Per comprendere il Transe Learning, possiamo partire dall’oggetto della ricerca dell’approccio transpersonale, la realizzazione del Sé.
Il Sé in quanto essenza esprime la totalità della Psiche che è soggetto, non ha spazio e non ha tempo. Wilber, (Wilber 2011).
Quando, il soggetto diventa oggetto di studio, dobbiamo chiederci come possiamo operare secondo una metodologia e un insegnamento che ne rispetti la sua vera natura.

Va detto che, secondo la visione transpersonale il Sé risiede in qualche modo dietro le quinte esso si manifesta attraverso l’Io, mediante il suo strumento principale, la mente ordinaria, razionale.
La mente ordinaria svolge una funzione fondamentale nell’organizzare l’esperienza dell’Io, ma, forse anche per questo, tende a identificarsi con i suoi contenuti; per raggiungere il Sé si rende necessario andare oltre la mente razionale, oltre le identificazioni dell’Io, e aprire la nostra coscienza a una mente più vasta.
Questo significa padroneggiare la nostra esperienza interiore, espandere il nostro normale stato di coscienza. In Biotransenergetica diciamo che sia necessario passare dalla prima alla Seconda Attenzione, (Lattuada 2018) che ci consentirà di scorgere oltre il palcoscenico. Se pensiamo al nostro curriculum di studi, possiamo renderci conto che ci è stato insegnato secondo una modalità che potremmo chiamare o/o, l’apprendimento è stato fornito principalmente attraverso la teoria, poche pratiche, nessuna esperienza interiore. Ci si è occupati della materia, e si è dimenticato lo spirito, si è lavorato sulla mente trascurando la coscienza.
Questo è il modo convenzionale di insegnamento.
Andando oltre possiamo trovare metodi di insegnamento, che cerchino di mettere insieme il corpo e la mente, la materia e lo spirito. Potremmo chiamare questa metodologia e/e, dal momento che da un lato propone lo studio teorico dall’altro associa a questo delle pratiche esperienziali come la meditazione o l’esercizio fisico. Attraverso mezzi di questo tipo si cerca di mettere insieme due modalità: l’esperienza e la teoria, la mente e il corpo, la conoscenza e la consapevolezza, la materia e lo spirito. Così facendo stiamo mettendo insieme qualcosa. Sì, abbiamo migliorato il nostro modo di apprendere, ma stiamo ancora lavorando con la mente duale, con la realtà che si manifesta sul palcoscenico.
In che modo la metodologia e/e è collegata alla mente duale?
Passare dal passato al futuro, giudicare, combattere, sviluppare strategie, raggiungere obiettivi, passare da un punto a un altro, andare via, controllare, organizzare, cercare una risposta, conoscere le cause, delegare, cercare di risolvere i problemi.
Siamo così abituati a comportarci in questo modo, che ci sembra assolutamente normale, comprensibile.
Se torniamo a pensare alle qualità essenziali del Sé possiamo facilmente capire, come né la strategia o/o né quella e/e rappresentino il modo migliore per raggiungerlo.
Per raggiungere il Sé, dovremmo andare oltre la mente duale e provare a sviluppare una sorta di mente unitiva, di Seconda Attenzione, una Modo Ulteriore.
La BTE con gli Otto pilastri della trasformazione propone un diverso modo, un Modo Ulteriore di conoscere.
Prendiamone in esame i punti essenziali.

Osservare, invece di… pensare

L’attività del pensiero è come le onde, l’osservazione consapevole come l’oceano.
Farsi guidare dai propri pensieri significa farsi portare dalle onde. Praticare l’osservazione significa poter cogliere la vera natura dell’acqua della vita anziché perderci tra i suoi flutti.
Condizione prima per realizzare il Modo Ulteriore e raggiungere la nuova comprensione frutto della coscienza dell’unità sembra essere quella di imparare a osservare con occhi chiari.
Cosa significa? Significa rendersi conto che, oltre a osservare il mondo esterno, noi possiamo anche osservare il nostro mondo interno.
Questa affermazione sembra banale, ma se poi ci chiediamo, quante volte in una giornata ci ricordiamo di osservarci dentro, ci risulta subito evidente come l’esperienza interiore sia la grande dimenticata della nostra società.
Quante volte in una giornata osserviamo il nostro respiro, il battito del nostro cuore, il fluire delle sensazioni del nostro corpo o l’animarsi delle emozioni nel nostro petto? Quante volte, mentre stiamo parlando ascoltiamo come risuona dentro di noi ciò che stiamo dicendo? Persino quando facciamo l’amore siamo tutti tesi a procurare piacere o a raggiungerlo, a non deludere o a dimostrare la nostra abilità, da dimenticarci di osservare il flusso molteplice delle emozioni che ci attraversa.
Per la stragrande maggioranza di noi, uomini e donne della società tecnologica occidentale, figli della cultura positivista e meccanicistica, stare soli con noi stessi significa pensare e, osservarci significa analizzare se siamo sani o malati, se abbiamo sintomi oppure no.
L’esperienza interiore si riduce a scaramantiche indagini per verificare se la macchina funziona oppure no e a maldestri tentativi di tenere a bada il fantasma cercando di fargli credere quello che vogliamo noi.
Ma la macchina non esiste e neanche il fantasma.
L’oceano della coscienza produce onde, così come ogni altro oceano. Onde che chiamiamo, sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, ricordi, ecc. L’attività del pensiero, altro non è che un insieme di onde, l’osservazione è l’oceano.
Per cui:
Farsi guidare dai propri pensieri significa farsi portare dalle onde. Praticare l’osservazione significa poter cogliere la vera natura dell’acqua della vita anziché perderci tra i suoi flutti.

Restare, invece di… andare via

Ma come possiamo non farci travolgere dal flusso incontenibile dei pensieri? Come possiamo navigare l’oceano della coscienza senza finire alla deriva?
Restando anziché andando via.
Se vogliamo navigare dall’Europa alle coste degli Stati Uniti dobbiamo seguire la direzione est-ovest. Le onde ed i venti tenderanno a portarci in tutte le altre direzioni, ma solo se terremo la barra al centro, senza seguire le forze che ci spingono altrove, arriveremo a destinazione. Allo stesso modo, se noi vorremo padroneggiare l’osservazione sia di un aspetto di noi stessi, sia di una funzione, come il respiro o di un’emozione come la paura, di un organo o di un sintomo, dovremo sapere restare lì con l’attenzione, senza andare via con il flusso dei pensieri.
Restare vuol dire sviluppare qualità come ascolto, accettazione, responsabilità.

Sentire come, invece di… capire perché

Sentire come significa cogliere il senso sentito, le caratteristiche rilevanti degli eventi e accedere ad una comprensione di nuovo ordine: l’insight.
Dedichiamo qualche minuto del nostro tempo a un semplice esperimento. Proviamo a chiudere gli occhi e a seguire i nostri pensieri per alcuni istanti… Osserviamo il nostro respiro. Con certezza potremo constatare che si era bloccato. Quando seguiamo il flusso dei pensieri, blocchiamo il flusso della vita.
Ora riflettiamo su quanto tempo dedichiamo, nella nostra giornata, ad ascoltare il nostro respiro e quanto a seguire i nostri pensieri. Ecco individuato uno dei fattori principali di malattia nella nostra società: dedichiamo molto più tempo a pensare i nostri pensieri che a sentire lo scorrere della vita stessa. Così facendo provochiamo in noi delle reiterate, incessanti, interruzioni dell’energia vitale. Ma non ce ne rendiamo conto. Salvo poi avvertire mal di testa. Allora per prima cosa cerchiamo di farlo sparire. Se non ci riusciamo ci chiediamo perché. Anziché osservare cosa stiamo facendo, anziché sentire come stiamo costruendo il nostro mal di testa, anziché ascoltare cosa ci sta chiedendo, cerchiamo di capirne le cause.
Cioè non osserviamo quello che sta succedendo ora, quello che è lì da vedere, per pensare a quello che era successo prima, che difficilmente potremo riconoscere. Non facciamo ciò che potremmo fare adesso per pensare a ciò che non avremmo dovuto fare prima.

Fatti, non problemi

La nostra mente è la fonte di tutti i problemi.
L’osservazione consapevole può consentirne la comprensione della vera natura di ogni evento e coglierne il suo potenziale creativo.
Questo comportamento nasce da una credenza radicata: Crediamo che la soluzione dei problemi sia nella nostra mente. Nulla di più falso.
La nuova visione olistica riconosce che: la nostra mente, è la fonte di tutti i problemi. O meglio, i nostri problemi nascono dal modo col quale usiamo la nostra mente. La mente di una scienza integrale riconosce nel sintomo, prima di tutto un fenomeno, un fatto, come le onde nell’oceano; sa che, proprio come per le onde nell’oceano, la soluzione risiede nel fenomeno in sé. Chiedersi perché le onde, ne produce solo delle altre.
Solo l’osservazione consapevole può consentirne la comprensione della loro vera natura. Anche la spiegazione più elaborata, la diagnosi più accurata, resta pur sempre un’onda e se non siamo disposti a lasciarla scorrere ci travolgerà.
Attenzione, la scienza integrale non rinuncia ai perché o alle diagnosi, semplicemente invita a riconoscerne la loro vera natura e a comportarsi di conseguenza.

Affidarsi invece di controllare

Quando ci lasciamo andare allora comprendiamo che i problemi non si risolvono ma si dissolvono nella forza trasformatrice della fiducia.
Ecco alcuni suoi suggerimenti:
Lascia scorrere tutti i perché e rimani in ascolto.
Non cercare di capire le onde ma resta in ascolto del rumore del mare.
Osserva come si manifesta la vita in te, ascolta dove scorre, dove si blocca.
Ascolta le sensazioni del tuo corpo, dei tuoi organi, dei tuoi visceri, gli stati del tuo animo, le emozioni, i sentimenti. Osserva l’oceano della tua coscienza e scoprirai che non ci sono confini, non ci sono sintomi o conflitti. C’è solo il flusso della vita o le sue interruzioni prodotte dalla tua mancanza di consapevolezza.
Porta l’osservazione nel tuo stomaco chiuso e dolente e vedrai che un dolore è un’immagine, questa è colori, sensazioni. Le sensazioni sono emozioni, le emozioni sono ricordi, i ricordi ritmi del respiro, pulsazioni dei tuoi organi, tensioni dei tuoi muscoli e così via.
Osserva, respira e lascia fluire, la pura e semplice osservazione consapevole ti mostrerà la via.

Accettare, invece di… combattere

Quando deponiamo le armi e diciamo sì, allora ci rendiamo conto che le porte si aprono e che tutto
coopera perché la giusta azione si compia.
L’osservazione consapevole delle onde dell’oceano della tua coscienza, la fermezza nell’intento di entrare in contatto e ascoltare amorevolmente ogni messaggio del tuo organismo (corpo-mente) ti insegnerà ad accettare ogni emozione, ogni dolore, ogni “sintomo” senza combatterlo.

Alleati, non sintomi.

Scoprirai così che in ogni problema risiede la soluzione, in ogni sintomo dimora un alleato, colmo di un potenziale creativo che anela ad esprimersi. Scorgerai in ogni avversità il volto benevolo dell’esistenza che ti sussurra amorevole le qualità da risvegliare. Riconoscerai in ogni malattia la sua richiesta d’amore.

Responsabilità, invece di… delega

La nuova visione integrale e con essa il Modo Ulteriore vuole insegnare ad ogni essere umano ad assumersi la piena responsabilità rispetto a se stesso. Riconoscere attraverso l’osservazione consapevole, l’accettazione, l’ascolto, che ogni fatto della vita, è un alleato che cerca di indicargli la via verso la comprensione del significato della propria esistenza, la scoperta della propria vocazione, la realizzazione della propria vera natura. Ma chiarezza implica responsabilità. E la responsabilità ci fa paura. Sembra infatti che la madre di tutte le paure sia quella di trovarsi soli con se stessi di fronte alla vita.
Quando siamo completamente liberi da problemi e da sintomi, allora non abbiamo più alibi per non amare incondizionatamente l’esistenza. Allora non ci sono più tiranni da spodestare, no ci sono più responsabili coi quali condividere il peso della nostra leggerezza. Allora eccoci soli e vuoti di fronte al timore di Dio. Se riflettiamo ci risulta chiaro come tutta la storia della medicina sia, in ultima analisi, la storia di una delega. La delega all’avverso destino della responsabilità per la nostra condizione. La delega alle nostre malattie della responsabilità per non essere felici. La delega al medico della responsabilità di toglierci dai guai. A sua volta il medico delega alla ricerca scientifica o ai farmaci, la sua abilità terapeutica. Spesso si perde così di vista l’essere umano che si ha di fronte.

La storia del rapporto tra medico e paziente è spesso la storia di una dimenticanza macroscopica. Molte delle qualità che il semplice buon senso comune è in grado di riconoscere, le caratteristiche più genuinamente umane, sono spesso lasciate fuori di scena. La storia della medicina moderna raramente si occupa di qualità. Trascura nei suoi percorsi diagnostici e terapeutici dettagli quali: l’amore, la coscienza, la consapevolezza, la fiducia, la bellezza, la creatività, la gioia, l’ascolto, l’intento, l’energia vitale, la vocazione, la vera natura.

P. L. Lattuada M.D., Psy.D., Ph.D.

djirendra@gmail.com

www.integraltranspersonallife.com 

 www.pierluigilattuada.com

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