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by Jerry Diamanti

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Se sognare è un’attività universale, diverse sono le interpretazioni e il modo di vivere quella metà della vita che passiamo addormentati. Sognare in pianura è diverso che sognare in cima a una montagna, sognare durante una guerra è diverso che sognare in tempo di pace.

Il libro di Arianna Cecconi “I sogni vengono da fuori. Esplorazioni sulla notte nelle Ande Peruviane” (ED.IT, 2012) approfondisce l’intimo dialogo tra il giorno e la notte, tra la veglia e il sonno, e la continuità che lega i due mondi di cui l’essere umano è cittadino.

Nel tuo lavoro è molto importante il metodo che hai utilizzato, sono convinto che quando si analizzano le culture umane sia fondamentale che i mezzi siano strettamente coerenti con i fini della ricerca, nel tuo testo ci parli dell’osservazione della partecipazione, spiegaci cosa intendi e come hai lavorato nelle comunità andine.

Quando ho iniziato a fare ricerca sui sogni nelle comunità andine del Perù, davanti ad alcuni racconti non potevo fare a meno di domandarmi “l’avrà sognato davvero?” e ogni volta che mi facevo questa domanda non potevo che scontrarmi con un’assoluta certezza: non l’avrei mai scoperto. I sogni degli altri non li puoi osservare, eppure è proprio sull’osservazione che si basa la metodologia antropologica, osservare le pratiche, i contesti, le relazioni, i discorsi.
Come potevo impostare una ricerca su qualcosa che è per sua natura inosservabile? Il lavoro di altri antropologi che hanno cercato di esplorare i sogni è stato ispiratore. Se i sogni degli altri non li potevo osservare, quello che potevo analizzare era da un lato in che modo, perché e in che contesti i sogni venivano raccontanti e le reazioni che provocavano in chi li aveva sperimentati direttamente e in chi li ascoltava. Dall’altro lato, ho cominciato ad analizzare come durante i mesi vissuti nelle comunità andine le persone hanno cominciato a sognarmi e io a sognarle. Che ruolo avevo nei sogni dei comuneros, e i comuneros che posizione occupavano nei miei sogni? Nell’analizzare alcuni sogni potevo riflettere sulla relazione che si stabiliva tra me e gli abitanti dei villaggi andini anche da un altro punto di vista.
Questa è quella che ho chiamato una osservazione della partecipazione onirica.

 

Se analizziamo il sogno come un oggetto culturale che si tramanda e diventa storia, con la tua ricerca apriamo le porte a un nuovo metodo…

I sogni sono sismografi in cui si registrano gli effetti storici nell’intimità degli individui. Questo l’aveva detto una grandissima storica, Charlotte Beradt che durante il Terzo Reich aveva cominciato a raccogliere i sogni che facevano le persone in Germania, come documenti storici che mostravano i terribili effetti repressivi del regime anche sulla dimensione onirica. Ma a parte questo pionieristico lavoro di Beradt, la categoria della storia è quasi sempre circoscritta alla vita diurna, come se la storia riguardasse soltanto quello che accade nelle società di giorno. Sulle montagne andine invece quando i comuneros mi raccontavano episodi accaduti nel loro villaggio, ad esempio durante gli anni della guerra, spesso ricorrevano anche a narrazioni di sogni che avevano preceduto quegli eventi o che erano arrivati durante o in seguito.
I comuneros consideravano i sogni di quegli anni come un complemento necessario per ricostruire e narrare la storia della guerra. I comuneros sembravano del tutto consapevoli di quello che aveva sostenuto la storica Beradt. Anche I sogni fanno parte della storia. I sogni vengono raccontati non solo in famiglia, ma anche in contesti collettivi, e la storia si ricostruisce e tramanda anche attarverso le narrazioni di sogni.

Il titolo del tuo libro diventa chiaro dopo aver letto qualche pagina, per i lettori di questa intervista lo anticipiamo…cosa significa che i sogni vengono da fuori? Che importanza hanno i sogni nelle comunità andine che hai conosciuto e vissuto per tre anni, quali sono le differenze con il nostro sognare “occidentale”.

I sogni vengono da fuori è un’espressione che ho incontrato sulle montagne andine, e che fin da subito ha rimesso in discussione l’idea che io avevo sui sogni, prima di arrivare in Perù.
Le mie letture psicologiche sui sogni fatte fino ad allora mi avevano portato a immaginare il sogno come un’esperienza connessa all’interiorità delle persone. Invece, nei villaggi in cui ho vissuto, i comuneros facevano una differenza tra i sogni legati alle preoccupazioni del giorno (questi sono i sogni che secondo i comuneros vengono da dentro e non sono considerati importanti) e i sogni che vengono da fuori, che sono invece considerati delle visite delle divinità o delle anime dei morti. I sogni che vengono da fuori sono interpretati come dei messaggi, delle rivelazioni, delle premonizioni che spesso anticipano la realtà diurna. Questi sogni vengono considerati una forma di sapere e conoscenza, vengono ascoltati, raccontati ai famigliari e alla collettività e ispirano le persone nelle loro scelte, e azioni.

 

Quindi esiste un uso sociale del sogno?

Sì, le persone parlano pubblicamente dei loro sogni e in alcuni casi giustificano decisioni e pratiche anche a partire da alcune rivelazioni notturne. Queste giustificazioni oniriche sono considerate legittime dalla comunità, perché il sogno è riconosciuto collettivamente come un luogo di rivelazione. Ad esempio la scelta di non partire per un viaggio in seguito ad un sogno in cui appare una combi (piccolo autobus, che quando si presenta nei sogni viene considerato simbolo di sventura) viene considerata dalla collettività una motivazione legittima per posticipare la partenza. Anche alcuni ruoli di potere vengono legittimati da sogni. Ad esempio i mayordomos (così vengono chiamati coloro che si incaricano di organizzare la festa del santo patrono, un incarico religioso e al tempo stesso politico all’interno del contesto comunitario) spesso giustificano la legittimità della loro scelta attraverso sogni in cui il santo stesso li ha investiti di quel ruolo.
Come sosteneva l’antropologo Crapanzano che ha studiato i sogni in Marocco, “l’esteriorità” attribuita ai sogni in differenti società, consente quindi in alcuni casi di legittimare scelte, decisioni e desideri che vengono attribuiti ad un “fuori” la cui autorità non può essere contestata.

 

Sogni e religione, anche di questo ci parli nella tua appasionante etnografia, perché anche nei sogni la chiesa cattolica è stata invasiva, ma per rubare le parole a J. Scott, l’arte della resitenza è infinita e quindi gli indigeni delle montagne andine nei loro sogni, nel loro modo di vivere la religiosità hanno ibridato tutto…ti va di dirci qualcosa.

Nel concilio di Lima del XVI secolo era stato stabilito che uno dei principali obiettivi dei missionari doveva essere quello di estirpare i sogni dei nativi peruviani. Gli autoctoni dovevano essere convertiti e dovevano smettere di interpretare e credere ai loro sogni. La chiesa temeva il potere sovversivo dei sogni dei nativi, per questo i sogni dovevano essere estirpati.
Dopo secoli di persecuzioni ed evangelizzazione dell’immaginario i sogni dei campesinos sono stati in parte colonizzati. Ma se in entrambi i villaggi in cui ho vissuto le persone si definiscono cattoliche, quando ci si avvicina ai sogni dei comuneros è interessante osservare come essi continuano a rappresentare un luogo di sapere e potere all’interno delle comunità andine. Nonostante più di quattro secoli di colonizzazione e evangelizzazione, nei sogni i comuneros vengono visitati tanto dalle divinità imposte dai missionari come le vergini e i santi, quanto dalle divinità locali come l’Apu (la divinità della montagna), o la Pachamama (la divinità della terra) o gli antenati. Come impossibile è osservare i sogni degli altri, altrettanto impossibile è stato estirparli.

Le culture sono sempre in transito, non rimangono mai immobili, mi chiedo se nei sogni le culture si muovono e come viene rinegoziata la modernità nella sfera onirica andina.

I sogni andini si trasformano come si trasforma la vita diurna dei comuneros. Sono popolati da divinità, da simboli ancestrali, da luoghi e animali, così come da macchine, da radio, da televisori, da tutti quei simboli della modernità che negli ultimi anni sono arrivati in queste montagne. Alcuni di questi emblemi della modernità, che le persone desiderano possedere, quando vengono sognati la notte predicono sventura. Sognare una macchina o un autobus preannuncia morte, e credo che questa interpretazione sia legata ai numerosissimi incidenti stradali che avvengono sulle montagne andine. Sognare una radio preannuncia che si riceverà una cattiva notizia, e credo che anche questa interpretazione abbia una spiegazione storica in quanto la radio si è diffusa in molte comunità andine proprio durante gli anni della guerra.
Durante la mia ricerca ho potuto osservare come il ritmo del sonno e dei sogni cambi in rapporto alle trasformazioni tecnologiche e del contesto sociale. Ho vissuto infatti in un villaggio in cui da due anni era arrivata la luce, e quindi la televisione, e in cui la sera le donne si riunivano a vedere le telenovelas venezuelane, e in un altro villaggio in cui l’elettricità non era ancora arrivata, e si andava a dormire appena tramontava il sole. L’arrivo della televisione introduce nei sogni nuovi personaggi e immaginari. I sogni variano in rapporto ai contesti sociali, all’epoca storica, al luogo in cui ci si trova. Sognare in città è diverso che sognare in cima ad una montagna, sognare in tempo di pace è diverso che sognare durante una guerra. Per avvicinarsi e comprendere i contenuti dei sogni non si può mai prescindere dall’analisi del contesto sociale in cui vengono fatti. Però è importante sottolineare che l’arrivo della modernità nelle comunità andine ha trasformato i sogni ma non ha intaccato il loro potere, così come non c’è riuscita la chiesa cattolica. Come nei sogni c’è spazio sia per le divinità cattoliche sia per quelle autoctone, così c’è spazio sia per la storia passata che per quella presente e futura.
Oggi alcune ragazze originarie dei villaggi andini che si sono trasferite in città in cerca di lavoro, mi mandano i loro sogni per mail. Il fatto di essere andate a vivere in città e di essersi “modernizzate” non le ha allontanate dai loro sogni.

 

Esiste una vita diurna e una notturna: la separazione netta è tutta occidentale?

Nel contesto andino esiste una continuità tra quello che succede di giorno e quello che accade la notte. I sogni ispirano le azioni del giorno, così come quello che avviene di giorno, e la storia si iscrive nella notte. La realtà delle persone è fatta di entrambe queste dimensioni.

 

Un capitolo fondamentale del tuo libro è quello sulla guerra; ce ne parli brevemente tra esperienze diurne e notturne?

Entrambe le comunità in cui ho vissuto sono state molto colpite negli anni ’80 e ’90 dal conflitto armato tra Sendero Luminoso e l’esercito peruviano. In quegli anni i comuneros raccontano che la notte non era più la temporalità del sonno ma della guerra stessa perché era di notte che i militari attaccavano i villaggi, o in cui i senderisti facevano le rappreseglie. I comuneros quando arrivava il buio spesso si nascondevano sulla montagna, non dormivano nelle loro case, e la guerra stessa viene descritta come uno stato allucinatorio, come un lungo e terribile incubo. Le atrocità della violenza facevano vacillare il confine tra quello che era realmente accaduto e quello che era sognato.
Quando poi la guerra è ufficialmente finita nel 1992, ha continuato a presentarsi nei sogni dei sopravvissuti. Ancora oggi molti comuneros sognano la guerra. Sognano di essere perseguitati, violentati, sognano i familari desaparecidos che li accusano di averli dimenticati. In molti casi i sogni rappresentano il luogo in cui il trauma della guerra continua a ripetersi.
Ma nei villaggi andini ho incontrato anche sogni che curano, sogni grazie ai quali la memoria della guerra viene rielaborata. Ci sono donne che mi hanno raccontato che è grazie ai sogni che continuano a comunicare con i familiari scomparsi, ed è nei sogni che loro le consolano e le esortano a smettere di piangere, e a continuare la loro vita.

 

Troppo spesso nelle ricerche mancano le donne, le loro esperienze i loro vissuti, per fortuna nella tua ricerca sono le protagoniste, parlaci delle Donne, del loro rapporto con la comunità delle violenze subite e la funzione dei loro sogni.

Nella mia ricerca mi sono avvicinata soprattutto ai sogni delle donne, perché è con le donne che passavo la maggior parte del giorno e della notte. È con loro che dormivo, cucinavo, è con loro che andavo sulla montagna a pascolare gli animali ed era in quelle lunghe camminate che spesso i sogni venivano raccontati. Ho raccolto anche alcuni sogni di uomini, ma in generale mi sembrava di notare che fossero soprattutto le donne a parlare dei loro sogni. Ho cominciato anche a notare come alcune narrazioni oniriche rappresentassero per le donne un’occasione per parlare di cose che costituiscono normalmente un tabu all’interno delle comunità andine. Ad esempio le violenze sessuali, che hanno caratterizzato la storia di queste montagne, ma di cui non si parla mai esplicitamente, è proprio nei racconti di sogni che trovano spazio e visibilità.
Nessuna delle comuneras ha mai raccontato di essere stata abusata dai militari eppure ho raccolto molti sogni in cui i gringos, i grandi proprietari terrieri e i militari sono protagonisti di abusi. Le narrazioni dei sogni rappresentano anche un modo per verbalizzare e denunciare le violenze sessuali subite dalle comuneras, e dar loro una visibilità che spesso non hanno nei contesti ufficiali.

 

È possibile decostruire la dicotomia immaginario mentale e sensazioni fisiche?

Nei villaggi andini i sogni vengono descritti non solo come delle visioni ma come un’esperienza che coinvolge tutti i sensi. I sogni sono vissuti allo stesso tempo dalla mente e dal corpo, e queste due dimensioni sono percepite nel contesto andino come intimamente connesse.
Vi sono sogni che sono considerati agire direttamente sul corpo provocando malattie o forme di guarigione. Ad esempio alcune donne raccontano di essersi ammalate in seguito a un sogno in cui un uomo gringo o un soldato le colpiva o sparava contro di loro. Al risveglio testimoniano di avere cominciato a sentire dolore proprio nel punto del corpo colpito nel sogno. Così come sognare un vicino che ti dà una pastiglia o una pianta, sognare una mano che accarezza o che strofina il corpo del sognatore, vengono considerate esperienze oniriche che hanno un effetto benefico sui corpi ammalati. Nella comunità di Contay, in cui ho vissuto e dove non c’è neanche un ambulatorio medico, il rapporto con il corpo e con il suo malessere-benessere è quindi gestito anche a livello onirico.
Quando ci si avvicina ai sogni è quindi necessario espandere il concetto di “immaginazione”, e superare l’arbitraria dicotomia tra le categorie dell’immaginario mentale e le sensazioni fisiche, una separazione che del resto non sembra essere affatto percepita dalle persone che abitano su queste montagne. Come sostiene l’antropologo Csordas.

Per chiudere e ringraziarti di aver aperto questa sfera di riflessione su metà della vita degli esseri umani cioè quella notturna, ti volevo fare un’ultima domanda: ma tu ci credi nei sogni?

Questa è una domanda che mi hanno fatto spesso anche le donne che ho conosciuto nei villaggi andini, una domanda a cui tutt’ora non so bene come rispondere. Da una parte, a differenza delle comuneras che ho conosciuto nei villaggi andini, sono nata in un contesto dove nessuno mi ha insegnato a interpretare i sogni, e dove non esiste un uso sociale dei messaggi onirici. Eppure da quando ho cominciato a studiare e a prestare attenzione ai sogni mi sono accorta di quanto essi influenzano i miei stati d’animo, le mie giornate e le relazioni con gli altri. Sognare una persona mi fa venire voglia di sentirla, sognare un luogo mi fa venire voglia di andarci. Come sostiene Michel De Certeau le credenze non sono qualcosa di astratto. Aldilà delle risposte “ci credo”/ “non ci credo” è necessario indagare quello che le persone fanno o non fanno, sentono o non sentono, rispetto a quello in cui dicono di credere o di non credere. Se analizzo alcune mie pratiche e stati d’animo, potrei in effetti rispondere che sì, credo nei sogni in quanto essi influenzano e ispirano la mia vita diurna.

Andrea Staid e Arianna Cecconi

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    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

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    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

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    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

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    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

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