March 7, 2020

(Italiano) C’era una volta…

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Categories: n9

by Jerry Diamanti

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C’era una volta un medico occidentale.
Per ventura o per destino un lontano giorno del luglio 82 si ritrovò con la sua testa calda, pulsante e dolente, sotto il cielo notturno di Belo Horizonte (Brasile) con le sue stelle diverse e la luna orizzontale. Sotto di esse passeggiò trepidante per le strade periferiche e mal disegnate del Bairro (quartiere) Apareçida, alla ricerca di immagini familiari che tranquillizzassero la sua mente, senza trovarle. Caldo di febbre e fervore salì scale sapide d’aglio. Profano, scettico, titubante, ricercatore, complice e distaccato, incapace di essere semplicemente semplice, varcò la soglia di un Terreiro (tempio) di Umbanda , fece il suo ingresso nella sacralità scomposta della Tradizione Sciamanica Afro-Brasiliana.

Cosa ci facesse lì non gli era affatto chiaro, cosa avesse da spartire con quelle moltitudini povere, scure ed incolte che lo circondavano da ogni lato? Le vedeva salire le scale ripide e strette di cemento grezzo, varcare a manciate la porta del tempio, avvicinarsi all’altare, chinarsi per battere il capo a terra in segno di devozione agli Orixàs (divinità), disporsi per file parallele tra le panche di legno consunto, chiudere gli occhi e restare in silenzio o forse pregare. Alcuni mantenevano lo sguardo fisso, tipico del rapimento mistico verso l’altare zeppo di statue dalle fogge più strane. Altri, meno assorti, si guardavano intorno, scorgendo così le effigi sul muro, i medium vestiti di bianco che tracciavano segni col gesso sul pavimento o disponevano le oferendas (offerte) e as comidas (cibi) per i diversi Orixàs. Lui, come non faticherete a credere, era tra quelli che si guardavano in giro con aria annoiata e per di più ipercritica nei confronti di quella “Loreto dei poveri” dove le statue della Madonna nera avevano il naso rotto e gli ex-voto erano quattro scalcinate effigi di plastica. A chi lo accompagnava ebbe la sventatezza di chiedere e quegli l’audacia di rispondere: ” Ogni statua figlio mio rappresenta un Orixà o un Egun. Gli Orixàs, sono le divinità delle diverse forze naturali, mentre gli Eguns sono quelle entità spirituali di esseri che hanno avuto una vita terrena. Nell’Umbanda abbiamo sete linhas ,vale a dire sette vibrazioni archetipiche nelle quali vengono raggruppati i diversi Orixàs e i relativi Eguns.” Nel frattempo, i canti, sparsi dovunque, rendevano lo spazio denso dal moto occulto di forze presenti, le statue e le immagini di santi e demoni, cominciavano a prendere forma vivente in vecchi ricurvi, aitanti guerrieri o profeti di casa, conferendo storia a quelle scalcinate mura, nere di fumo. I volti, più che altro poveri e neri, coloravano il resto di antico sudore, il calore rappreso nelle panche consunte sotto un tetto d’amianto ricordava a chiunque che stava nel “versante scordato”, la parte del mondo che non faceva notizia. E poi venne un canto soave: ”Salve o sol, salve a lua, salve a todos os Orixàs”. Come appena emersa dalle onde dell’oceano, una venere azzurra, adorna di stelle e trecce corvine distese sulla pelle ramata, opulenti i seni di casto erotismo, stava intonando il suo canto ad Iemanjà, la divinità dell’acqua salata. I suoi gesti lenti ed ondulati si mischiavano a quelli aguzzi di maschi perlati dal sudore del dio, che mostravano muscoli e passione guerriera mentre tracciavano lo spazio con segni di spada e, di tanto in tanto, gridavano: ”Auè, Ogun, guerreiro da lei”, salutando così la presenza di Ogun, l’orixà del metallo, divinità guerriera. Poco più in là, sontuosa e gialla nella sua vanità rotonda, una fanciulla orlata di perle e vesti da bazar danzava la danza di presentazione di una dea sorniona, Oxum, l’orixà dell’acqua dolce. Ovunque, uomini e donne biancovestiti, i medium unificati dalla “corrente astral da Umbanda” (catena astrale dell’Umbanda) ruotavano su se stessi, cantavano, emettevano versi. Quando le danze, i canti, gli incensi resero l’atmosfera propizia, e le anime discesero per la dovuta carità, egli, forte del suo ingorgo culturale, credeva ancora di poter restare alla finestra, ma non fu così.

Stava per conoscere, per la prima volta e sulla sua pelle, il significato di un termine che avrebbe da quel giorno in poi marcato a fuoco la sua esistenza: si trattava del termine Transe. Mentre tamburi scandivano i ritmi dei diversi orixàs, sigari ed incensi si accendevano, lance e rossi mantelli si agitavano, cerchi col fuoco o segni col gesso venivano tracciati sul pavimento dai medium , i devoti si disponevano in fila come i cattolici per la comunione e si recavano al cospetto delle varie entità spirituali, “incorporate” dai medium, per chiedere e ricevere benedizione, consigli e conforto.

Mae Divina, la mae do santo responsabile del terreiro, ricamata dal bianco delle vesti, dal rimbalzo colorato di perle di vetro e dal piglio deciso di Giovanna D’arco, intonava i pontos cantados (canti ) coi quali si richiamavano le diverse entità, fumava sigari e scandiva i tempi della cerimonia col suono della campanella. La sua presenza riempiva. Quando avanzò tra la folla, lo additò e lo chiamò, lui andò. Bastarono una mano sulla testa e una parola sussurrata perchè anch’egli diventasse, in breve, un isterico che si agitava. Come il serpente la sua pelle, così sentì l’ego scivolargli di dosso. Sentì incrostazioni di anni scrollarsi dalle sue spalle, dalla sua nuca. Girava e girando andava in pezzi l’ingorgo culturale della sua mente rozza, le sue certezze venivano portate lontano come polvere cosmica nel mondo parallelo abitato dal nulla. Girava senza trovare un posto dove appoggiare i suoi piedi, un punto di riferimento al quale affidare i suoi pensieri. Era solo nel buio, la leggerezza che provava gli pareva insostenibile, il senso di apertura era talmente profondo nelle sue cellule da confondersi con un senso di disintegrazione, la paura si confondeva con la gioia, il buio con la luce. Gli sembrava di non esserci, eppure era totalmente consapevole, si sentiva fermo eppure stava girando, gli sembrava di urlare, eppure era in silenzio. Gli sembrò di volare verso l’alto quando vibrò e cadde. Non so quanto tempo rimase nella luce che vedeva, nell’amore che sentiva.
La leggerezza si prese cura di lui, la gioia gli sorrise nel cuore, apri gli occhi e vide Mae Divina che non aveva mai smesso di vegliarlo, intonare un canto di ringraziamento: ”Oxalà meu pai, tem pena de nos tem dor…”

Quando sii riebbe, lei lo abbracciò e lo rassicurò, Pai Cruzeiro era sempre rimasto al suo fianco e Caboclo Flecheiro (1) lo aveva condotto nel viaggio. Adesso anche lui aveva una guida spirituale, avrebbe solo dovuto continuare il suo percorso di realizzazione, allenando la sua medianità.

Nulla di ciò che gli era successo e gli continuava a succedere gli risultava chiaro. La sua mente era vuota, il suo cuore leggero, i suoi occhi chiari, forse per la prima volta. Si guardava intorno, l’ambiente che poco prima gli era sembrato grottesco e alquanto dissacrante con le sue statue colorate ed effigi da quattro soldi raffiguranti santi cattolici mischiati a personaggi disincarnati o entità africane, ora trasudava sacralità ed aristocrazia. I volti stanchi e rassegnati della povera gente che gli stava intorno gli svelavano il loro profondo e prezioso messaggio di saggezza: “Ciò che muove il mondo è l’amore, ciò che ti ammala e ti fa soffrire è l’amore che non sai dare. E non c’è niente da capire.”

Occhi chiari…

Da quella mia prima esperienza estatica di ordine sciamanico ne sono trascorsi di anni e di acque sotto i ponti. La via sciamanica è diventata la mia via, percorrendola la vita mi ha condotto in spazi assolutamente inconcepibili per la mia mente di allora, più volte mi ha mostrato l’imminenza del disastro e dischiuse le soglie della grazia, ma quando mi fermo e ascolto la sua voce, immancabilmente la sento recitare:

Occhi chiari, mente vuota, cuore leggero.
Allora, doverosa, giunge la riflessione: Come è successo che i nostri occhi si siano appannati, il nostro cuore appesantito, la nostra mente riempita?
La metafora della cacciata dal paradiso terrestre, come ogni mito ci parla della storia dell’uomo. Di una storia non raccontata.

L’eredità della tribù

Il giorno in cui l’uomo cacciatore-raccoglitore scoprì che poteva seminare e produrre da sè il proprio nutrimento si fermò. Nacquero i primi villaggi, l’agricoltura ed ebbe così inizio la storia.

Sembra che, con quei primi semi vegetali, l’uomo preistorico piantò anche i primi semi della cultura del dominio. Il dominio sulle forze della natura e di conseguenza sulla propria e sull’altrui natura.

Lungo questa strada prese il via l’inarrestabile corso del progresso tecnologico che ci portò dalla zappa al compiuter, dall’era preistorica all’era moderna.

Ed ecco l’uomo moderno, il quale trova scontato che il progresso tecnologico e culturale debba procedere di pari passo con l’aumento del controllo esercitato dalla sua specie sul mondo naturale.

La logica del controllo si è via via radicata sempre più profondamente nella mente dell’uomo tanto da imporre un regime autoritario rigidamente determinato dai codici della ragione. Le intense emozioni, gli stati alterati della coscienza, la passione erotica, l’esperienza estatica della natura, l’immaginario, l’ascolto, il silenzio sono vissute dal senso comune come questioni “poco serie”, o quanto meno un po’ strane, esotiche, se non addiritura pericolose o peccaminose.

La logica del controllo ha portato con sé quella che Reich chiama la “morale coercitiva”, ha imprigionato l’individuo nell’ossessione del pieno e nel terrore del vuoto.

La nostra è una cultura piena, drammaticamente sbilanciata sul versante esteriore. Non fare è vissuto come ozio, chiudere gli occhi come dormire, silenzio come tristezza, solitudine come disagio, occuparsi di sé come segno di malattia, andare piano come inefficienza.

Ma non fu sempre così.

 

La via della condivisione

Molto spesso si sente dire che la nostra cultura occidentale è razionale mentre quella orientale è più intuitiva, meditativa. La mente umana è avvezza alla generalizzazione e per semplificare, troppo spesso banalizza, per capire troppo spesso si offre in pasto a presupposti impliciti, per non inquietarsi resta in superficie, dimentica.

Dimentica che tutti noi, belli e brutti, colti ed ignoranti, bianchi e neri, orientali ed occidentali, abbiamo scritto nei geni il racconto implicato delle migrazioni nelle grandi pianure in cerca di cibo, il terrore dell’urlo bestiale, degli occhi gialli in agguato, padroni del regime notturno, del raggio che scende dal cielo ed incenerisce il malvagio. Dimentica di avere scritto le pagine della sua storia culturale con la grammatica dell’esperienza estatica compiutasi tra le foreste ed il cielo a disporre pietre verso l’alto e danzare alla luna. Dimentica che prima di separarsi dalla natura per creare la storia, per millenni riconobbe nelle manifestazioni naturali il linguaggio parlato dagli dei del mondo parallelo, prima di contrapporsi alla natura cercando di controllarla perseguì la via della comprensione e della armonizzazione con le sue forze, prima di inoltrarsi inesorabilmente lungo i viali del dominio l’uomo percorse con successo la via della condivisione.

Per farcene un idea ci basti pensare alla struttura sociale degli Indios delle tribù Amazzoniche o alla civiltà Minoica di Creta che prosperò per quattro millenni senza conoscere la guerra.

Lo sciamano e lo psicoterapeuta

Nell’era della condivisione, alla salute dell’uomo arcaico, profondamente radicato nel suo gruppo sociale ed immerso nelle forze della natura delle quali si sentiva parte, provvedeva la figura dello sciamano. Ad esso veniva delegato il compito di preservare o ricostituire l’armonia del singolo col suo gruppo e l’armonia della tribù con l’ordine cosmico. Lo sciamano era pertanto sacerdote e stregone, medico e psicoterapeuta.

Nell’era del dominio e del controllo la figura dello sciamano è andata via via differenziandosi e le sue diverse funzioni hanno trovato interpreti specifici.

Il sacerdote ha preso ad occuparsi dello spirito, il medico del corpo, e, nell’ultimo secolo, lo psicologo della mente.

L’uomo separato ha delegato figure separate ad occuparsi di funzioni separate.

 

Due visioni del mondo

Da una parte la visione panteistica dello sciamano per il quale esiste una “unità fondamentale del creato” che unifica in una unica corrente di dinamismo le pietre, i vegetali, gli animali e l’universo intero, demoni e divinità compresi, dall’altra la visione positivista dell’uomo di scienza per il quale le manifestazioni del vivente vanno classificate, analizzate, spiegate, controllate.

Da una parte la visione animista di un “uomo di medicina” che ricerca nell’atteggiamento sacro nei confronti di tutto ciò che è vivo la forza e l’umiltà necessarie per ampliare la propria coscienza ed accedere al mondo degli spiriti e delle divinità naturali depositari della conoscenza, dall’altra la visione scientifica dell’uomo razionale che persegue la separazione tra fede e ragione, natura e cultura.

Da una parte l’atteggiamento premorale ed estatico dello sciamano che ricerca nell’esperienza interiore la forza e la saggezza necessarie a condividere la sofferenza dell’altro, entrare nel suo mondo e comprenderlo, dall’altra l’atteggiamento colto e professionale dello psicoterapeuta che persegue la comprensione dell’individuo dall’esterno, senza coinvolgersi con i ”problemi del paziente”.

Un nuovo paradigma

Non vogliamo qui riproporre il mito del buon selvaggio indugiando nell’atteggiamento romantico che vuole gli occhi chiari appartenere allo sciamano e la mente piena allo scienziato. Vogliamo però ricordarci di ricordare che, grazie a Dio, la “mente non vista” dello sciamano ha continuato ad accompagnare l’umanità nella sua giornata evolutiva, la dea madre, prevaricata e dismessa dagli dei maschili dei conquistadores di ogni tempo non ha mai cessato di elargire la sua numinosa radianza agli uomini e alle donne di buona volontà e no.

Vogliamo qui sollecitare la trascendenza di stereotiopi e invitare ad un incontro. L’incontro tra lo scienziato dagli occhi chiari che non liquidi la figura dello sciamano come semplice residuato preistorico e prescientifico, e lo sciamano moderno che non voglia negare la conoscenza intellettuale ed il progresso come frutto inevitabile di quella cultura del dominio perpetrata per secoli dall’uomo bianco nei confronti del naturale e dell’istintivo. Vogliamo qui essere strumento di divulgazione dell’esistenza di un profondo processo di trasformazione in atto negli ambiti culturali e scientifici, di un sempre più vasto movimento di studiosi, scienziati, intellettuali, artisti ed operatori della salute che si stanno muovendo in direzione a questo incontro.

Stiamo parlando del movimento transpersonale sostenuto dal nuovo “paradigma olistico” emergente, grazie al quale, dopo alcuni secoli di scienza positivista e dopo alcuni millenni di separazione dell’individuo da se stesso e di se stesso dalla natura, l’uomo del nostro tempo può finalmente, forte delle acquisizioni della fisica quantistica e della ricerca sulla coscienza, può ritrovare gli occhi chiari, il cuore leggero, la mente vuota, dello sciamano e recuperare e riproporre quella dimensione estatica, unitaria dell’essere che si era persa nei percorsi tortuosi della storia.

La visione olistica sta, infatti, venendo sviluppandosi in ogni campo della scienza grazie a personalità quali : i fisici D. Bohm e F. Capra, il chimico J. Lovelock, il biochimico R. Shaldrake, il neuroscienziato K. Pribram, l’epistemiologo G. Bateson, lo psichiatra S. Grof, gli psicologi K. Wilber e C. Tart, i filosofi D.C. Dennet e e,D.R, Hofstadter e molti altri.

Aprendosi ad un approccio olistico che consideri l’individuo nella sua unità bio-psicospirituale lo psicoterapeuta può così conciliare le scoperte della nuova fisica e la concezione degli organismi viventi propria della teoria dei sistemi con i modelli medici delle antiche culture tradizionali.

Come ci ricorda Capra, infatti:”Il pensiero scientifico moderno in fisica, in biologia e in psicologia sta avviandosi verso una visione della realtà che è molto vicina alle concezioni dei mistici e di molte culture tradizionali, in cui la conoscenza della mente e del corpo dell’uomo e la pratica dell’arte della guarigione sono parti integranti della filosofia naturale e della disciplina spirituale”.

P.L. Lattuada M.D., Psy.D., Ph.D.

djirendra@gmail.com

www.integraltranspersonallife.com 

www.pierluigilattuada.com

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

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    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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