che percepisco come “il mio corpo”.

Mentre la pelle sotto i miei piedi sfiora Il pavimento affiora un ricordo: il sentiero lastricato di pietra del villaggio dove sono cresciuta e dove camminavo a piedi nudi.

I miei piedi e la loro immaginazione trasformano la forma e la curvatura del pavimento dello studio in una superficie fatta di pietre.

Quando le sensazioni iniziano a viaggiare attraverso la mia linea mediana, fino alla colonna vertebrale, cambiano diventando un’immagine bidimensionale… come una fotografia che ho scattato di recente, dei ruderi della chiesa del paese, che non ha tetto a causa di un terremoto che l’ha distrutta più di un secolo fa… L’immagine bidimensionale riposa nella mia cassa toracica, ‘the rib basket’ e da lì diventa di nuovo una sensazione, che si espande in tutte le direzioni viaggiando attraverso la mia pelle, ne esce e mi ritrovo in uno spazio tridimensionale… Io sono in chiesa… in un momento di riconoscimento ‘proustiano’, mi viene la curiosità di muovermi in questo spazio, mentre l’immagine si trasforma in uno spazio tridimensionale flessibile, si espande e muove le mie membra secondo la sua volontà.

La rovina della chiesa è ciò che ancora rimane in piedi dopo che il terreno ha fatto tremare la terra sotto di essa, è come una testimonianza della stratificazione degli eventi passati. Mi chiedo cosa determini ciò che rimane e ciò che va. Immagino che tutto dipenda dall’impatto e dall’interazione delle forze in gioco.

Guardo il cielo, piegandomi all’indietro inarcando la spina dorsale provo un senso di liberazione e la voglia di cadere mi porta a terra. Mi lascio andare alla gravità, affidandomi alla capacità della mia struttura di rialzarsi poiché nella mia immaginazione il pavimento sembra più lontano di quanto non sia, sento che sto sprofondando in una nuova realtà attraverso una caduta senza fine.

Se la gravitazione è dovuta alla curvatura dello spazio-tempo, come può un corpo cadere in caduta libera in linea retta?

L’immagine della rovina della chiesa svanisce di nuovo, mentre sono in caduta libera in uno spazio sconosciuto, il contatto della mia pelle, delle mie ossa, del mio respiro con la terra mi riporta nello spazio dello studio, in una forma deformata.

Sono io nello studio o è lo studio in me? Sono io parte della terra o la terra è parte di me? Come se fossi all’interno di una stratificazione di dati generati da un computer, simboli, immagini appaiono davanti ai miei occhi, e intorno alla mia pelle. Tutto ciò che mi circonda si rivela nella sua struttura nascosta. Ciò che di solito è visibile svanisce. Rimane come una pelle esterna trasparente, che racchiude diverse essenze della realtà. Vibrazioni energetiche viaggiano attraverso il mio corpo come fasce di un laser a velocità diverse. La mia pelle è permeabile, si lascia attraversare, risuonando in modo diverso attraverso sensazioni che sembrano generare uno schema codificato di strutture intorno a loro.

Posso seguire con il mio corpo la loro forma astratta, oppure catturarli e lasciarli riposare all’interno della mia struttura corporea fino a quando non riesco a visualizzarli come immagini… l’esperienza che scelgo di seguire cambia il modo in cui interagisco con loro… Posso tirare un filo e manipolare la forma di questi modelli quando sono astratti, o semplicemente farmi guidare da essi.

Come immagini sono obbligato ad osservarle e meno in grado di modificarne il corso… Mi sento all’interno di un tappeto cosmico di schemi, di cui posso seguire dei fili, muovermi attraverso o semplicemente osservare diverse configurazioni dimensionali…

Mi riposo, lasciando che il mio respiro pensi per me… Il contatto con il suolo mi riporta al momento presente. Un’energia mi strappa all’improvviso dai miei piedi, mi sento trascinata sul pavimento da mani sconosciute. Questa volta non resisto, vengo portata in un nuovo luogo di contemplazione e riconoscimento…

Man mano che le sensazioni svaniscono, apro completamente gli occhi, mi strofino il viso. pronta a ricominciare questa esplorazione… stesso punto di partenza… Ma la prossima volta il viaggio sarà diverso?

Rebecca Marta D’Andrea

Rebecca Marta D’Andrea Movement Artist

La foto di Rebecca nella bacheca delle autrici di Matrika è di Andrea Macchia@WorkspaceRicercaX

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