Puntare a sopprimere del tutto ogni realismo vuol dire vivere.
Le strade erano di chi le disselciava, il tempo del dominio si fermò. Senza treni, senza macchine, senza lavoro, senza nessuna forma di energia che soddisfaceva i bisogni più frivoli per deludere i desideri più essenziali, chi era in sciopero della sopravvivenza si abbandonò a reinventare il tempo perduto nelle fabbriche, negli uffici, sui tram, davanti al computer o alla televisione. Si vagabondava, si sognava, si affermava la voglia di vivere.
Per la prima volta si era troppo giovani per poter aspettare. Una giovinezza che faceva a pezzi la categorizzazione prodotta da economisti, sociologi, esperti e politici.
Una giovinezza che non sapeva che farsene del consumo, ma che si dava al tempo vissuto perchè si era troppo sopravvissuto nel tempo morto. Si creava quel tempo che rifiuta il richiamo patriarcale e poliziesco dell’età, per dar linfa all’intensità. La teoria radicale si iniziava a praticare, considerata troppo difficile dagli intellettuali incapaci a viverla, diventando necessaria per tutti coloro che, sentendola in ogni loro minimo gesto di rifiuto verso una repressione diventata irrespirabile, non avevano più nessuna difficoltà ad evocare la teorizzazionedi ciò che desideravano.
Ormai era certo che tutte le chiacchiere e i panegirici sulle rivendicazioni dei diritti non sarebbero bastati a cancellare un solo attimo di libertà vissuta.
Nessun paradigma dell’oggi può prevedere il caos di domani.
Jamala Désir
Da “Nel disordine dei sogni. Frammenti sparsi sul linguaggio e sulle mutilazioni del realismo” S-edizioni
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Immagine di LOGAN WEAVER | @LGNWVR