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by Jerry Diamanti

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In questo articolo, contemplo la spiritualità delle donne paleolitiche come si evince dalla loro arte. Sento che ci stanno raggiungendo oggi attraverso un’arco di circa 30.000 anni, per raccontarci la loro storia che potrebbe aiutarci a trovare l’orientamento che è così necessario in una società che ha perso il contatto con il mistero, che è proprio nel cuore di tutto ciò, non importa quale nome ci preoccupiamo di dargli. Comunque, l’enigma, come  sentiva così chiaramente Santa Teresa, ha bisogno di essere sentito personalmente. Per lei non era un mistero astratto, ma ciò che ci porta oltre le apparenze e ci fa dubitare se non sia Dio ad essere nascosto dentro di noi? Era normale per Teresa considerare il mistero come Dio, ma potrebbe essere ugualmente normale per altri  pensare all’enigma come all’Universale o la Grande Madre, lo Spirito, o qualsiasi altro nome per questa ‘entità’ che è sia immanente alla creazione e allo stesso tempo trascendente e al di là delle dualità e di tutte le definizioni.
Dal punto di vista qui contemplato, stiamo considerando un cammino dove si vive il mistero, che vibra attraverso di noi, ed è ciò che anima ogni cellula del nostro corpo e, allo stesso tempo, è oltre il mondo materiale.

Noi, in quanto tali, siamo un’incarnazione di questo mistero vivente.

“Teresa …(era) capace di tradurre la sua esperienze apofatiche catafaticamente, e così riusciva a conciliare la tensione tra “l’esperienza trascendente senza immagine dell’ineffabile” e una sua espressione didattica fondata sulle immagini….
(Santa Teresa ha preso le sue immagini da) il mondo naturale, il mondo di mercanti e mercati, denaro e gioielli, le Domus, o il focolare, e l’architettura, questi diventano i corpi mediatori il cui scopo principale è quello di mostrare il movimento verso l’interno della preghiera mentale”. In altre parole, ha preso le immagini dalla realtà a cui era abituata e che significavano qualcosa per
le persone del suo tempo. Col senno di poi, ci aiuta anche a capire di più la prima Spagna moderna del XVI° secolo.

In questo articolo, suggerisco, utilizzando la stessa lente, possiamo capire di più sull’arte del primo Paleolitico se la vediamo come un modo da e attraverso il quale, queste prime artiste donne hanno cercato di riconciliare la tensione tra le loro esperienze e le intuizioni circa l’ineffabile attraverso l’uso di espressioni didattiche fondate su immagini. Propongo che attraverso la loro arte, queste prime artiste (o almeno alcune di loro) hanno potuto condividere con altri\e l’essenza della loro spiritualità e, come nelle immagini di Santa Teresa, noi, attraverso di loro, possiamo iniziare a capire cosa fosse rilevante per la gente di quel periodo. Ciò che dà credito a questa ipotesi sono
le immagini stesse, e anche i risultati del antropologo Dean Snow (2006) che, sulla base delle impronte delle mani i cui calchi sono stati trovati nelle grotte, ha determinato che il 75% percento degli artisti del Paleolitico superiore erano donne.

Come materiale di base, includo aspetti della mia storia per aiutare te, lettrice o lettore, a conoscere un po’ il mio passato e anche ad assistere e capire come possiamo attingere alle informazioni che ci arrivano da dipinti che hanno tra i 30.000 e gli 11.000 anni.
Fornisco anche una breve panoramica storica della società matristica paleolitica e della loro arte come si trova nelle grotte della penisola iberica.
In questo, sono profondamente in debito con Marianna Garcia Legar per le sue ricerche su questo periodo storico in Spagna e le sue intuizioni che informano molta di questa narrazione a lungo trascurata da cui questo articolo è ispirato. Tocco anche brevemente le “statuine di Venere” che sono state trovate in tutta Europa e persino in Siberia.
Sebbene la maggior parte di queste figurine risalga al  periodo Gravettiano (26.000-21.000 anni fa) [6], la Venere di Hohle Fels in Germania è datata tra i 40.000 e i 35.000 anni fa. Nello scrivere, mi sto anche imbarcando in un viaggio di svelamento, l’equivalente femminile del viaggio dell’eroe come descritto da Campbell, ma invece di cercare di scoprire il metaforico cuore della mitologia come unità, questo resoconto rivela la realtà vissuta di (alcune) donne prealfabetizzate, non come un mito, ma come parte della loro realtà quotidiana insieme al mistero di cui si consideravano parte. Questa prospettiva si avvicina alla comprensione di Sarah Nicholson del viaggio dell’eroina come “metafora del rapporto femminile con la divinità: nel mondo e in se stessa”. Il mio approccio all’argomento è basato sulla ricerca che è anche informata euristicamente ed intuitivamente.

Nel racconto metto in discussione anche il mito dell’uomo, il cacciatore,  la “credenza che l’attuale disuguaglianza dei sessi abbia le sue radici in uno stile di vita antico e sia inerente a differenze biologiche tra i sessi”. Questo può essere anche d’aiuto a chiarire le nostre nozioni sui primi esseri umani e dissipa i “pensieri del sociale otto-novecentesco” di teorici come Spencer, Durkheim, Tonnies, Simmel e Weber, che presumevano che la produzione della sfera pubblica fosse un affare maschile (e solo maschile) sin dall’inizio dei tempi” [Chafetz 2006, McPhillips 1995, Sydie 1987 in 10 p. 75]. Inoltre, mette in discussione la narrativa storica di Wilber , che, influenzato da Habermas, afferma l’esistenza di un sistema di genere separando fin dall’inizio il lavoratore sociale (maschio) dalla nutrice domestica (femmina). Secondo la ricerca di Zihlman le divisioni di genere del lavoro “probabilmente si sono dispiegate tardi nell’evoluzione umana” e non fu “mai… assoluto” [11, p.104]. “Dato che il genere non è né “naturale” né pre-sociale, qualunque delineazione delle sfere di genere all’interno delle società preistoriche, (…) avrebbe dovuto essere ipotetica e decisamente flessibile” [10, p. 84]. Qui mi chiedo anche l’adeguatezza dell’applicazione di Piaget [15; 16] rispetto alla nozione di cognizione preoperativa riferita alle società preistoriche come contemplato da Wilber [14] e come suggeriscono Hey e Nye [17] secondo i quali la coscienza esperienziale dei  bambini probabilmente riflette meglio la coscienza della maggior parte delle persone preistoriche, un punto che approfondirò più avanti in questo articolo.

Sebbene il mio interesse principale non sia relativo alle dinamiche legate alla divisione del lavoro, queste possono essere rilevanti per la discussione in quanto per Marx ed Engels [18] il lavoro socialmente organizzato ci permette di distinguere tra umano e vita animale, mentre secondo Habermas il solo lavoro sociale era insufficiente per distinguere tra umani e altri primati [19, p. 2]. Così,  quest’ultimo ha proposto che l’emergere peculiare della specie umana è stato segnato dall’avvento dell'”economia della caccia” con la “struttura sociale famigliare patriarcale” che si collegava a quelli che considerava due sottosistemi originali, presenti in natura – la sfera maschile di lavoro e la sfera simbolico-sociale femminile [Habermas in 19].
Tuttavia, questa ricostruzione del nostro passato non sembra reggere e le antropologhe hanno dimostrato che nelle società di cacciatori raccoglitori ancora esistenti oggi le fonti di cibo predominanti non sono sempre proteine ​​animali, ma piante, noci e bacche che venivano raccolte dalle femmine ed erano spesso “la fonte di cibo predominante” [20, p. 18]. Qui il foraggiamento è definito come “sussistenza basata sulla caccia di animali selvatici, sulla raccolta di cibi vegetali selvatici, e la pesca, senza coltivazione delle piante, e non vi era nessun animale domestico tranne il cane”. [Lee e Daly, in Panter-Brick et al 2001, p. 2 su 10].
Le donne del Paleolitico avevano una connessione acuta e ben informata con la natura soprattutto in merito alle piante che raccoglievano [5]. Probabilmente anche loro erano coinvolte nella realizzazione di strumenti per estrarre e raccogliere le piante [21; 22; 23]. Ma erano anche intimamente consapevoli delle stagioni e di dove e quando trovare i diversi alimenti, sia vegetali che animali compresi gli uccelli migratori, e quando questi arrivavano ogni anno e dove avrebbero nidificato. Ma soprattutto «era la regolarità dei moti degli oggetti celesti (che) ha permesso… (alle nostre antenate) di orientarsi nel tempo e nello spazio” [24, p. 1].

Questa conoscenza legava loro al ciclo della vita. Tuttavia, qui suggerisco come sembri che le donne nell’antichità andassero oltre; nella realizzazione che la natura si esprime attraverso schemi ripetuti, ampliarono quest’intuizione nell’ideare un sistema di calendario elementare che consisteva in periodi di oscurità e di luce alternati in base agli equinozi [5]. Il riconoscimento e la celebrazione di questi cicli è stata una manifestazione della loro spiritualità e l’hanno collegata alla comprensione della vita oltre a quella del mondo materiale in cui il mistero era percepito anche all’interno del loro stesso corpo. Sono diversi aspetti di questo che divengono “carne” in questo articolo e sono ciò che rende gli umani distintamente umani.

A. La mia storia
Sin dal mio ritorno all’Università nel 2012 per intraprendere un Master in Psicologia Transpersonale e PhD. in Studi sulla Coscienza che ho conseguito nel 2016, la ricerca scientifica sulla coscienza è diventata parte integrante del mio viaggio spirituale. Poichè il metodo di meditazione della Meditazione Intuitiva (IM) che pratico e approfondisco anche nell’ambito della ricerca è una pratica basata sul cuore che comporta anche l’attivazione di 19 punti in tutto il corpo attraverso l’uso del tatto, un suono vibratorio e il respiro, il mio interesse è incentrato soprattutto su approcci spirituali orientati al corpo. IM non è una pratica religiosa ma un metodo naturale per prendere coscienza del nostro sentire la natura e anche per scoprire o riscoprire il nostro cuore come capacità interiore intuitiva di connetterci alla “sorgente” nel nostro viaggio alla scoperta del Sé. I diversi metodi di meditazione possono anche essere considerati come basati principalmente sul pensiero o sul sentire. IM è un percorso basato sul sentire che va al di sotto della mente superficiale e intende scoprire la nostra essenza più profonda o Sé. Alcuni metodi vanno al di sotto della mente ma non meditano sul Sé.  Anche se si deve ammettere che i moderni metodi incentrati sul cuore e i metodi o le tecniche di meditazione che riguardano il benessere e/o anche la coerenza portano benessere fisico, mentale e benefici emotivi come dimostrato dai risultati di numerose ricerche, tuttavia, è anche importante comprendere che in passato, la meditazione aveva obiettivi e intenzioni differenti.

Per Louchakova [31] il nucleo delle pratiche associate alla trascendenza dell’ego e la contemplazione del Sé è l'”introspezione fenomenologica sperimentale nel vivente, costrutto topologico del Sé” [p. 82] mentre per Arka, il termine meditazione implica “una seria auto-consapevolezza [che coinvolge] il processo di indagine nella profondità dell’anima rispetto alla [nostra] esistenza o  l’Universo o i principi che regolano la materia vivente e inerte.

In questo senso, gli obiettivi della meditazione non sono così diversi da quelli della scienza, ma il modo in cui ci si orienta è tradizionalmente diverso; quest’ultima guarda la natura della natura usando i sensi o estensioni di essi, mentre lo scienziato interiore o lo yogi rivolge la sua attenzione all’interno per studiare, esplorare e scoprire il suo Sé interiore e le leggi al di là dell’esistenza. La logica rispetto a questo  è che se avessero conosciuto la propria natura, loro… avrebbero conosciuto la natura dell’universo [25; 26]. Come scopo i metodi di meditazione odierni si concentrano principalmente sul benessere dell’essere umano, Arka chiama il metodo di meditazione che ha sviluppato Meditazione Intuitiva (IM) per preservare il significato originale del termine.
La mia ricerca sul metodo IM mi ha portato a contemplare i diversi modi che abbiamo di ottenere la conoscenza, questi mi hanno guidato a distinguere tra il principio maschile e quello femminile basati su diversi modi epistemologici di conoscere.
Dal punto di vista psicobiologico, l’ordine in cui il nostro il corpo si dispiega a partire dal nostro sviluppo embriologico compreso lo sviluppo della corteccia prefrontale è rilevante per questa distinzione. Sebbene la corteccia prefrontale mostri  cambiamenti nello sviluppo durante il primo anno, questa raggiunge la maturazione solo durante i primi stadi dell’età adulta [32]. Quest’ultima zona è collegata con la nostra mente pensante, un livello di coscienza che viene potenziato attraverso la formazione della nostra capacità intellettuale attraverso il nostro sistema educativo [25]. Associo questo modo di conoscere al principio maschile e il principio femminile ad un modo di conoscere basato principalmente sul corpo che porta a intuizioni intuitive basate sui sentimenti coinvolgendo l’area del cuore [33]. Nell’embrione, il sistema cardiaco inizia il suo sviluppo prima del sistema neurale e questo indica la sua importanza primaria. Entrambi i sessi possono attingere a entrambi i modi di conoscere anche se il mondo Occidentale ha favorito la formazione delle nostre abilità intellettuali associate all’idea maschile di eccellenza strutturata nel concetto greco antico di Paideia [33; 34].

Sebbene Bettisia Gozzadini abbia raggiunto un incarico accademico già nel 1237 in Italia [35], è davvero solo dagli ultimi duecento anni
che le donne hanno avuto sempre più accesso all’istruzione istituzionale, in particolare l’istruzione superiore. In ogni modo, raramente consideriamo ciò che perdiamo quando iperintellettualizziamo la nostra capacità di pensiero e, nel mio caso, è stato solo dopo aver recuperato la mia modalità di sapere basata sul sentire che ho realizzato il ruolo che questo livello della coscienza ha sulla qualità della nostra vita in particolare quando si tratta di ricevere una guida dall’intuito e il senso di connessione che abbiamo con la Natura e con altri esseri.
La consapevolezza basata sul corpo è sempre tempo “reale”, cioè sincronizzato con l’intelligenza che si esprime attraverso il nostro corpo, e può essere percepito come infinito o molto più lento di quando lo siamo noi nella nostra mente pensante.
Insieme alla mia formazione accademica, sono anche un’esperta Insieme alla mia formazione accademica, terapista Craniosacrale e facilitatrice di Costellazioni Familiari. Il collegamento che attraversa tutte le mie imprese ha avuto origine dal desiderio di guarire il mio trauma personale. Il bisogno di essere toccata che mi ha avvicinato a un metodo di meditazione basato sul tocco e la stessa terapia craniosacrale mi hanno sostenuto nel rendermi conto in retrospettiva che ero dissociata dal corpo (e dalla mia essenza o anima più profonda). Ho anche compreso il senso del trauma personale quando questo è associato ad un sistema educativo che privilegia il pensiero connesso al sapere cognitivo del mondo, questa è una potente miscela che mantiene molte persone nelle loro teste piuttosto che dare loro la possibilità di vivere pienamente la vita, il che include il nostro sistema di percezione primario legato alla consapevolezza basata sul corpo e forse anche gli altri sensi vestigiali [36].

Il mio cammino  nella presa di consapevolezza del corpo si è evoluto a tal punto da  abbracciare il livello di trauma collettivo affrontato da molte donne  (e anche da alcuni uomini) quando non trovano spazio nella cultura patriarcale per  le loro aspirazioni personali e per la visione del mondo basata sulla cura sia della natura che di tutti gli altri esseri. Questo è coerente con le ricerche rivoluzionarie della Gilligan [37],  che afferma di aver riscontrato che cura e connessione sono cardini fondamentali per il pensiero delle donne e che nelle donne il “Sé è conosciuto nell’esperienza della connessione … dell’interazione, nella responsività dell’impegno umano” [37, p. 7]. Sebbene le donne si siano sicuramente fatte strada nella società di oggi, spesso questo è stato a scapito della loro premurosa natura [33], che può spiegare le critiche al lavoro della Gilligan da parte di alcune femministe.

Le imposizioni in atto a causa del COVID, per cui  alle famiglie non e’ stato possibile essere presenti alla morte dei loro cari durante la pandemia. riflettono ancora un nuovo cambiamento; anche in guerra i soldati rischiano la vita per recuperare il corpo di un ferito o un amico morto il cui corpo è rimasto in territorio nemico. Per molte persone, queste nuove regole indicano una tendenza che è ulteriormente alienante dalla nostra intrinseca natura umana. Questo indica la necessità di una guarigione della società a un livello molto profondo. In alcune donne, me compresa, questa preoccupazione per la società è accompagnata da un desiderio profondo di scoprire la verità, anche se alla fine forse la verità quando è concettualizzata è sempre relativa e ha bisogno di essere vissuta profondamente per essere pienamente compresa.

B. Storia preistorica della Spagna

Sulla base di queste considerazioni, in questo articolo, guardo principalmente alla spiritualità delle donne paleolitiche nella penisola spagnola come ad un modo di portare l’attenzione su aspetti della nostra storia che non sono stati ancora riconosciuti o perlomeno non pienamente. Attraverso il tracciamento del DNA nei mitocondri ereditati dalla madre all’interno delle nostre cellule, si è scoperto che tutti gli esseri umani hanno un antenato materno comune [38]. Questa donna, conosciuta come “Eva mitocondriale”, visse tra 100.000 e 200.000 anni fa in Africa, e ha dato origine alla teoria “Out of Africa” [39]. Questo non significa che sia stata la prima donna, dal momento che altre, le prime linee matrilineari probabilmente si estinsero. Quello che significa è che tutti gli umani oggi condividono questo antenato comune di linea femminile.
Non tutti gli scienziati sono d’accordo con i dati su cui la determinazione della prima “Eva mitocondriale” si basa [40], tuttavia recenti ricerche hanno provato che questa affermazione possa essere ritenuta abbastanza valida. Da questi dati è possibile costruire un albero
genealogico basato sul DNA in cui l’  “Eva mitocondriale” è il comune antenato prima dei rami principali, che sono noti come cladi, si ramifichino. Questi cladi definiscono diversi aplogruppi. Secondo la tradizione Hopi, le persone del mondo sono discernibili in quattro clan principali associati ai diversi elementi, gli Hopi con la terra, le persone gialle con l’aria, la tribù nera con l’acqua e la tribù bianca con il fuoco. Potrebbe  esserci una certa sovrapposizione tra questa suddivisione e gli aplogruppi diversi, ma in questo articolo parliamo della storia della “tribù bianca”, ci concentreremo sugli homo sapiens che vivevano nella penisola iberica compresa tra il territorio
a sud del fiume Rodano in Francia prima dell’invasione patriarcale indo- europea. Seguendo Garcia Ledger [5], mi riferisco a questa
zona con il nome basco Izpania, che significa la terra tra due mari.

La Spagna ha una storia di presenza umana molto antica e dalla datazione del DNA rinvenuto ad Atapuerca e Granada questa risalirebbe a 1.200.000 anni fa . Ci sono varie ipotesi sul perché i Neanderthal si siano estinti e datazioni più precise hanno dimostrato che questi erano ancora presenti in Spagna [41] quando arrivò l’Homo sapiens 40.000 anni fa, probabilmente attraversando i Pirenei. Ci sono molte ragioni sostenibili per cui i Neanderthal si sono estinti ed è probabile che alcuni di loro si siano anche “incrociati” con i nuovi arrivati ​​che avevano abitudini culturali diverse. Sembra che siano coesistiti con gli Homo Sapiens per circa 2.600-5.400 anni [41]. È stato dedotto che i nuovi arrivati ​​in Spagna vivevano in clan matrilineari, che erano composti da circa 25-30 membri e comprendevano i maschi, ma, in quei tempi il matrimonio non esisteva [42; 5]. In termini antropologici, la sessualità di quel epoca è stata definita come promiscua in quanto spontanea e il padre dei bimbi sembra fosse sconosciuto o almeno non ufficialmente riconosciuto, quindi il lignaggio era sviluppato attraverso la linea materna. Poichè questi clan erano prevalentemente di  raccoglitrici e non avevano fissa dimora, il loro movimento costante può aver facilitato il loro incontro con altri clan e consentito i rapporti con membri di sesso maschile al di fuori del clan madre [5].

C Società Matrilineare
L’Homo sapiens di Izpania sembra aver condiviso un comune sistema socio-culturale di tipo matristico, una terminologia [42] coniata da Borneman nel 1975 per riferirsi ad un sistema che caratterizzava le culture dell’Europa durante il Paleolitico prima dell’invasione patriarcale dall’Oriente. Questo è coerente con la versione della Gimbutas [43] in riguardo all’ipotesi di Kurgan. Ci sono due tratti distintivi delle società matristiche: la prima, sono matrilineari, cioè il lignaggio ancestrale è segnato attraverso la donna, e la seconda, sono matrifocali, in altre parole, la società è organizzata intorno alla madre. Nelle società matrilineari, non esiste un’autorità centrale e quindi non devono essere confuse con le società matriarcali. Il novanta per cento della prima cultura della nostra specie era matristica ed era un periodo in cui eravamo ancora profondamente connesse con la natura. Precede le leggi scritte ed è preistorico nel senso che non c’è storia scritta. lLa base materna delle società matristiche è ciò che fornisce la genesi della cultura umana [5] ed è «la magia della maternità attraverso cui si manifesta il principio dell’amore divino, dell’unità e della pace (stessa) in una vita piena di violenza. Nel prendersi cura del frutto del suo corpo, una donna, prima di un uomo, sviluppa la sua capacità di amare oltre i limiti del proprio essere. Questa cura (natura) è la base dello sviluppo della cultura. Da esso, origina tutto il sano lavoro nella vita, tutta la dedizione, tutta la cura e tutto il lutto alla sua fine”[Bachofen in 5]. È interessante notare gli aspetti di questa natura di cura sono presenti anche in altre specie come la leonessa, sebbene in quest’ultima sembra non fiorisca nello sviluppo di una forma di cultura come la conosciamo nella nostra specie. Quindi, dobbiamo cercare anche altri fattori che permettano questo salto, in ciò che ci rende veramente umani.

Garcia Legar [5] suggerisce anche che, attraverso la magia della maternità, il corpo di ogni donna era visto come una rappresentazione
di Madre Terra. Attraverso di esso, partorisce esseri umani sia maschi che femmine e per questo come tali i maschi non furono mai esclusi o oppressi nelle società matrilineari – entrambi i sessi erano frutti del suo corpo ed erano amati allo stesso modo. Successivamente, si possono trovare anche le radici della nozione di “libertà e libertà universali” nelle culture matristiche[5, pag. 21]. In generale, c’è un consenso in ambito antropologico ad indicare anche che “le società di raccoglitrici dimostrano i livelli più bassi di
iniquità strutturale tra i sessi, per ragioni che includono i livelli significativi di partecipazione femminile alla sussistenza e alla produzione (la capacità sia di generare che di distribuire risorse), separazione minima pubblico/privato, e la relativa
rarità della guerra” [44, p. 43]. Nelle società matrilineari, nessun ruolo di genere maschile definibile era legato alla fecondazione. All’interno dei clan, è possibile che anche i maschi abbiano svolto il ruolo di esploratori e abbiano assunto un ruolo rilevante quando era necessaria una forza aggiuntiva. Il lavoro ricostruttivo di quei periodi suggerisce che i ruoli di genere legati al lavoro in epoca preistorica sarebbero stati probabilmente sono interdipendenti, sovrapposti, complementari e di natura flessibile [45, p. 93]. Le prime donne, come Garcia Legar [5] sottolinea, erano anche molto forti, alte e ben costituite con ben sviluppati i muscoli delle braccia ed entrambi i sessi probabilmente si  impegnavano in molti ruoli, compreso quello della caccia; il fatto è supportato da resti fossili [46]. È interessante notare che entrambi i sessi non hanno mostrato nessuna delle malattie degenerative che iniziano a svilupparsi durante l’Età Neolitica che comprendeva l’addomesticamento dei cereali.

Sebbene si pensi che le società matrilineari siano esistite durante i periodi storici favorevoli [47], questo è lontano dalla realtà. Tra i 30.000 e 10.000 aC, l’era glaciale in Europa iniziò a vedere lo sciogliersi dei ghiacci e la terra sottostante si riempì di alberi. Questo lento scioglimento cambiò le abitudini delle genti, e sebbene molte seguissero i movimenti della gigantesca migrazione di mammut verso nord-est, alcuni clan del sud della Francia e della Spagna rimasero dov’erano con il clima un po’ più mite all’ombra dei Pirenei. Sebbene dal 12.000 aC il clima fosse leggermente migliore, nel nord della Spagna la media delle temperature sarebbero state tra i -5 e +5 in estate, e nel sud della Spagna, era di circa 15 gradi inferiore alle temperature odierne [5, p.36]. La durata della vita era breve, essendo in media di circa 34 anni, e sopravvivere a quegli estremi climi deve essere stato una sfida. L’educazione dei figli non era legata alla produzione alimentare poichè queste nostre progenitrici erano cacciatrici-raccoglitrici, quindi la nascita e l’allevamento di un figlio erano un atto di generosità e senza alcun ritorno per il sé. Probabilmente ha comportato la partecipazione di tutte le donne e forse dell’intero clan. Sembra che la cura sia stata parte della natura umana per migliaia di anni. I resti fossili di “Beniamina”, una bambina di nove anni affetta da “sinostosi lambdoidea sinistra” trovata nel sito di Sima de Los Huesos ad Atapuerca (Burgos, Spagna) sono stati “datati risalire a un’età minima di 530.000anni” [48, abstract]. Gli impedimenti di questa malattia indicano che gli esseri umani pre-Neanderthal si prendevano cura di chi nella loro tribù mostrava una grave disabilità psicomotoria e difficoltà a camminare dalla nascita. Questo bambino avrebbe avuto bisogno di più premure di quelle date solo dai suoi genitori indicando che tutto il gruppo era probabilmente coinvolto in questo compito. “E c’è qualcosa di più umano che scegliere di prendersi cura di qualcuno?” – Commenta Gracia Téllez e aggiunge “è per questo che la chiamiamo Beniamina. Perché Beniamina in ebraico significa la più amata” [in 49, par. 2].
Le donne nelle società paleolitiche (e molto probabilmente anche prima) avevano trovato un modo per tenere il loro bambino sulle spalle in modo da poter svolgere le loro attività quotidiane e muoversi in modo disinvolto. Vivevano nelle caverne e all’aria aperta probabilmente protette da pelli di animali, ma, poichè non era praticata l’agricoltura, dovevano continuare a muoversi per procurarsi il cibo; il clan non aveva una fissa dimora.

D Modelli in natura
Come affermato in precedenza, gli eventi celesti sono sorprendentemente regolari. Dal cielo, gli antichi umani acquisirono “un profondo senso di tempo ciclico, di ordine e simmetria, e della prevedibilità della natura….Il cielo era uno strumento pratico e aiutava le persone
a sopravvivere [24, p. 1]. Ad esempio, i lombrichi vengono in superficie durante una certa fase della luna e gli uccelli migrano verso il
climi caldi del sud durante i rigidi mesi invernali. Attraverso la loro capacità di sentire gli uccelli possono “orientarsi su” percorsi di migrazione utilizzando bussole interne regolate dal campo magnetico della Terra” [50, par. 2]. Altrettanto certi semi di piante iniziano
a crescere quando la temperatura della terra raggiunge un certo livello e altri vegetali producono semi quando la terra comincia ad asciugarsi. Questi cicli sono stati regolari di anno in anno e, essendo legati alla natura, gli umani facevano parte di questi cicli e probabilmente anche loro erano guidati attraverso il sentire. Basato sulla Teoria dei Sei Principali Livelli di coscienza [25], il mio lavoro sui diversi livelli della percezione indica che la consapevolezza basata sul corpo è precedente al nostro sistema di percezione secondario legato ai sensi e al sistema neurale, suggerisco che questo prima di ogni altra cosa ci rende esseri umani [36]. Inoltre, quando si entra nella consapevolezza cuore-mente (o coscienza cuore-mente) possono presentarsi molte intuizioni. Queste intuizioni possono essere sotto forma di pensieri, immagini e sogni. Questa capacità richiede di essere umili e di avere un profondo desiderio di sapere come funzionano le cose, comprese le leggi della natura. Come sottolineato in precedenza, questo potenziale è ciò che era la meditazione
tradizionalmente [Arka in 51]; una capacità naturale. Questa voglia di conoscere e capire potrebbe essere ciò che ci contraddistingue
dagli altri animali, anche se loro, e tutti gli esseri viventi, hanno un certo livello di consapevolezza cosciente.

Sebbene le persone nel paleolitico vivessero  nella natura, il ciclo mestruale probabilmente ha reso le donne molto più sensibili ai ritmi della natura rispetto agli uomini. Prima dell’avvento dell’illuminazione elettrica della notte, è stato riscontrato che “le donne sincronizzavano i tempi dei loro cicli mestruali con la luminescenza e i cicli gravimetrici della Luna” [52]. Attraverso l’associazione di
osservazione e memoria, alcuni dei primi umani realizzarono che la natura si esprimeva attraverso periodi alternati e ciclici di luce e buio sia diurni che stagionali in base agli equinozi. Anche la gravidanza legava le donne alla luna e la lunghezza della loro gravidanza sarebbe stata contata in mesi lunari. La connessione e il rispecchiamento delle proprie esperienze durante la gravidanza le avrebbe anche aiutate a rendersi conto che anche la natura attraversa un periodo di oscurità prima di “rinascere” in Primavera.
Ovviamente non sappiamo esattamente quando si sono verificate queste intuizioni nell’Homo sapiens, e anche se in genere associamo
i cicli alternati con il simbolo Yin e Yang (Taijitu) della tradizione Taoista, sembra che questo facesse parte anche della vecchia Europa. Vasi decorati con forme a spirale speculari sono stati rinvenuti su ceramiche databile intorno al 5.000 a.C. nella cultura Cucuteni di Romania, Ucraina e Moldavia del Neolitico [54].

Le opinioni accademiche su quando il Teo Te Ching sia stato scritto spaziano tra l’VIII° e il III° secolo a.C. [55], mentre Stenudd [56] suggerisce che non sia stato scritto prima del VI° e non dopo il IV secolo a.C. La leggenda narra che Lao Tzu l’abbia scritto dopo aver lasciato un’alta posizione ufficiale nell’impero della Cina, costernato e deluso del governo. Sembra anche che la natura ciclica cosmica fosse conosciuta anche dai druidi. Nel 1987, lamine di bronzo risalenti al II° secolo sono stati trovate a Leon, in Francia. Sebbene i druidi normalmente scrivessero preminentemente circa le loro transazioni finanziarie, Kondratiev [57] suggerisce che possano aver fatto un’eccezione scrivendo della loro cultura tradizionale e del calendario sole/luna quando sapevano che stavano per essere sconfitti da Roma.
Dobbiamo anche ricordare che “la gente guarda le stesse ossa e pietre vedendo alternativamente, prove certe della caccia,
prove certe di qualcos’altro o nessuna prova affatto” [58]. Il problema dell’interpretazione delle testimonianze preistoriche, “richiede il riconoscimento di complicati, forse anche contraddittori significati possibili. Né ignorando né respingendo l’ambiguità, il processo di costruzione teorica di conclusioni da prove premoderne richiede continui cambiamenti e setacciamenti per affrontare le contraddizioni che naturalmente possono verificarsi” [44, p. 87]. Tenendo presente questo, sembra probabile che anche durante il Paleolitico Superiore (c.30.000” a.C.), le persone fossero anche consapevoli dei cicli alternati di periodi di luce e buio della Natura che si ripetono ogni anno[5; 43]. Le dure condizioni in cui hanno vissuto la rendono un’ipotesi plausibile. Come tale entrambi i sessi avrebbero avuto questa realizzazione, tuttavia, a causa del legame della donna con i ritmi celesti attraverso il suo ciclo mestruale, e attraverso la gravidanza, è probabile che le donne fossero più coinvolte nel perfezionamento di un sistema di calendario.

Propongo anche di considerare come sia stato attraverso la gravidanza che queste prime donne furono portate a riflettere sul mistero che si cela dietro il mondo visibile, ma allo stesso tempo abbiano partecipato alla creazione attraverso la presenza nei loro corpi. Questa è la considerazione della maggior parte delle donne quando si rendono conto dell’animarsi di una nuova vita nel loro ventre. Dobbiamo ricordare che la natura dello sperma è stata per la prima volta osservata attraverso il microscopio nel 1677. Allo stesso modo, l’ovulo fu osservato per la prima volta nel 1827 e il processo di concepimento che coinvolge lo sperma che entra nell’ovulo è stato scoperto da Martin Berry nel 1843 (CBC News, 2007) [58]. Prima di questo, la speculazione sulla natura della gravidanza era molto probabilmente vissuta in termini mistici, e forse siamo in condizioni peggiori ora nell’avere una spiegazione scientifica che ci allontana da un mistero che è ancora al centro di tutta la creazione. Queste prime persone sicuramente sapevano della fecondazione. Lo sperma nelle culture indigene odierne è indicato come fluido maschile (Berglund, 1976, p. 94) [59, p. 94] ed è il calore del maschio che muove l’acqua che poi si mescola con il sangue della femmina [p. 96], è possibile che ciò fosse pensato in modo simile anche in epoca preistorica. Nelle società matrilineari, nessun ruolo specifico di genere maschile era legato alla progenie che derivava dalla fecondazione.

II. L’ARTE DELLE DONNE PALEOLITICHE
Quando si contempla il modello ciclico alternato in natura, si è portati alla realizzazione che c’è qualcosa di invisibile che unisce i diversi poli; che dietro la natura visibile vi è il Mistero o Natura invisibile. Possiamo considerare questo la dimensione spirituale o non visibile. Ancora oggi, non abbiamo modo di rappresentare appieno questa dimensione spirituale che suscita o dà “nascita” a tutta la natura visibile. Tuttavia, sembra che queste donne prealfabetizzate avessero trovato un modo grazie confronto con i loro propri corpi; per loro, la vulva o apertura vaginale era la porta al mistero, o “origine della vita” [5, p. 48]. Dai disegni nelle grotte, sembra che la dimensione sessuale della vulva non fosse considerata così importante, tuttavia, la connessione tra la vulva e l’utero, la grotta, le tenebre, il grembo materno e il dare vita o la nascita sembra fossero ciò che veniva espresso attraverso la loro arte. Numerosi disegni della vulva sono raffigurati nella Camera delle Vulve in una grotta detta Tito Bustillo in Cantabria. “Anche se inizialmente furono considerati d’epoca magdaleniana, somiglianze formali e stilistiche nella loro esecuzione li hanno ora collocati negli ultimi momenti del Paleolitico superiore” [60, par. 3]. Questo li collocherebbe nel tempo circa a 30.000 anni fa e la grotta è stata proclamata Patrimonio dell’Umanità. “Queste rappresentazioni mostrano forti collegamenti con altri siti in Spagna settentrionale (La Lluera II, Micolón e El Castillo) e altre nel sud-ovest della Francia (Anglessur-Anglin, Abri du Poisson, e La Ferrasie)” [60, par. 5] ma è nella Camera delle Vulve dove rispetto al resto dell’Europa si trovano le raffigurazioni più importanti e abbondanti della vulva.

Durante la costruzione della replica della grotta di Ekain (Gipizkoa, Paesi Baschi), un sito del patrimonio mondiale, nuove caratteristiche sono state scoperte dalla zooarcheologa Karen Mariezkurrena. Nonostante questa fosse stata già studiata da esperti  maschili di fama mondiale,la  Mariezkurrena ha notato varie prospettive che non avevano state mai osservate prima. Come in altre grotte rupestri, le naturali caratteristiche delle grotte sono state trasformate dagli artisti per rappresentare fenomeni diversi come “la coda del cavallo” ad Altamira e la maschera nella grotta di Castillo [61]. Nell’Ekain, Altuna e Mariezkurrena suggeriscono che una certa caratteristica naturale della  grotta potrebbe rappresentare l’addome di un bovino dove zampe, testa e torace sono stati rimossi [61]. In
oltre a questo, molte linee o tratti neri, macchie rosse, punti neri e rossi si trovano in varie parti della grotta. Ma cosa realmente ci interessa potrebbe essere una striscia verticale nel pannello dei cavalli che divide in due parti i disegni di questi animali. Nella parte superiore di questa striscia, una naturale piega ovale nella roccia, simile a una vulva, è stata dipinta di rosso molte volte.
Ancora una volta troviamo questo simbolo che rappresenta l’ingresso al grembo che è l’origine della vita. Poichè i disegni di alcuni
dei cavalli sono abbondanti e tondi, mi viene in mente che questi gli animali potrebbero essere gravidi. L’uso del rilievo nelle loro immagini li rende dinamici ma sembra anche che le artiste variassero spesso il loro modo di descrivere le caratteristiche specifiche e sessuali degli animali disegnati così come la trama di pellicce e criniere di specie diverse [62].

I simboli e le immagini espressi nelle grotte erano probabilmente importanti per le artiste di quel tempo rendendoli un sistema di comunicazione. È anche interessante che simboli come l’utero, la grotta, l’oscurità, il grembo materno si trovano più avanti nei secoli nelle tradizioni taoiste e anche in quelle della Dea. Nel taoismo si parla di Grembo da cui tutto nasce [56, cap 6; 63] e non cerca alcun guadagno per se stesso. Nelle grotte, che di per sé sono un simbolo, troviamo anche il simbolo V o V attraversato da una linea. Questo è probabilmente correlato alla forma dell’area pubica di una donna come una V o una V con una linea attraverso di essa che probabilmente rappresenta le pieghe formate dalle sue gambe, e l’apertura verso l’utero o la “grotta oscura”.
Sulla base del suo ampio studio dell’Europa antica, la Gimbutas suggerisce che questi geroglifici rappresentino il femminile come Dea Madre e ne rappresentino la vulva [66].

In associazione a tutto questo, la capacità dell’oca di produrre uova, la sua abilità di muoversi tra acqua, terra e aria così come la sua distintiva zampa a forma di V e impronta con la linea nel mezzo, probabilmente ne fece il totem o animale emblematico non solo delle donne paleolitiche di Izpana ma forse anche archetipo della forza creativa oltre il mondo manifesto. In questo caso, per analogia, è associata alla Grande Madre e/o al suo aspetto creativo. In seguito divenne uno dei simboli dei Templari e il simbolo è talvolta rappresentato anche come un tridente [65]. Quando si contempla l’arte del tardo Neolitico, si possono osservare dipinti o sculture di donne in cui uno o entrambi i piedi sono raffigurati come quelli di un’oca. La statuetta mesopotamica di 3.500 anni fa soprannominata la “Regina della notte’ è un esempio calzante. Gli altri simboli rinvenuti indicano l’associazione del femminile con l’oscurità, le leonesse premurose e le civette, oltre che con creature della notte con zampe d’oca [66]. Anche i cigni sono correlati a queste figure di cui poi tratterò in seguito.

Una “figurina di Venere”
Le sculture, conosciute come le “statuine di Venere”, sono un altro enigma del Paleolitico superiore. Queste piccole sculture mancano di una faccia e per la maggior parte hanno corpi molto grassocci. Dixon e Dixon [67] suggeriscono che queste “rappresentazioni di corpi abbondanti,  non sono da considerare “Veneri” in senso convenzionale. Potrebbero, invece, aver simboleggiato la speranza per sopravvivenza e longevità, in un ambiente di abbondante nutrimento e comunità fertili”. Benigni [68] li considera archetipi primordiali della dea che secondo Neuman [69] entra in contatto con l’ordine celeste dell’universo come Rigeneratrice, una posizione intermedia tra i mondi che stabiliscono il lignaggio della dea della rigenerazione e dei tempi cosmici ciclici. McDermott [70] suggerisce che siano stati fatti da donne e le proporzioni siano coerenti con la prospettiva di uno sguardo dall’alto.

Vandewettering [71] ci mette in guardia invitandoci a non proiettare il nostro ideale sulle figurine di Venere,  agendo come colonizzatori e appropriatori del passato e richiede la necessità di “costruire” metodi archeologici di interpretazione delle rappresentazioni di genere e relazioni di genere in un modo più accurato che rispecchi gli antichi popoli che realizzavano queste figurine” [71]. Tenendo presente questo, gli artefatti potrebbero anche rappresentare la Grande Madre come forza dietro la creazione che si rispecchia nel corpo della forma femminile umana, una suggestione che è coerente con l’ipotesi qui presentata circa il fatto che i disegni della vulva rappresentino la Grande Madre.

B Ossa
Non sappiamo molto sui rituali riguardanti la morte durante il periodo Paleolitico tranne che i corpi erano lasciati come cibo per gli animali. Sembra che poi le ossa potrebbero essere state sepolte, o almeno alcune di esse. Nel Mirón in Cantabria, una delle grotte della Spagna, gli archeologi hanno scoperto le ossa di una donna risalenti a circa 20.000 anni fa. Il suo DNA mostra che era un’anziana di 40 anni. È stata nominata la Signora Rossa di Mirón. Le sue ossa furono poste in un piccolo scavo nel terreno tra il muro della grotta e l’enorme pietra caduta dal tetto. Hanno anche trovato resti di funghi, che potrebbero avere avuto effetto allucinogeno, che le erano stati messi tra i denti. “Le ossa erano state cosparse di ossido rosso in più di una occasione e alcuni disegni erano stati fatti sulla pietra. Il sito di sepoltura era anche circondato da fuochi rituali…e un’altra particolarità, unica rispetto ai resti di quel periodo, era che un gran numero di fiori che era stato deposto sulla tomba… [5, p. 39]. Le iscrizioni sulla pietra includono le due forme di V una in alto rispetto all’altra, un disegno del piede d’oca sopra questi, e al di sopra, una vulva [5, p. 39]. In altre grotte in Europa, sono state scoperte altre ossa femminili con ossido rosso sparso su di esse. Anche se potremmo non conoscere le ragioni di questi riti funerari, è ovvio che queste donne fossero considerate speciali dai loro clan.

La polvere di ossido rosso era ottenuta macinando l’ematite rossa, fu sparsa sulle ossa durante i funerali paleolitici e utilizzata anche nei disegni delle vulve nella grotta di Tito Bustillo e nelle pitture del bisonte ad Altamira.

III. DISCUSSIONE
Parlando dell’arte rupestre dell’Africa, Davis [72] ipotizza che questa funzionasse come “un mezzo di comunicazione in tre” contesti principali: a una rete estesa di atti rituali e credenze, a percezioni e conoscenze fuori dal comune e a informazioni locali adattativamente significative” [74, abstract]. A questi aspetti, suggerisco che quando si fa riferimento all’arte paleolitica in Spagna, possiamo anche considerarla come un modo attraverso il quale queste prime donne  hanno cercato di conciliare la tensione tra le esperienze  dell’ineffabile dell’io e l’espressione didattica radicata nelle immagini.
Nel Paleolitico, come nella società odierna, non tutti sarebbero stati interessati a scoprire i segreti e le leggi della natura. Tuttavia, di tanto in tanto, qualche persona era in grado andare oltre la coscienza esperienziale quotidiana e ha iniziato ad attingere a qualcosa di più grande che le ha permesso di ottenere intuizioni sulla sua natura e sulla natura della natura. Anche Wilber riconosce che «in ogni epoca, … un piccolo numero di individui penetrava non solo in modi superiori di cognizione ordinaria …ma anche in regni autenticamente trascendentali, transpersonali, mistici della consapevolezza” [12, pag. 173]. Per lui, questa capacità può manifestarsi “praticamente in qualsiasi fase o livello di sviluppo” [73, p. 227]. Come tali, le intuizioni transpersonali non ordinarie sono state presumibilmente limitate a proporzioni estremamente ridotte della popolazione” [44, p. 227]. Nel corso dei secoli, molti di coloro che
sono riusciti ad ottenere queste intuizioni non solo hanno condiviso la loro comprensione con gli altri, ma hanno lasciato indicazioni su come hanno ottenuto questi stati altri, e qui invito a considerare alcuni contenuti dell’arte rupestre paleolitica in questa luce.

Anche se il Paleolitico superiore si estese per alcuni all’incirca per 20.000 anni, la cultura dei popoli sembra essere stata poco soggetta a grandi variazioni. È anche possibile che più individui durante questo periodo siano stati in grado di entrare in questi stati superiori attraverso lo stesso portale, da qui la somiglianza dei simboli e dei disegni ritrovati nelle grotte, anche se i disegni stessi potrebbero essere relativi a periodi di migliaia di anni di distanza. Per me, la spiritualità delle donne paleolitiche era quella dell’incarnazione, dove l’indefinibile era visto come vivente e vibrante attraverso loro stesse . Questo risuona con l’approccio partecipativo di Ferrer [74] che sostiene che la spiritualità umana emerge dalla partecipazione co-creativa delle persone in un mistero indeterminato o potere generativo della vita. Nel suo aspetto creativo, il mistero è stato vissuto attraverso il loro grembo e le gravidanze, la loro morte, fu riconosciuta come fase dissolutiva o oscura nel ciclo della vita, così necessaria perché avvenga la “rinascita”, e nella sua espressione attraverso eventi celesti, veniva celebrata attraverso i loro riti e i loro pellegrinaggi che si svolgevano in determinati periodi dell’anno.
Estrapolando a ritroso dalle celebrazioni celtiche, c’erano probabilmente 4 festival minori e 4 maggiori, con 4 feste minori che cadono negli equinozi e nel solstizio d’estate e d’inverno [5].

Hay e Nye [17] hanno scoperto che esiste una predisposizione naturale per i bambini provenienti da ambienti non religiosi di vedere il mondo come relazione. Nye (1998) [75] ha chiamato questa qualità della consapevolezza ‘coscienza relazionale’ e riferendosi a una consapevolezza della nostra interdipendenza con gli altri esseri, compreso Dio, gli animali e gli altri esseri umani. Suggerisce l’esistenza di una ricca sensibilità alla complessità e alla connessione di tutte le creature. Più specificamente, la frase si riferisce ad una consapevolezza esperienziale intuitiva, un felt sense, piuttosto che una semplice consapevolezza intellettuale [76].
Dio, essendo un termine astratto, potrebbe essere un nome usato da bambini occidentali ma non da persone prealfabetizzate o figli di
altre culture. Le scoperte di Hey e Nye sono contrarie alla teoria dello sviluppo di Piaget [77; 78] e Fowler [79] che vedono la spiritualità dei bambini  avanzare attraverso stadi convenzionali che richiedono l’identificazione con un sistema di credenze. Sebbene la metodologia dello studio di Hay e Ney sia stata criticata, i loro risultati ci aprono alla possibilità che le società paleolitiche avrebbero potuto percepire in modo simile il mondo. La parola Zulu e Xhosa “ubuntu”, che significa “l’umanità attraverso gli altri” o “la fede in un legame universale di condivisione che unisce tutta l’umanità” [80, par. 2] sostiene l’esistenza di questo tipo di coscienza nelle popolazioni indigene.
Tuttavia, suggerisco che la coscienza relazionale del Paleolitico, come quella dei bambini, fosse estesa a tutti le creature viventi tra cui la Terra, che era vista come “Madre” e anche agli esseri che non erano più in vita. Sebbene non sia stato ben documentato che la natura  fosse adorata come concetto, le culture indigene riconoscono e venerano le entità naturali celesti e terrestri come l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra. Esse riconoscono anche forze invisibili [81]. Avremmo bisogno di approfondire l’analogia con l’oca e la forza creativa e/o la Madre Universale. Questa connessione potrebbe essere limitata a luoghi dell’emisfero settentrionale, come la Spagna e l’Europa. Ma è interessante notare che c’è anche un legame con le tradizioni dell’India dove creare, mantenere e distruggere per ricreare sono noti come gli aspetti delle forze al di là iìdel mondo manifesto con i nomi di Brahma, Vishnu e Shiva [82]. Sebbene Brahma, l’aspetto creatore è considerato come maschio, sta cavalcando un hamsa, che può essere tradotto come un cigno o un’oca, implicando che Brahma potrebbe avere una radice femminile. Aditi è una dea indiana poco conosciuta ed è indicata come la madre di molti dei o forze. È vista come sconfinata o come l’innocenza ed è la dea della terra e del cielo, del futuro e della fertilità. È anche vista come la madre celeste di ogni
forma esistente ed essere, rendendola la forma femminile di Brahma [83]. Le tre forze insieme sono indicate come Trimurti e sono
rappresentazioni delle tre più alte manifestazioni dell’uno, la realtà ultima. Trimurti è rappresentata da un tridente [84], Brahman è considerato il più alto Principio Universale o Realtà ultima nell’universo. E’ considerato eterno, cosciente, irriducibile, infinito, onnipresente e il nucleo spirituale dell’universo di completezza e cambiamento.

Diverse scuole vedono il rapporto dell’anima individuale con il Principio Assoluto come dualistico, non duale o qualificato come monismo, che al tempo stesso riconosce l’intrinseca unicità di ogni individuo. L’Hansa (हंस) o il cigno è il simbolo per Brahman (il trascendente)/Atman (anima individuale o Sé) nell’iconografia indiana [85, p. 8894].

IV. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Nel Paleolitico il ruolo della donna-madre era complesso e probabilmente multidimensionale. Tuttavia, io come Garcia Ledger ritengo che negli antichi clan le donne non fossero pensate come un dio, un idolo, né una regina, né la madre di un dio [5, pag. 40]. Tuttavia, sento che la loro capacità di dare la vita attraverso la nascita le ha sostenute nel tracciare un parallelo o un’analogia tra loro e il potere creativo al di là dell’Universo manifesto che sarebbe stato visto anche come Madre. Per me, l’ineffabile per loro non era una base astratta dell’essere, ma un’entità che poteva… creare e dare vita a un mondo naturale che era dualistico o polare in natura, ma si manifestava anche attraverso di loro e tutta la creazione.
Questa relazione con il mistero come Madre sembra essere al cuore della loro spiritualità. Per le donne, la spiritualità incarnata viene spontanea come dimostrato da Santa Teresa molte migliaia di anni dopo, anche se ella si è legata al mistero come Dio.

Attraverso il poco che sappiamo dei riti funebri delle donne paleolitiche sembra che onorassero anche alcune donne che erano già morte. Non possiamo essere sicure se esse vedevano la morte come parte del ciclo della vita legato all’aspetto rigenerativo del Mistero, o Natura. Ma la dispersione di ossido rosso sulle ossa di certe donne e su disegni o fessure naturali che rappresentavano la vulva, sembrano indicare che la vita e la morte avrebbero potuto essere strettamente legate. Durante gli eoni che compongono il Paleolitico, l’aspetto creativo della Madre potrebbe essersi ampliato per includere l’aspetto distruttivo della natura che rappresenta la morte come
una parte necessaria della rinascita. Tuttavia, dal momento che queste antiche donne erano anche intimamente consapevoli degli eventi celesti e di come essi influenzavano l’espressione della natura (dovevano essere in grado di sopravvivere nelle condizioni estreme in cui vivevano), è possibile che abbiano anche onorato l’aspetto del mantenimento o dell’ordine della natura come la Grande Madre. In questo, sembra probabile l’ipotesi di Garcia Legar [5] secondo il quale anche gli antichi clan matrilineari celebravano gli stessi eventi celesti dei Celti, che consistevano di 4 feste minori che cadono sugli equinozi e i solstizi e le 4 principali feste che cadono 40 giorni dopo.
I ricercatori non sono abbastanza sicuri del perché esattamente 40 giorni, ma questo modello riaffiora nella tradizione cristiana con altre date ora trasposte per coincidere con gli eventi del calendario cristiano. Ma è interessante notare che i cristiani stanno ancora celebrando le stesse date di quelle che hanno significato tanto per i nostri a lungo dimenticati antenati del Paleolitico. Sembra che anche in India la comprensione dell’Universo e degli eventi che sono celebrati potrebbe essere stata influenzata da una prima matrifocale comprensione dell’Universo. Le somiglianze dei simboli e/o geroglifici trovati in Mesopotamia, India e Spagna, comprese altre parti d’Europa, sembrano indicare questa possibilità, ma questo deve essere ancora studiato più approfonditamente.

Il modo in cui ci avviciniamo al mistero che c’è dietro il nostro mondo visibile è cambiato nel corso dei secoli, ma ciò che è costante è che  abbiamo cercato di sondare l’ineffabile attraverso qualsiasi lente che abbiamo avuto come guida o da cui ci siamo sentite maggiormente attratte. A volte siamo state puramente spirituali; altre volte, siamo state religiose, probabilmente trasformando la Grande Madre in una Dea e poi sostituendola con un Dio maschio. Questi cambiamenti indicano che ci potrebbe essere una relazione tra il nostro sistema socio-culturale e il modo in cui percepiamo l’Assoluto, con le società matrifocali abbiamo compreso l’Assoluto come Madre, e poi le società patrilineari hanno visto l’Assoluto come Padre. Tuttavia, questa entità di necessità è al di là della dualità, compreso il genere. Cosa è rimasto costante durante queste trasformazioni è la nostra preoccupazione per gli altri, la nostra Grande Madre/Dea/Dio non è mai stata impersonale.
Lei o Lui è sempre stato percepito come l’incarnazione più alta a cui un essere umano può aspirare.

Forse è il momento di ripensare alcuni dei modelli e delle strutture che come esseri umani moderni stiamo seguendo, sia nel nostro approccio al mistero al di là del mondo visibile manifesto sia in riguardo al nostro comportamento su questo pianeta. Non siamo robot e nemmeno lo sono i nostri simili, siamo esseri sensibili e pensanti intimamente legati all’Universo e soprattutto gli uni agli altri e ad ogni altro essere vivente. La nostra capacità di amare l’ineffabile, non importa come lo concepiamo, e amare e prenderci cura del
espressione materiale creativa del mistero, è probabilmente ciò che ci rende veramente umani.
Nella terapia delle costellazioni familiari, Hellinger [86] parla della necessità di restaurare l’ordine dell’amore attraverso il riconoscimento di tutto i nostri antenati, ma questo è ugualmente applicabile anche ad altri sistemi, compreso lo sviluppo spirituale umano. Qui suggerisco che abbiamo bisogno di riconoscere la spiritualità delle donne del primo Paleolitico come parte di noi e di trovare una nuova via da seguire che includa le nostre primordiali radici.
Questo può consentirci di trovare un nucleo comune alle varie religioni e ai modelli successivi della natura ultima della realtà. Possiamo anche imparare da queste donne antiche che la spiritualità non è qualcosa di separato dalla vita, è una riverenza per la vita come parte del mistero. Donne e uomini insieme devono essere coinvolti in questa impresa se vogliamo davvero un futuro possibile per
la prossima generazione e tutti gli esseri viventi su questo pianeta.

Tina Lindhard

consol.tina@gmail.com

Photo by Phil Aicken
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    Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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