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by Jerry Diamanti

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L’istruzione, base per la costruzione di un mondo pluralistico, è indispensabile per la sopravvivenza culturale e la prosperità delle comunità indigene, che hanno il diritto protetto all’istruzione interculturale.

Nell’Alta Amazzonia, le popolazioni indigene stanno co-creando i propri sistemi educativi in linea con la loro visione del mondo, la loro lingua e la loro cultura. Questi sistemi sfidano direttamente la logica coloniale dei metodi scolastici dominanti e aprono lo spazio a modelli di apprendimento più solidali e comunitari.

Il futuro dell’Amazzonia e dell’intero pianeta dipende dalla nostra capacità di trasmettere alle nuove generazioni modi di comprendere e proteggere l’ambiente. La decolonizzazione dei sistemi educativi è una soluzione per il clima.

  1. LA CRISI DEL SISTEMA EDUCATIVO

“La scuola che sogno per i bambini delle comunità Waorani è quella in cui passano un po’ di tempo in classe a leggere e poi possono uscire all’aperto: questa è libertà di pensiero, che permette ai bambini di svilupparsi”, dice la leader Waorani Nemonte Nenquimo.

Nel territorio Waorani dell’Alta Amazzonia, le comunità della provincia di Pastaza stanno lavorando duramente per progettare e costruire un modello educativo che si adatti alle loro esigenze e visioni.

Come spiega il leader Waorani Nemonte Nenquimo, “vogliamo insegnare ai nostri figli la nostra educazione, le storie e le forme di organizzazione che avevano i nostri nonni, il potere di prendersi cura del territorio. Le nostre conoscenze, i nostri valori, le nostre canzoni, la nostra lingua”.

La presidente dell’Organizzazione Waorani di Pastaza (OWAP), Silvana Nihua, sottolinea che il rafforzamento dell’istruzione “è una manifestazione della nostra resistenza e dell’ impegno a prenderci cura della nostra cultura, della conoscenza, della comunità e dei nostri figli”.

L’istruzione è ciò che ci permette di incarnare e sostenere la nostra cultura, di muoverci con scioltezza nelle nostre lingue e  ambienti. È alla base del nostro senso di appartenenza, della nostra identità, della nostra autostima e della  resilienza collettiva: la nostra capacità di essere una comunità autoctona. La lotta per l’istruzione è centrale nello scontro per l’autonomia e l’autodeterminazione delle comunità indigene e del loro territorio.

Il colonialismo ha comportato la distruzione della memoria e della struttura che ne permette la trasmissione: l’istruzione. Una delle prime manovre degli attori coloniali è stata quella di sradicare violentemente i sistemi educativi indigeni, forgiati per secoli da anziani e famiglie, e di imporre brutalmente un modello dottrinario di assimilazione.

La mentalità coloniale alla base di questa concezione di “educazione” si basava sulla svalutazione razzista delle conoscenze indigene e sull’imposizione suprema delle idee “occidentali” al di sopra di tutto. In Amazzonia, per più di un secolo, le scuole missionarie ed evangeliche hanno insegnato agli studenti ad abbandonare la propria identità e la propria lingua. “I missionari ci punivano se non facevamo quello che ci veniva detto”, spiega Nemonte, che a 14 anni ha lasciato per la prima volta la sua casa nella foresta pluviale per studiare in una scuola missionaria evangelica americana in città. Rendendosi conto di essere costretta a lasciarsi alle spalle l’identità culturale e la storia del suo popolo, è scappata. Le hanno inculcato un’educazione alla separazione: separazione dalle famiglie e dagli anziani, separazione dalla spiritualità e dal territorio, separazione tra la “barbarie” dell’identità indigena e la “civiltà” del pensiero occidentale. L’educazione, un tempo vista come responsabilità e compito condiviso da tutta la comunità, è stata confinata nella scuola, sotto la supervisione delle autorità.

La profondità e l’insidiosità di questa lunga eredità coloniale hanno portato a una grave crisi nell’istruzione e nella sopravvivenza culturale. Il sistema scolastico continua a fallire in molte comunità. Nella regione amazzonica, i bambini e i giovani sono costretti a studiare concetti e materiali lontani dalla vita della foresta e dalla cultura indigena, utilizzando metodologie che generano disconnessione. Il risultato: la perdita accelerata della lingua e delle conoscenze indigene, che genera profonde disuguaglianze nello sviluppo e poche opportunità per gli studenti indigeni.

Patricia Peñaherrera, coordinatrice del Programma Educativo di Amazon Frontlines, che lavora con le nazionalità Waorani, A’i Cofan, Siekopai e Siona, sottolinea che “per le comunità indigene, l’istruzione formale è stata così disorientante e priva di riflessione su chi sono e chi vogliono essere, che non si interrogano più sul loro futuro.

Il risultato di questo processo è la perdita della lingua, delle tradizioni, delle pratiche e della chiarezza sulla propria esistenza. Manca il senso dello scopo e diminuisce la capacità di esercitare pienamente la propria spiritualità e la propria vitalità. Attraverso l’educazione c’è bisogno non solo di recuperare la cultura, ma di rafforzarla, di reclamare ciò che significa essere indigeni di fronte a un’invasione così soffocante”.

L’attuale sistema educativo dell’Ecuador continua con l’eredità coloniale che svaluta i saperi ancestrali e la cultura indigena e impone modelli distanti e inadatti a geografie e culture plurali. In generale, non offre ai giovani né la conoscenza del territorio, della storia e della cultura della propria comunità, né gli strumenti di altri sistemi educativi. Come spiegano i leader waorani Nemonte Nenquimo e Gilberto Nenquimo, “lo Stato Ecuadoriano progetta programmi di studio che provengono dalla città e che non hanno senso nella foresta: sono programmi di studio che privilegiano la memorizzazione e non l’apprendimento, e che insegnano ciò che è importante per il cowore – la gente di fuori – senza considerare ciò che è importante per noi”.

Nel 1988, i movimenti indigeni Ecuadoriani sono riusciti a fare pressione sullo Stato affinché fornisse un sistema scolastico nazionale per gli studenti indigeni, chiamato educazione bilingue interculturale.

Sebbene il diritto all’educazione interculturale sia già ben stabilito nel diritto Ecuadoriano e internazionale, in generale non è stato adeguatamente implementato nel sistema educativo nazionale. I materiali didattici di alta qualità sono scarsi. Gli insegnanti sono poco formati. Molti vengono istruiti a utilizzare piattaforme online in ambienti privi di computer o di accesso a Internet. A volte i computer vengono forniti alle scuole senza elettricità. Lo Stato è negligente nelle sue iniziative di educazione interculturale, carenti inoltre di finanziamenti sufficienti. Continuano a basarsi su logiche coloniali, in cui l’obiettivo dell’istruzione è formare gli studenti al pensiero, alla cultura e ai materiali occidentali. Come riflette Peñaherrera, “l’obiettivo dominante di tutto l’apprendimento è la formazione alla conoscenza occidentale e la formazione di professionisti per un mondo occidentalizzato”. In pratica, lo Stato Ecuadoriano, attraverso le sue politiche educative, ripropone la realtà della non consultazione, in violazione del diritto dei popoli indigeni a decidere.

  1. LA VISIONE WAORANI PER UN’EDUCAZIONE INDIGENA PLURALE

Nel cuore del territorio ancestrale, le comunità Waorani stanno lavorando insieme per sfidare radicalmente il modello coloniale di istruzione e alimentare un modello indigeno di apprendimento. Negli ultimi due anni, insegnanti, genitori e giovani di tutta la provincia di Pastaza si sono riuniti in workshop e incontri per co-creare il “Curriculum comunitario delle comunità Waorani”. In un workshop per insegnanti, i membri della comunità hanno definito un sistema di educazione interculturale Waorani che “ci aiuterà a prenderci cura del nostro territorio e delle ricchezze che vi esistono, come gli animali, il cibo, le medicine, gli spiriti dei nostri antenati… Vogliamo crescere bambini con amore e impegno per il loro territorio, che conoscano le nostre ricchezze e che si occupino anche di materie straniere, in modo che siano giovani determinati a preservare la nostra vita”.

Attraverso numerosi incontri e laboratori di co-creazione, hanno elaborato una visione ricca e audace di un sistema educativo che funziona per il popolo Waorani. Questa visione rappresenta una rottura radicale, sotto molteplici aspetti, con la concezione dominante e coloniale dell’istruzione prevalente nelle nostre società. Il modello educativo Waorani non limita l’educazione alle quattro mura della scuola o a un breve periodo di gioventù: piuttosto, vede l’educazione come un processo intergenerazionale all’interno e all’esterno delle scuole, che permette ai Waorani di sentire un senso di forza nella loro identità. Questo luogo di forza, attraverso l’istruzione, diventa una piattaforma per impegnarsi nella conoscenza interculturale.

La visione Waorani dell’istruzione mette al centro il territorio ancestrale della foresta tropicale come biblioteca unificante dell’apprendimento. Invece di una rigida giornata scolastica con la maggior parte delle attività confinate in un’aula piena di sedie e banchi, la foresta tropicale, i fiumi, i sentieri, i giardini e gli spazi comunitari sono considerati spazi di apprendimento. Il territorio è una lavagna per lezioni parallele di scienza, scrittura, matematica e spiritualità. Sfidando il privilegio dell’intelletto nell’istruzione, il programma di studi Waorani pone il corpo, l’intelligenza sensoriale e percettiva e il movimento al centro dell’apprendimento.

I materiali sono selezionati in base alla loro rilevanza culturale. Il programma di studi bilancia un insieme di conoscenze chiave Waorani (lingua Wao Tededo, tecniche di conservazione, conoscenze ambientali, spiritualità) e metodologie indigene (dialogo con gli anziani, movimento, mimica, immersione, gioco) con conoscenze e metodologie cowore (non Waorani), tra cui matematica, scienze sociali e lingue (spagnolo e inglese). Invece di utilizzare tecniche di apprendimento meccanico e di memorizzazione, si utilizzano canzoni, giochi creativi, osservazione e racconti dove si sviluppa l’immaginazione. Viene scoraggiata qualsiasi tecnica pedagogica che promuova l’immobilità e scoraggi l’autonomia, l’apprendimento attivo e la sperimentazione. Inoltre, l’educazione è vista come un tessuto connettivo, intrecciato con tutte le questioni comunitarie, dalla sovranità alimentare alla cura del territorio.

L’educazione non è solo una questione di insegnanti e studenti, ma coinvolge l’intera comunità. Il piano della comunità Waorani pone grande enfasi sul ruolo dei genitori, degli anziani (Pikenani) e delle famiglie nella trasmissione del sapere. Anche gli antenati, gli animali, le piante e gli insetti sono riconosciuti come insegnanti. Man mano che la categoria di chi è considerato un insegnante si allarga, il ruolo degli insegnanti designati o qualificati si sposta da quello di una figura di autorità pedagogica a quello di un facilitatore dell’organizzazione comunitaria, un ponte tra la conoscenza comunitaria e quella non Waorani.

In generale, il concetto è quello di evitare la rigidità, privilegiando il gioco, la sperimentazione e l’apprendimento liberatorio. Il modello Waorani guarda all’educazione dalla prospettiva della pluralità, perché, come dicono Nemonte Nemquimo e Gilbero Nemquimo, “forse i bambini della foresta imparano in modo diverso… perché c’è bisogno di un pensiero più interculturale nella formazione degli insegnanti e di una maggiore partecipazione delle popolazioni indigene nella progettazione del curriculum”. La visione valorizza l’individualità e la fiducia nello sviluppo particolare di ogni bambino, adattando i metodi di apprendimento all’unicità, ai bisogni e ai ritmi di ogni persona. Liberandosi di una struttura basata sul grado o sull’età, i bambini hanno la libertà di muoversi tra diversi spazi di apprendimento e di trovare il proprio livello.

Attraverso questi approcci, l’istruzione mira a essere uno spazio in cui le persone possano esercitare e applicare i propri diritti, rafforzandoli come esseri Waorani indipendenti e generativi, impegnati a portare nuove idee alla comunità. L’istruzione diventa una base per rafforzare l’autogoverno e l’autonomia, approfondendo i legami dei giovani con il loro passato e i territori ancestrali e fornendo loro le competenze necessarie per navigare in un mondo globalizzato.

Le comunità di apprendimento Waorani hanno organizzato incontri comunitari per rafforzare la visione del programma di studi e hanno avviato discussioni con i ministeri competenti. Chiedono al governo Ecuadoriano di fare un passo avanti, di fornire risorse per le infrastrutture, di sostenere lo sviluppo di materiali interculturali di alta qualità, di fornire formazione agli educatori e di garantire condizioni di lavoro stabili per gli insegnanti. La visione educativa Waorani richiede uno Stato impegnato nell'”apprendimento collettivo attraverso il fare”, estendendo la visione a tutte le scuole Waorani.

CONCLUSIONE

La lotta per l’istruzione è una lotta trasversale delle comunità indigene che lavorano per garantire la sopravvivenza delle proprie comunità e dei propri territori. Garantire l’emergere di modelli educativi decolonizzati è fondamentale per rafforzare le prossime generazioni, che saranno i custodi dell’Amazzonia, del nostro pianeta vivente e della diversità bioculturale che ospita. In tutta l’Alta Amazzonia, Alianza Ceibo e Amazon Frontlines hanno lavorato con le comunità Waorani, Siekopai, A’i Cofan e Siona per progettare sistemi educativi autonomi in linea con il proprio patrimonio e le proprie priorità comunitarie.

Questo lavoro, come dice la coordinatrice di Amazon Frontlines per l’autonomia e la resilienza Ylenia Torricelli, serve anche a “rafforzare le comunità in un mondo di novità e cambiamenti, dal cambiamento climatico agli eventi geopolitici globali”. Le comunità Waorani dimostrano che l’educazione rimane la nostra bussola, il nostro scudo e il nostro telaio per costruire un mondo plurale e protetto.

Come dice Nemonte, “vogliamo che i bambini crescano forti per affrontare il futuro, per avanzare lungo la stessa strada che abbiamo percorso noi. Lavoriamo anche con persone di altre nazionalità. Anche loro avevano terre sane, ma i loro governi e le loro aziende hanno danneggiato i loro fiumi. Hanno perso molte conoscenze. Pensiamo ai nostri figli e siamo pronti a fare qualsiasi cosa per difendere il nostro territorio, la foresta. La nostra casa”.

 

Tradotto da Cristina Brunasti dal sito

Amazonfrontlines.org

 

 

 

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

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    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

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    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

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    Claudia Panico

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    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

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    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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