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by Alberto Paolucci

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Genius Loci

L’essere umano è un ente sociale, ci ricorda Marx, (Marx 2000), l’evoluzione è co-evoluzione di organismo e ambiente, ammonisce Bateson, (Bateson 1976) tutto è un dialogo partecipativo suggeriscono la fisica moderna e la ricerca sugli stati di coscienza.

In un contesto dinamico e interconnesso potremmo chiederci quale sia il rapporto che ciascuno di noi ha con il senso di appartenenza.

La mente ordinaria della piccola donna e del piccolo uomo forte del suo pensiero convenzionale, spinta dalla smania di auto-affermazione si pregia di non appartenere a niente e a nessuno se non a se stessa. Posizione legittima, allo stesso modo di quella opposta che nasce dalla scelta di appartenere a ciò che ci piace e di non appartenere a ciò in cui non ci riconosciamo. Pia, reattiva illusione.

Apparteniamo al genere umano, a questo mondo, al nostro paese di origine, alla nostra famiglia, alla comunità culturale e professionale di riferimento e così via.

Quando ci liberiamo dal dualismo appartengo/non appartengo, sottomissione/ribellione, allora siamo liberi di confrontarci veramente con la faccenda del nostro dialogo partecipativo con il mondo.

Ci accorgiamo che trovare il nostro posto nel mondo, il quarto quadrante di Wilber, (Wilber 2011) è la migliore delle garanzie di validità del nostro cammino evolutivo.

Il mio modo di appartenere scandisce pertanto le tappe del mio processo di realizzazione.

Il coraggio di sentirsi parte, pari tra pari, passa attraverso la partecipazione al nutrimento del genius loci, l’intelligenza del gruppo, quella dimensione transpersonale ineffabile che avvolge e coinvolge, sostiene e guida, l’affermazione del nostro posto nella comunità e l’assunzione di responsabilità che ne consegue, conducono alla consapevolezza che l’archetipo comanda gli inconsapevoli e guida chi sa vedere.

L’accettazione dell’appartenenza, libera/o tra liberi, trasforma il fantasma della dipendenza nel mandala della presenza, la persistenza del contatto con il simbolo unificante della Psyché, il cosmos del campo unificate, l’archetipo dell’unità definisce il temenos, quello spazio sacro interiore, atanor alchemico dove il piombo dell’importanza personale può trasformarsi nell’arte del dono di Sé.

Dono che, come insegna la saggezza perenne della tradizione, ritorna a noi sotto forma di forza spirituale che svela alla piccola donna e al piccolo uomo persi nella loro Realtà convenzionale disseminata di pregiudizi, diffidenze ed egoismi la Verità della fiduciosa scomparsa a se stessi, della presenza consapevole al cospetto della propria essenza transpersonale.

Un modello

L’unione fa la forza, recita la saggezza popolare che non scomoda i massimi sistemi per suggerire ciò che il buon senso comune ha imparato dall’esperienza.

Vediamo come Claudio Tomati (delinea il processo evolutivo dell’appartenenza:

“Possiamo distinguere tre fasi nello sviluppo del “seme” che è lo Spirito del gruppo verso la sua piena liberazione, l'”albero perfetto”: lo stadio della moltitudine, lo stadio della setta, lo stadio della fratria. Queste tre fasi corrispondono allo stadio dell’Es, dell’Io e del Sé transpersonale dell’evoluzione dell’individuo: si passa da una fase in cui l’identità del gruppo è in formazione, a una fase in cui è acquisita e però sta stretta a una fase in cui è trascesa e il cerchio si mostra come riflesso microcosmico dell’Uno macrocosmico. Ognuna di questa fase presenta due aspetti, uno conservativo e uno di auto-trascendenza: ogni nuova acquisizione ha bisogno da un lato di essere difesa, anche strenuamente, dall’altro di essere trascesa, come nel gioco cosmico tra conservazione e distruzione/creazione, i compiti affidati agli dei Vishnu e Shiva. Ognuna di queste fasi ha, in conclusione, a che fare con la risposta alla questione del potere personale, la quale si mostra innanzitutto nel confronto con il leader.” (Tomati 2007, p. 79)

È evidente che il leader e la norma che egli rappresenta, in nome del Padre, come direbbe Lacan, con tutti i suoi simboli è lo specchio che scandisce attraverso il nostro modo di affrontare le fasi descritte, le tappe del nostro viaggio verso il Sé, che relativamente al gruppo di appartenenza, si definisce con il raggiungimento dello stato di fratria.

“Questa fase è stata definita della maturità, dell’intimità, della differenziazione, del raggiungimento, contraddistinta da progettualità, produzione, sentimenti positivi verso il conduttore, intimità, caldi sentimenti e coesione, interdipendenza e fiducia, elevato livello di appartenenza, intimità, integrazione.” (Tomati 2007, p. 89).

“Moriamo qui come figli che demandano a gruppo-madre la responsabilità dell’identità, rinasciamo, dopo il salto nel vuoto di cui parla Grof, (Grof 1988), nella piena consapevolezza del nostro posto nel cerchio, rinasciamo come fratelli tra fratelli che rispettano il posto dell’altro e che affermano il rispetto del proprio. Una rinascita iniziatica come adulti, una volta liberati dalle scorie dell’ego infantile, come nei riti di passaggio delle civiltà tradizionali.” (Tomati 2007, p. 90).

In Concreto

Che fare quindi?

Cosa resta da fare ai “nati due volte” per onorare nel mondo l’appartenenza alla fratria, liberi tra liberi?

“Cair na real” dicono i brasiliani, scendere sul piano di realtà, entrare nello specifico di passi ordinari.

Darsi regole e rispettarle, regole condivise, flessibili in modo che il controllo normativo non risulti repressivo e frenante ma che al tempo stesso venga accolto e compreso nel suo valore di garanzia e tutela.

Confrontarsi con una specifica regola ci da la misura del nostro grado di coerenza con l’adesione alla teoria e alla pratica del modello di riferimento, del nostro grado di liberazione dalla schiavitù dell’identificazione narcisistica, dal sonno della ragione che macina pretesti e spiegazioni per differenziarsi, dubitare, reagire.

La regola rappresenta la strettoia, la bilancia che soppesa il cuore e gli richiede di farsi piuma perché possa schiudersi la soglia, oltre la mente.

La regola rappresenta il maestro che ammonisce: lascia tutto e seguimi, senza pretesti, senza ma, senza se.

Come effetto collaterale dell’adesione alla regola condivisa si produrrà l’ingresso nella coscienza transpersonale di cui parla Lazslo, a quel “campo unificato di co-intelligenza che qualcosa di diverso della semplice somma delle intelligenze individuali” (Lazslo 2011),

Regola

Il problema con la Regola è però che, storicamente, essa ha costituito, da sempre lo strumento di controllo attraverso il quale il pensiero dominante ha esercitato il suo potere.

La storia dell’umanità è caratterizzata da un viaggio evolutivo straordinario del quale spesso ci dimentichiamo nella nostra valutazione delle condizioni attuali.

Agli albori della nostra specie per un tempo incommensurabile abbiamo vagato per le praterie determinati da un pensiero arcaico che per lo più ci lasciava ignari di dove fossimo e cosa stessimo facendo, in un rapporto semi-simbiotico con gli animali che cacciavamo e dai quali eravamo cacciati.

Imparammo a dialogare con la natura cercando di padroneggiarla sviluppando così un pensiero magico che ci fornì per altri millenni l’illusione di potenza.

Le grandi scoperte, linguaggio, agricoltura, cavallo, bevande fermentate, scrittura ci accompagnarono a poco a poco dalla magia al mito.

Il pensiero mitologico fondandosi sul senso di comunità e di appartenenza, sulla divinizzazione degli antenati, sui legami di sangue, tribali e sulla condivisione di comuni credenze, ha consentito la nascita delle grandi civiltà oltre che aver fornito il substrato motivazionale per un’organizzazione del mondo fondato sulle guerre di razzia e conquista.

La comparsa su larga scala dei lumi della ragione, con la nascita della scienza e l’emergenza dell’egemonia culturale del pensiero razionale, ha fatto progredire l’umanità verso ottenimenti straordinari in campo tecnologico, politico, etico e sociale ma non ha saputo favorire lo stesso salto dal punto di vista della coscienza e delle qualità più genuinamente umane.

Guerre, povertà, ingiustizia, diseguaglianze sociali, squilibri ambientali persistono ovunque per il pianeta.

Ancora, potremmo dire, una cultura della competizione e del controllo domina incontrastata.

Ancora le politiche economiche e sociali si fondano su una cultura patriarcale, gerarchica tesa alla ricerca del potere e del predominio.

L’educazione, allo stesso modo è tuttora fondata su una cultura positivista, materialista, riduzionista che separa esteriorità da interiorità, oggettività da soggettività, materia da coscienza, mente da corpo, ragione da emozione, si occupa delle prime e semplicemente ignora le seconde.

In questo panorama, termini come controllo, dovere, potere regnano e hanno regnato sovrani.

Fare appello alla regola potrebbe pertanto suonare pretestuoso.

Libertà dalle Regole?

Le regole del mondo moderno dovute alle forme convenzionali di pensiero e di educazione hanno prodotto almeno tre principali effetti negativi, come ci ricorda Jim Garrison, (Garrison 2014).

Vediamoli.

  1. L’incremento dei cambiamenti climatici a livello planetario occupa certamente il primo posto. Ci basti un dato: ogni ventiquattrore vengono emesse nell’atmosfera oltre 100.000.000 di tonnellate di ossido di carbonio, l’equivalente in termini di calore, di diverse centinaia di bombe atomiche come quella di Hiroshima. Se a questo abbiniamo l’incremento dell’utilizzo delle risorse naturali dell’attività umana di una popolazione che ha ormai superato i sette miliardi, comprendiamo la gravità di una situazione che non può essere ignorata, qualunque sia il contesto nel quale si opera.

  2. L’aumento del controllo degli stati sulla popolazione. Viviamo in un’epoca di post-privacy, di “democrazie totalitarie” per usare le parole di Garrison (Garrison J. 2014, p.24), siamo liberi di esprimere il nostro voto ma sono i soldi che governano il gioco, la finanza mondiale e le multinazionali hanno il controllo della situazione. In questo quadro ai ceti e alle popolazioni più disagiate non restano alternative se non la sopravvivenza in miseria o la delinquenza. È in questo contesto che si collocano fenomeni come le migrazioni o il terrorismo islamico.

  3. Egemonia della ragione (Questo o quello? either or fallacy). Ad aggravare la situazione è che il tipo di mentalità che cerca di affrontare e risolvere questi problemi è tuttora dominato dalla mente duale, il pensiero razionale nella sua dimensione più limitata e limitante.

Ne consegue un pensiero che:

  • Separa la cosa dal modo, si occupa della cosa e trascura il modo.

  • Riduce la biodiversità di realtà dinamiche e interconnesse a un insieme statico di dualismi dove una delle due polarità regna incontrastata e l’altra giace dimenticata: “I folletti non si vedono quindi non esistono”

  • Introduce la questione politica del potere. Potere della testa sulla pancia, della ragione sull’immaginazione, dell’uomo sulla natura, del bianco sul nero, del forte sul debole, del furbo sull’onesto.

  • Alla condivisione e alla partnership preferisce la competizione e il controllo.

  • Disincanta il mondo relegando ai margini del pensiero scientifico le radici originarie e naturali dell’umano e le dimensioni del sacro.

  • Trascura il soggetto dell’esperienza. Non ci dice nulla su come guarda chi guarda e soprattutto di cosa ne fa di ciò che ha visto. Non ci parla del grado d’identificazione dell’osservatore con le sue aspettative, i suoi presupposti impliciti.

  • Allontana dal qui ed ora, il luogo dell’essere, l’unico luogo dove avviene qualcosa di reale per proiettarci in un mondo virtuale della mente fatto di strategie, obbiettivi, protocolli, ricerche che trascurano l’essenza delle cose: il loro modo, che si compie sempre qui e sempre adesso. Divide il mondo in bianco o nero trascurando i contorni e le sfumature, vincolando i confini alla sola funzione di separare e precludere negando agli stessi la funzione di indicare un altrove. (Lattuada 2017)

Si tratta in definitiva, di un pensiero che è parte del problema che cerca di risolvere fondato su

separazione, riduzione, competizione, controllo.

Dall’epoca dei movimenti culturali di sviluppo del potenziale umano degli anni sessanta e settanta hanno iniziato a svilupparsi culture alternative che hanno cercato di risolvere il problema della regola, del controllo e del potere, sfidando il Nome del Padre, l’autorità, il sistema, l’establishment.

Da questi movimenti sono rimaste, semplificando, due tendenze che potremmo chiamare, antagonista e neo romantica.

Al versante dell’antagonismo appartengono i movimenti della contestazione giovanile che hanno assunto varie forme comprendenti i gruppi extraparlamentari di sinistra dei primi anni settanta, estendendosi da un lato ai movimenti femministi e dei diritti civili e dell’impegno politico attivo nella legalità, dall’altro degenerando in quello che sarebbe poi diventato il fenomeno del terrorismo, o radicalizzandosi nei gruppi semi clandestini dell’autonomia i cui ultimi epigoni compaiono ancora oggi alle manifestazioni anti globalizzazione.

Nel versante neo-romantico, sempre partendo dagli anni sessanta possiamo riconoscere i movimenti hippies e dei figli dei fiori che si sono poi trasformati nei decenni a seguire animando il pensiero new-age, il fiorire di eco-villaggi, di comunità spirituali, i raduni Rainbow, i vari gruppi di sviluppo del potenziale umano, di ricerca sugli stati di coscienza, la psichedelia e il neo sciamanesimo.

Il problema è che entrambi hanno cercato di combattere o superare il sistema usando, spesso inconsapevolmente, la stessa mente del sistema, lo stesso tipo di pensiero, quello razionale.

Gli antagonisti dividendo il mondo in buoni e cattivi, decidendo, di volta in volta, che i buoni fossero il popolo e i cattivi i capitalisti, oppure le donne piuttosto che gli uomini, gli anti-globalizzazione piuttosto che le multinazionali e così via, sostituendo cioè una regola ad un’altra.

I neo romantici invece negando la ragione e quindi lo stesso pensiero razionale a favore dell’emozione, del sentire, dell’immaginazione, negando la cultura a favore della natura, il moderno a favore dell’arcaico, il progresso a favore di un ritorno alla purezza delle origini e così via, negando la regola a favore della libertà individuale, la struttura a favore dell’istinto, la mente a favore del cuore, la scienza a favore della spiritualità.

Nessuno dei due ha messo in discussione il centro del problema, la dualità.

Dalla Regola alla Regolarità

Il pensiero razionale però opera secondo rigidi schemi dualistici solo al suo livello inferiore quello dogmatico, dominato dal wishful thinking, che porta l’individuo ad arroccarsi alle sue credenze ed erigere muri contro chi le minaccia.

Gli psicologi cognitivi e gli antropologi, usando le funzioni più elevate della razionalità conosciuta come “cognizione formale operazionale” offrono uno strumento che fornisce “ragionevoli ragioni” direbbe Wilber (Wilber 2011 p.7) per le proprie credenze ponendosi domande tipo: quali sono le evidenze? Perché dovrei credere a questo? Chi lo ha detto? Come ho raggiunto questa informazione?

Così facendo la razionalità può creare uno spazio di possibilità dove i sentimenti e le intuizioni possono raggiungere spazi più ampi e autentici di quelli delimitati dai nostri desideri o da quelli della realtà consensuale.

In questo modo la razionalità tende ad essere universale e altamente integrativa in modo tale da dare spazio non solo alle nostre ragioni, alle nostre verità, alle nostre regole e a quelle della nostra tribù, della nostra famiglia, del nostro ambito culturale, della nostra religione, della nostra nazione e ad aprirsi alle argomentazioni di chiunque sia in grado di riflettere sulle proprie ragioni.

La regola si trasforma così non più in un dovere da imporre, ma in un insegnamento da trasmettere, in una proposta da condividere, in una regolarità da riconoscere.

In questo modo la sottomissione o ribellione alla regola può venire trascesa e inclusa nel riconoscimento e nella conseguente libera adesione al rispetto di regolarità.

Il paradigma della consapevolezza

Così come nel rinascimento, l’umanesimo civico si è affermato liberando il mito dalla sua morsa dogmatica e oscurantista per trascenderlo e includerlo grazie ai lumi della ragione, ora un nuovo umanesimo consapevole, animato da un pensiero integrale può essere in grado di liberare la ragione dal ristretto giogo del dualismo riduzionista, trascendendola e includendola nella radianza numinosa della consapevolezza, liberare la regola dal giogo della necessità per trasformarla in una chiave di consapevolezza al servizio della libera scelta.

Il paradigma della consapevolezza non ragiona secondo i canoni oggettivi duali di buono o cattivo, giusto o sbagliato, vero o falso, ma secondo i criteri dell’osservazione consapevole, non impone una morale a scapito di un’altra, non ragiona dentro i confini, varca la soglia e riconosce ciò che separa e ciò che unifica, riconosce e accoglie le differenze, trascende e include.

Osservazione, attenzione, riconoscimento sono alcune delle sue parole chiave.

Ad esempio se l’esperienza umana si caratterizza come un dialogo partecipativo con l’ambiente, un dialogo cioè tra un sistema adattativo complesso in grado di auto-organizzarsi (l’essere umano) e un campo di interazioni dinamico e interconnesso, una “regolarità” di comportamento che valorizzi il vuoto, l’ascolto, la presenza, l’osservazione, la fluidità, la tolleranza dell’incertezza, la fiducia, il rispetto dell’altro, la disidentificazione, la sacralità dell’esistenza e di tutte le sue relazioni, si caratterizza come auspicabile.

L’obbedienza alla consapevolezza di cui parlava Jung, Jung 1979) cioè potremmo dire alle regolarità che favoriscono la consapevolezza, va vista pertanto come un atto di libera scelta intelligente e non di sottomissione ad una regola.

Nel paradigma della consapevolezza il mito mantiene il suo potere allegorico di incantare il mondo, di elevare le regolarità a cerimonie, atti sacri di servizio e condivisione, pratiche di cura atte a migliorare se stessi e il mondo che ci circonda. La ragione mantiene grazie al pensiero critico la sua capacità di cogliere le differenze che fanno la differenza, di non confondere ad esempio il pre-personale con il transpersonale, le proprie credenze per Verità, i propri desideri per Realtà, la confusione per chiarezza, le mappe sbagliate per il territorio giusto.

Il pensiero integrale trascende e include mito e ragione nella presenza consapevole qui ora e tutto intorno, afferma il primato dell’insight come strumento di conoscenza e della Seconda Attenzione (Lattuada 2010) come garanzia di validità.

Riconosce nel rispetto della regolarità la giusta azione in grado di risuonare su tutti i quadranti dell’esistenza umana, personale, relazionale, culturale e sociale e di conseguenza in grado di attingere tutti i diversi ambiti individuale e collettivo, politico, ecologico, spirituale e così via.

Pensiamo all’effetto farfalla o alla centesima scimmia, ai campi morfogenetici, alle connessioni non locali o alla sincronicità; una piccola perturbazione nel sistema se lasciata risuonare ha effetti straordinari sull’intero sistema; non basta vivere esperienze interiori trasformanti o lottare per i propri ideali, bisogna essere “spietati” abbastanza dal perseguirli ad ogni costo, da portare la trasformazione in ogni semplice atto del quotidiano, essere integrali svelando i pretesti che ci bloccano.

Riconoscere e rispettare le regolarità, detto in due parole, può rivelarsi un grande alleato.

P. L. Lattuada MD., Psy. D., Ph. D

biotransenergetica@gmail.com

www.integraltranspersonal.com

Bibliografia:

Bateson G. (1976), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano

Garrison J. (2014), Integral Transpersonal Journal, number 5, pp. 22-29

Grof S. (1988), Oltre il Cervello, Cittadella, Assisi.

Jung C.G. (1979), Psicologia e Religione, Boringhieri, Torino.

Lattuada P.L. (2010), Epistemologia della Seconda Attenzione, Integral Transpersonal Journal n.0 ITI edizioni, Milano

Lattuada P.L. (2017), Educare a un Rinascimento Umanistico, M@gm@ – Rivista internazionale di scienze umane e sociali, vol.15 n.2 maggio-agosto 2017

Lazslo E. (2011), Intervista sulla Coscienza Transpersonale, Integral Transpersonal Journal n.1 ITI edizioni, Milano

Marx K. (2000), Il Capitale, e Newton classici.

Tomati C. (2007), Il cerchio che cura, Edizioni Om, Milano.

Wilber K. (2011), Sex, Ecology, Spirituality, The Spirit of Evolution, Shambhala, Boston U.S.A.

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

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    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

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    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

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    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

    Salva

    Salva

  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

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