Nel cosiddetto Primo Mondo, il modello di civiltà coloniale esportato nel pianeta gronda la sofferenza delle diseredate, degli emarginati, di chi è ancora tra i vivi, sensibili e creativi nonostante la disumanizzazione imposta, l’assenza di scampo inscritta nelle società patriarcali basate sul profitto…

Sto scrivendo queste righe ventitré anni dopo la sua morte e a volte ormai passano settimane e mesi senza che io pensi a lei. So che una parte di lei è dentro di me. Quando riposa, appoggiata contro un muro a fumare una sigaretta, con l’alito che sa di alcol, la camicia sbottonata, le clavicole delle spalle sporgenti, i capelli tirati all’indietro, il rossetto sbaffato, lei che danza senza musica, lei che ride senza che si scherzi. È in un angolo dei miei ricordi. Non so se mia madre provava l’amore verso i propri figli e le proprie figlie che, socialmente e culturalmente, ci si aspetta dalla madri. Se non mi ha amato, non ce l’ho per questo con lei. […] Ogni volta che mia madre rideva, che danzava, ogni volta che giocava con le mie sorelle… erano atti di resistenza.

D.Hunter

Autore nel 2017 del libro “Chav, solidarietà coatta” Ed. Alegre, in cui racconta la sua giovinezza nella città di Nottingham. Bambino cresciuto in strada che per sopravvivere a venduto il suo corpo, ha spacciato, ha rubato, ha subito abusi e detenzioni. Dopo i vent’anni riesce a rompere il ciclo. Ricoverato forzatamente in ospedale psichiatrico, comincia a leggere, e rimane folgorato dall’opera di altri due reclusi: Antonio Gramsci e Angela Davis. Inizia a unire i punti della propria storia. Si mette alle spalle la dipendenza da sostanze, gli assistenti sociali, i poliziotti, il riformatorio e il carcere, diventa un militante della sinistra antagonista. Sulla soglia dei quarant’anni scrive il memoir “Chav” in cui racconta la propria vita, ma traccia anche i limiti dei movimenti politici che pretendono di parlare a nome della working class. Una storia che racconta con orgoglio proletario l’oppressione di classe e di genere per costruire un tassello importante di un immaginario working class queer, incrociando riflessioni sul razzismo, sullo sfruttamento, sulla violenza di genere e sull’identità delle persone LGBTQ.

Non ho dubbi che le botte che mio padre ha ricevuto da piccolo siano state spietate. Quando mi picchiava mi diceva sempre che anche suo padre lo picchiava e che lui ci andava con la mano più leggera. Lo immagino a scuola a nove o dieci anni, col corpo dolorante, i lividi gonfi, le ossa che cercavano di non spezzarsi, i vestiti sporchi e lo stomaco brontolante per la fame. Me lo immagino seduto in fondo alla classe mentre cerca di trattenere ogni emozione, sperando che passi un’ora senza che l’insegnante gli dica che è uno stupido, senza che qualcuno gli ricordi la sua posizione sociale. Posso immaginare gli altri scolari che ridono per le sue risposte mentre la maestra lo interroga, posso sentire il suo sangue che ribolle. Posso sentire la campanella della ricreazione che suona, lui che esce nel giardino alla ricerca di qualcuno da colpire e umiliare. […]
Mio padre non è nato come un uomo che ferisce, domina e sfrutta le persone fisicamente più deboli di lui. Nel corso del tempo ha imparato a diventare una persona del genere. E quel che si può apprendere, si può disimparare.

Nel 2022 esce sempre per Edizioni Alegre il libro “Tute, traumi e traditori di classe”, tema principale dell’intervista che puoi ascoltare al link sottostante, da una storica radio indipendente italiana, Radio Blackout di Torino:

https://radioblackout.org/podcast/solidarieta-coatta-d-hunter-a-radio-blackout/

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