Il linguaggio del corpo

Esistere, vivere con le proprie potenzialità, è l’anelito e il fine che ciascuno di noi persegue: la vita piena è il nostro diritto, essere, non sopravvivere.

Cerchiamo relazioni, terapie, contesti che ci consentano di liberarci di quelle esperienze passate che ci trattengono nella paura e che si sono attivate quando abbiamo sentito la nostra vita in estremo pericolo: ma la vita non dovrebbe essere un problema da risolvere, e il lavoro profondo di ogni terapia dovrebbe includere un’ampia prospettiva di riconnessione con l’Esistenza.

Tutti noi possiamo accedere alla consapevolezza percettiva essenziale che anima il mondo: dobbiamo allenarci a ritrovare questa abilità che abbiamo dimenticato. Si tratta di una sensibilità profonda che ci fa sentire il flusso vitale del divenire. Sappiamo quello che serve al fluire, lo intuiamo. E l’allenamento è sentirlo nel nostro corpo. Questo è un processo organico, non cognitivo.

Per procedere, ci serve capire e sentire come funziona il nostro Sistema Nervoso, come le sue parti si collegano e si integrano per la gestione in noi di un insieme complesso ed altamente specializzato. E’ il sistema di comunicazione interno al corpo, tra esterno ed interno e viceversa. Risultato dell’evoluzione, la sua funzione segue l’uomo dal mondo rettile (Somatico, Autonomo) a quello mammifero (Limbico, affettivo ed emotivo), al Neocorticale o Neofrontale, che si completa a 27 anni (consapevolezza, ragione, pensiero, difesa, controllo, giudizio), per finire coi nuovi studi sul Sistema Nervoso Sociale (S.Porges).

Il cervello somatico (25% del midollo) è attivo alla nascita, un piccolo si regola attraverso il suo linguaggio che sono le sensazioni (contatto, suono, odore, sapore, vista), e resta come base del nostro esistere nel corpo fisico, garantendone la sopravvivenza. La zone limbica e quella neocorticale, si sviluppano poi attraverso l’interazione relazionale, che è al 95% non verbale. Condividiamo il cervello limbico con i mammiferi, a questo livello siamo animali da branco, in continua comunicazione non verbale e inconscia.

 Vediamo così che sopravvivenza ed esistenza pur ingaggiando sempre l’insieme del Sistema Nervoso, prendono gli ordini da zone differenti del cervello, Il cervello somatico considera primaria la sopravvivenza del corpo e a qualunque costo la mantiene, se necessario, anche chiudendo le porte agli stati intermedi affettivi del cervello limbico, e ai livelli più alti: la neocorteccia che non incontra più le emozioni e l’affettività, si erge a giudice e controllore, aumentando la difesa nel suo disorientamento. L’autonomo somatico “disconnette la mente e le emozioni al troppo dolore” e “costringe nella materia”, il corpo dunque se ne fa carico, contenendo queste esperienze che non saranno poi presenti alla consapevolezza.

La medicina per gli esseri umani sono gli altri umani. Messi in una buona relazione, trovando il sostegno, l’attenzione e il supporto per esplorare, rilasciare il controllo, possiamo incontrare chi siamo. L’isolamento è la conseguenza di qualcosa “troppo” che è accaduto a livello di sopravvivenza. Abbiamo perduto il senso di sicurezza che è alla base dell’esistenza, e il senso della realtà di essere insieme in questo grande viaggio che è il vivere.

Studi recenti nell’ambito delle terapie, hanno cercato l’antidoto al “troppo” che le persone “traumatizzate” non hanno potuto digerire, e si è scoperto il modo di dialogare con l’Autonomo, Attraverso questo “dialogo” in relazione, Facilitatore e Cliente si dirigono delicatamente ad introdurre l’elemento che non ha potuto essere presente nell’esperienza sopraffacente, in modo da poter rinegoziare piano piano l’attivazione a livello neurofisiologico.

Il corpo ha bisogno di essere incontrato

Socialmente, storicamente, siamo dovuti passare attraverso esperienze di cura piuttosto grezze, a volte improvvisate, per poter beneficiare oggi di queste qualità integrate di intervento. Si è compreso che rivisitare e quindi far rivivere eventi ad alta carica (sopraffacenti) può di nuovo nutrirli, portando dunque frammentazione e dissociazione piuttosto che riorganizzazione. I nuovi studi ci dicono che la catarsi emozionale regressiva dovrebbe essere usata il minimo possibile, dirigendo il potenziale energetico bloccato a nutrire il senso di integrità e l’aumento di capacità della persona, piuttosto che nel consumarlo.

Sigmund Freud

Interessante notare che a introdurre la “catarsi” nella cura in occidente fu lo stesso Freud, all’inizio dei suoi studi (1880) con la rievocazione degli eventi traumatici, tramite l’ipnosi prima, e dei movimenti a pressione sulla fronte poi. Sostituiti infine dalle ”libere associazioni”. In questa sua esplorazione, la catarsi cessò infine di essere la sua principale finalità terapeutica, in quanto non eliminava le resistenze, ma le eludeva, producendo risultati solo transitori” (http://www.psicolinea.it/la-catarsi-ed-il-metodo-catartico).

Gli esseri umani soggetti a eccessivo stress, o shock e trauma, regrediscono a comportamenti infantili come se il senso di sopraffazione voglia inconsciamente far scattare il supporto sociale. Il supporto di cura che funzionerà, avrà dunque la delicata sintonia che ha la mamma col bambino.

Gli eventi “troppo” della vita ci richiamano continuamente. Una forza vitale potente rimasta intrappolata richiede attenzione e la persona è automaticamente lì intorno, nella rivisitazione continua, con pensieri, immagini, emozioni. In un certo senso la “catarsi”, è sempre molto vicina, è il centro che nutre l’agitazione, la dissociazione o l’ipervigilanza. Come disattivare questa forza? Dove è l’antidoto? Dov’è la guarigione?

Non è utile seguire questa via, che in apparenza sembra naturale. Non è naturale! Nessun animale si comporta come un umano! L’uomo va via dalla presenza (adesso) per continuare a controllare passato e futuro. Per un sistema umano che sta gestendo ancora “la sopravvivenza” a volte anni dopo un evento difficile, non sarebbe meglio essere condotto a piccoli passi, sentendo supporto, connessione, sicurezza e sostegno, ad attraversare finalmente quelle zone “troppo”?

Facilitatore e Cliente, nell’essere insieme nell’esplorazione, trovano le porte, che conducono delicatamente a scoprire quei mondi tenacemente tenuti isolati. E insieme entrati in quel caos scoprono le piccole isole dove la vita sta funzionando bene. Attraverso il linguaggio sensoriale, accertandosi che siano presenti sensazioni di sicurezza, esplorano il linguaggio sottile del corpo, facendo attenzione a che non si riducano le “isole” vitali. In tal caso, è bene fare un passo indietro, per non ripetere “la reazione all’evento” già vissuta, che lo nutrirebbe di nuovo.

In questo nuovo modo di procedere si mantiene un piede sulla terra ferma, incrementando il senso di stabilità, mentre con l’altro si esplorano insieme in sicurezza le sabbie mobili. Si scopre insieme cosa permette l’ampliamento di un certo equilibrio, di connessione, di rigenerazione, di assestamento, di presenza, come restare connessi a quello che si sente e a quello che si vive.

Si manifesta così l “Esistere”. La persona si sente accolta, vista, rispettata. Il sistema Autonomo (Somatico) adesso può tornare nel presente. La “neocorteccia” può permettersi di ascoltare che cosa le parti più “piccole” hanno da dire, piuttosto che dare ordini. Il “limbico” può gustarsi l’esperienza di essere in fiducia e poter fluire nella relazione.

Non più forte e non più veloce

In ogni ambito dell’aiuto, anche a un genitore che accompagna la crescita del figlio, è richiesto un lavoro delicato e sottile: al facilitatore sono richieste le qualità naturali che dovrebbero essere parte delle relazioni degli adulti coi piccoli.

L’esplorazione percettiva è vincente, e la raggiungiamo rallentando il linguaggio e il movimento: questo ci permette anche di agganciare le sensazioni alla coscienza.

Capita qualche volta, ai facilitatori frustrati (anche ai clienti frustrati) di rassicurarsi di star realmente facendo qualcosa, provocando più emozioni, più movimento, più azione.

Sarà la vita del Cliente che mostrerà l’andamento del percorso, non viceversa. Dovranno aumentare gioia, amore, relazioni, successo, capacità, senso di responsabilità, nella sua realtà.

Più profondo è il cambiamento più diventiamo quieti: dobbiamo imparare ad apprezzare la calma. In tutti i ruoli.

Elisabetta Ugolotti

elisabetta.ugolotti@gmail.com

traumahealing.it

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